Islam e Repubblica italiana: la via è nella Costituzione, di Carlo Cardia
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Riprendiamo da Avvenire del 30/3/2016 un articolo di Carlo Cardia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Carlo Cardia, cliccare sul tag carlo_cardia. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Islam nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2016)
Nel mischiarsi delle emozioni, delle riflessioni, proposte, scaturite dalle giornate terribili degli attentati prima di Francia e Belgio, si torna a parlare del profilo istituzionale che dovrebbe riguardare l’islam presente in Italia. Non di rado, però, lo si fa prescindendo dai princìpi della Costituzione che pone al primo piano la tutela della libertà religiosa, e insieme chiede alle Confessioni religiose il rispetto dei diritti umani fondamentali e dei valori essenziali del nostro ordinamento. Forse è necessaria una riflessione di verità su un tema così decisivo.
Esaminiamo alcune recenti proposte, e suggestioni, emerse nei giorni scorsi, sull’argomento. Non mi soffermo, ma devo richiamarli, sui tentativi di voler limitare per l’islam presente in Italia l’esercizio dei diritti costituzionali, a cominciare dalla libertà religiosa. Si tratta di pulsioni inaccettabili, pervase dalla paura, e che provocano paura e disordine. Mi interessano di più proposte apparentemente interessanti. Ad esempio di chi vuole che lo Stato faccia un «albo degli imam», con diritti e doveri specifici, dimenticando però che il nostro non è uno «Stato giurisdizionalista» che interviene negli interna corporis delle Confessioni; come non interviene, secondo quanto prospettano altre proposte, per regolare i luoghi di culto, moschee comprese, al di là di quelle norme generali che valgono per tutti.
Si ventila poi l’ipotesi di dare alle associazioni religiose gli stessi diritti delle Confessioni, scardinando così lo stesso sistema costituzionale che eleva la Confessione a un livello di tutela superiore, in quanto struttura che regola una importante settore della società civile.
Ancora, si propone di stipulare un’Intesa con l’islam, ma si dimentica che, per giungere all’Intesa, il culto interessato deve essere prima riconosciuto ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione e della legge 1159/1929.
Anche la proposta di dare all’islam l’8 per mille è, per il momento, quasi un’astrazione perché l’8 per mille non è una regalia discrezionale dello Stato, né un istituto a sé stante: è il risultato di un cammino che passa attraverso il riconoscimento della Confessione e la stipulazione dell’Intesa, mentre per l’islam non c’è ancora né l’uno né l’altra. E già oggi, deve essere chiaro, lo Stato ha tutti i poteri per intervenire quando si presentino attività sovversive, o della sovversione fiancheggiatrici, a prescindere dalla qualifica religiosa dell’organizzazione.
Torniamo allora ai princìpi cardine del nostro assetto costituzionale. La libertà religiosa è valore primario dell’ordinamento italiano (e internazionale), e non è concessa a discrezione dei poteri pubblici, essendo un bene prezioso per la collettività. Essa è un diritto individuale e collettivo perché il suo esercizio contribuisce a far crescere la coesione sociale, nel rispetto delle norme costituzionali che la disciplinano.
C’è però un problema di fondo che riguarda l’organizzazione che le confessioni religiose si danno, nel caso specifico i musulmani: la rappresentatività di chi governa comunità, moschee e altre strutture religiose. L’islam non conosce il nostro concetto di personalità giuridica, tende a vivere in modo atomistico, senza organizzazioni rappresentative nazionali, capaci di interloquire con lo Stato e le pubbliche istituzioni.
Ciò ha impedito sino a oggi di seguire la via maestra della Costituzione che riconosce il diritto di (tutte) le Confessioni religiose a darsi i propri Statuti purché non contrastino con i princìpi dell’ordinamento giuridico. Si tratta d’un caposaldo non aggirabile, ma col passar del tempo s’è determinato un paradosso quasi unico. Da un lato aumenta e cresce la presenza dei musulmani, immigrati o cittadini italiani, sul nostro territorio (fino al punto che essi costituiscono una delle minoranze religiose più cospicue presenti in Italia), dall’altro non è mai stata riconosciuta alcuna confessione islamica ai sensi dell’art. 8 della Costituzione e della Legge 1159/1929. Di fatto l’islam vive attraverso una molteplicità di strutture, centri, moschee (spesso piccole, o fatiscenti) che operano orizzontalmente sul territorio e nell’ordinamento senza voler raggrupparsi in uno, due, o tre, organizzazioni veramente rappresentative a livello comunitario. Esistono alcune eccezioni, come quella del Centro culturale legato alla Grande Moschea di Roma, che però è un ente con ramificazioni internazionali; o della Co.Re.Is che ha fatto il massimo e lodevole sforzo di costituirsi in confessione, ma la cui rappresentatività è assai ridotta. Ma in genere prevale una realtà frammentaria, a volte inafferrabile. Bisogna allora comprendere che organizzarsi in una Confessione non è un dato giuridico o formale, essa fa entrare la comunità di fedeli in una dimensione nuova: nel caso dell’islam, fa uscire da una semi-clandestinità moschee e centri culturali, li inquadra in un orizzonte certo di diritti e doveri, giova al consolidamento della identità collettiva, la fa evolvere in collegamento con la società esterna. La costituzione della Confessione comporta il coinvolgimento dei fedeli, la formazione di uno Statuto con diritti e doveri anche interni alla confessione, l’attivazione di organismi dirigenti responsabili di fronte alla società, e via di seguito.
Insomma, la fuoriuscita dalla semiclandestinità immette in un circuito di conoscenza, e di controlli, un pulviscolo di strutture e organizzazioni e centri che altrimenti vivrebbero per sempre isolati.
Per questa ragione, nel 2008, con una Dichiarazione di Intenti, i massimi esponenti delle Comunità islamiche si proposero di creare una Federazione dell’islam, con la quale si proclamava l’accettazione e la fedeltà ai princìpi di libertà religiosa, all’eguaglianza tra uomo e donna, al valore della vita umana e si dichiarava di «rifiutare ogni collegamento con organizzazioni integraliste» e di voler «marcare un confine netto nei confronti di ogni tipo di fondamentalismo». Il tentativo si esaurì con la caduta del secondo Governo Prodi, e nulla più è stato fatto. Ogni gruppo islamico vive ancora oggi separato rispetto agli altri, con una permanente frammentazione che lascia aperte le porte a diverse possibilità.
Riprendere oggi tesi sciagurate di matrice illiberale e xenofoba contro la libertà religiosa dei musulmani, oltre a contraddire i diritti umani che competono a tutti, accentuerebbe proprio l’isolamento e l’abbandono di una rilevante minoranza religiosa, esponendola tra l’altro alle lusinghe di estremisti e fondamentalisti.
D’altronde, immaginare fughe in avanti, con l’8 per mille da dare all’islam, la stipulazione di un’Intesa con entità ancora neanche riconosciute, vuol dire immaginare obiettivi che potranno un giorno realizzarsi ma che richiedono, prima, un impegno da parte di tutti nel realizzare quel cammino previsto dalla Costituzione per la regolarizzazione una Confessione religiosa. A questo bisogna dedicarsi.
Massimo D’Alema, autore di una
sommaria proposta di destinazione
dell’8xmille alla costruzione di moschee