Suor Rita Giaretta: osare la speranza trasforma persino i rifiuti, di Lorenzo Alvaro
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Riprendiamo dal sito Vita.it un articolo scritto da Lorenzo Alvaro e pubblicato l’8/1/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (13/3/2016)
La fondatrice della Comunità Rut di Caserta, Suor Rita Giaretta, vive il sud da 18 anni. In particolare il mondo della tratta e dello sfruttamento della prostituzione. Proprio nel cuore di quella che oggi è tristemente nota come la Terra dei fuochi. Quel tratto di Campania in cui a farla da padroni sono i rifiuti non le persone. In occasione dell'uscita del suo nuovo libro, “Osare la Speranza” scritto a quattro mani con Sergio Tanzarella ecco il racconto che suor Rita fa del suo meridione, tra amore, speranza e rivoluzione.
Lei è vicentina di origine, ex infermiera è sindacalista Cisl. Poi cos'è successo. Cosa l'ha portata a Caserta da suora?
Facendo l'infermiera e la sindacalista, nel percorso per capire un progetto di vita per me, mi sono sempre impegnata per la condizione della donna. Sentivo infatti che i diritti non erano mai acquisiti. Poi ho incontrato le suore orsoline e ho visto che erano impegnate in questo ambito. Mi sono sentita bene. Ho capito che era il mio posto e la mia strada. Così ho lasciato il ragazzo e il lavoro e son partita. Così è iniziato il mio percorso. Da 18 anni, mandata dalla Congregazione, mi trovo qui a Caserta.
Si può “Osare la speranza”, che è anche il titolo del suo ultimo libro, in un territorio che vive difficoltà enormi come la Campania?
È la nostra parola d'ordine. non è solo uno slogan. È pratica. Perché la speranza va praticata. E testimoniata. Non pensavamo, arrivando dal nord, che questi territori fossero così piegati, così in ginocchio. “Osare” vuol dire continuare nel quotidiano a vivere la speranza. Stare dentro al territorio giorno per giorno e amare la gente. Cercando insieme di tirare fuori il meglio. Non servono i grandi discorsi. Si rischia il disinteresse e la rassegnazione. Bisogna invece credere che a partire da noi, non aspettiamo infatti più nulla dalle istituzioni, sia possibile cambiare. Altrimenti continuerà la logica del favore che spalanca la porta allo stile camorristico e uccide il bene comune.
Il sottotitolo del libro dice che “la liberazione viene dal Sud”. Liberazione da che cosa e perché viene dal sud?
Perché a partire dai giovani e dalle donne che incontro qui, se trovano punti di riferimento, c'è la possibilità di far nascere un riscatto. Sento che è possibile. Basta guardare nel nostro piccolo cosa siamo riusciti a fare. Abbiamo raccolte donne-rifiuto abbandonate per strada e le abbiamo fatte diventare giovani imprenditrici sociali. Parlo di questa liberazione: delle donne, dei giovani e dai rifiuti. Parlo di umanità liberate. Il sud è anche simbolico non solo geografico. Il sud è la strada, il lavoro che perdi. La liberazione non può partire da chi sta in alto e non ha problemi. Ma proprio partendo da quello che è sotto il segno del fallimento che può partire un vero cambiamento. Solo dai tanti sud che abbiamo intorno, dagli ultimi.
Lei ha fondato a Caserta la Comunità Rut che si occupa di donne sole o con figli in situazione di difficoltà e vittime della tratta. Perché?
Sapevamo di dover camminare al fianco di donne in difficoltà. Ma non è nato come un progetto fatto a tavolino. Non siamo partite dal nord con un progetto in tasca. È nato tutto dal basso. Girando, incontrando le persone e vivendo il territorio. E quello che succedeva ha fatto crescere la comunità. Abbiamo deciso di lasciarci condurre dalla storia. E la storia ci ha portato sulla strada delle vittime della tratta. E così, un 8 marzo di tanti anni fa, ci fu la prima ragazza che ci chiese aiuto e salì in macchina con noi. Ci rendemmo disponibili all'accoglienza. L'abbiamo portata a casa e abbiamo aperto la comunità. 350 ragazze sono passate da allora. 350 cammini di liberazione. È la grande famiglia di Casa Rut.
Possiamo dire che come per queste donne si tratta di sfruttamento del corpo allo stesso modo in quelle terre avviene lo sfruttamento del corpo del territorio?
Certo. È lo stesso.
C'è chi, come Don Maurizio Patriciello, ha fatto della sensibilizzazione sul tema dei rifiuti la sua missione. Cosa pensa delle manifestazioni che si susseguono sulla Terra dei fuochi?
È molto positivo. Perché si sapeva di questa realtà. Si è sempre saputo. Il processo che si è avviato è molto importante. Per fortuna che questo movimento è cresciuto. Ma bisogna stare attenti perché anche le nostre istituzioni sono inquinate. Il rischio è che cavalchino l'esigenza di bonifiche per fare altri soldi. Come le notizia del decreto legge di Letta di prima di Natale sull'intervento in queste zone. Non basta manifestare ma bisogna essere vigili e non scendere mai a compromessi. Da cittadina posso chiedere solo che si smetta di parlare di bonifiche. È difficile che sia possibile bonificare, i siti sono enormi e non ci sono le risorse. Quindi che comincino a parlare almeno di messa in sicurezza. Che vengano messi in moto processi e percorsi perché questo territorio sia sicuro. Noi amiamo questa terra.
Ci sono solo limiti in questa terra?
Certo che ce ne sono. Non si può amare solo i limiti. Ci sono tante belle persone. Forse scoordinate e etichettate con pesantezza. Ma deve tornare l'orgoglio del sud. Persone che se aiutate possono fare molto. Rifiuti che diventano risorsa. Il sud non è scarto. Al nord riusciamo a valorizzare anche una pietra. Qui veramente hanno capolavori, terre fantastiche. L'unico regola è che non bisogno venderla. Bisogna amarla come diceva Bregantini, da sposi non da amanti usa e getta. Bisogna seguirla, coccolarla. Non stuprarla. Quante lacrime ho raccolto di giovani che vorrebbero impegnarsi qui ma non gli è permesso. Quante risorse sprecate.
Può raccontarci uno degli episodi che più l'hanno colpita?
Ogni storia diventa cara. Quelle che più mi hanno colpito sono quelle delle ragazzine minorenni. Di 15 o 16 anni. Queste piccole creature buttate sulla strada. Una addirittura incinta. Quando ce l'hanno portata il bimbo era finito nel mercato nero dei bambini. All'inizio non ce l'ha detto perché si vergognava. L'ho capito io per caso, fermandomi lì alla sera con lei sul ciglio del letto. E vedevo come cullava il suo peluche. E le era sfuggita la parola "mio figlio”. Quando le ho chiesto se aveva un figlio è scoppiata a piangere. E così è saltata fuori tutta la storia. Alla fine siamo riusciti a ritrovare il bambino che, guarda caso, quando ho accompagnato la mamma le è andato subito in braccio come sentisse il legame. Un'emozione unica. Alla fine siamo anche riusciti ad avere la tutela. Oggi questa ragazza ha 24 anni, è sposato, ha un altro figlio e lavora. Una storia che dimostra come non bisogna mai abbandonare la speranza. È come il respiro.
Papa Francesco parla di una Chiesa che deve farsi abbraccio e lenire le sofferenze. E dei religiosi dice che devono essere pastori con addosso l'odore del gregge. Deve essere importante per una come lei un Pontefice così...
Più che novità mi sento di respirare. Ci spinge ancor di più nell'impegno. Sono i temi che mi sono cari. I gesti che fa mi trovano in sintonia. È bellissimo. È il Vangelo. Prima soffrivo perché sentivo una Chiesa che non riusciva a dare entusiasmo, affetto e tenerezza a questo Vangelo e mi arrabbiavo. Non è una novità, sta solo praticando il Vangelo. E io sono contenta. Dovremmo essere tutti così. Sono felice che ci sia lui, sono incoraggiata. Sentiamo che qualcuno ci ha preso per mano. L'ho incontrato il 20 di settembre a Santa Marta, gli abbiamo raccontato di noi. Ci ha incoraggiato ad andare avanti. Sono con voi. L'amore deve vincere.
Di lei parlano come della suora che combatte Camorra e racket. Ha paura?
Non ho tempo di pensarci. Non mi passa neanche per la testa. Troppo forte la spinta nel dare vita. Non la vivo. Ogni tanto sento rabbia indignazione e frustrazione. Paura mai. Chi vive e porta il Vangelo non può averne.