Smartphone sempre acceso, risposte immediate alle email, cena davanti al pc: ecco i forzati dell’efficienza. Lo psichiatra Mencacci: «Vivere con il telefono in mano costringe ad uno stato d’allerta permanente», di Michela Proietti
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 5/3/2016 un articolo scritto da Michela Proietti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e media nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (13/3/2016)
Nel film-documentario «Dior and I» diretto da Frédéric Tcheng, lo stilista Raf Simons, arrivato alla corte di Lvmh, inizia bello-fresco e finisce con una crisi isterica. La pellicola è una discesa negli inferi della carriera: l’occasione di una vita - ovvero lavorare per un mostro sacro della moda - si rivela un tunnel di pressioni, turni straordinari, e-mail e messaggi subliminali a metà strada tra l’incoraggiamento e la pretesa del successo. La pellicola si chiude con Simons, dietro le quinte della sfilata, che piange, singhiozzando come un bambino: gioia incontenibile per una collezione applaudita o nervi saltati? Per come sono andate le cose, prende quota la seconda ipotesi: Simons, lo scorso 22 ottobre, ha annunciato le dimissioni «per motivi personali». Lo stilista ha spiegato di voler dedicarsi ad altre «passioni». Un lusso molto più grande del lusso che avrebbe dovuto rappresentare con i suoi abiti. Pochi giorni dopo, anche Alber Elbaz, il designer che ha rivoluzionato Lanvin, ha «svuotato» la sua scrivania, senza apparenti alternative. Due casi clamorosi che hanno mostrato quanto il re sia nudo: l’efficientismo portato alle estreme conseguenze, genera un corto circuito.
La ricerca
Al tema dedica la copertina l’«Harvard Business Review» che parla di sovraccarico collaborativo. «I vostri dipendenti migliori rischiano l’esaurimento nervoso», scrive il foglio da sempre ritenuto la Bibbia delle aziende in ottima salute. La ricerca punta il dito contro la cattiva distribuzione del lavoro e l’eccesso di telefonate e di riunioni. Il toyotismo da ufficio - l’idea cioè di utilizzare le (poche) risorse disponibili nel modo più produttivo possibile - avanza e trasforma anche gli ex-beati-zaloniani del posto fisso in soldatini in ansia da performance, schiacciati da progetti, meeting e conference call. Proprio per questo i manager di Dropbox hanno cancellato per due settimane tutte le riunioni ricorrenti. «Ciò ha costretto i dipendenti a considerarne l’effettiva necessità», osserva l’Harvard Business Review. Ma il gigantismo delle riunioni, è solo un aspetto del problema. La rinascita dei Gordon Gekko, con le luci dell’ufficio accese 24h, le camicie e le mutande di ricambio accanto alla scrivania e la cena consumata a lume di pc, rinnova il dibattito sull’etica del lavoro.
La reperibilità
La reperibilità, parola chiave degli efficientisti, è stata da poco messa in discussione in Francia, dove un accordo sindacale consente al personale informatico delle società di scollegarsi e non ricevere chiamate o messaggi di lavoro dopo la fine del proprio turno. Alasdhair Willis, fondatore della rivista Wallpaper*, stilista e padre di quattro figli avuti da Stella McCartney, sintetizza così il segreto della sua pienezza esistenziale: «A tavola con mia moglie non parlo di lavoro e mantengo i weekend work-free. Non bisogna rispondere alle mail di sabato e domenica, l’azienda non fallirà». Per un capo illuminato, ce ne sono però altri che «esercitano il delirio di onnipotenza torturando i sottoposti con messaggi anche in camera da letto», spiega il sociologo del lavoro Domenico De Masi, autore del libro-cult «Ozio Creativo». Il timore di essere sorpassati da colleghi giovani e performanti, e ora persino dalle intelligenze artificiali, rende fragile la base della piramide lavorativa. «Lo spettro dei tagli è un’arma nelle mani dei capi, che mina la nostra dignità», spiega De Masi, fresco di un divertente esperimento. «Ho invitato quattro partecipanti di un mio corso, muniti di telefonino di reperibilità, a mettere il vivavoce: le informazioni scambiate erano inutilissime, ma facevano sentire il capo un Golem e il dipendente un “prescelto”».
Lo stato di preallerta permanente
Gli yes-men degli anni Novanta hanno gemmato tanti nipotini «ontici»: la loro qualità principale è esserci. «Gli uffici dopo le 18 diventano dei gay-pride, pieni di uomini che fanno compagnia al capo, che a sua volta è lì mentre forse la moglie lo tradisce con un altro. Gli efficienti, non scordiamolo, sono anche i più cornuti», sintetizza efficientemente De Masi. Anders Ericsson, psicologo della University of Florida che studia i top-performers ha scoperto che i migliori del mondo, dai sollevatori di pesi ai pianisti, lavorano sotto sforzo solo per 4-5 ore al giorno: il riposo fa parte dell’allenamento. «Senza riposo il nostro cervello si svuota - scrive Daniel Goleman nel volume «Piccolo manuale di intelligenza emotiva» - .Gli indicatori sono distrazione, irritabilità e la tendenza ad andare su Facebook». Il superlavoro, dunque, non solo nuoce a chi lo subisce, ma anche a chi lo impone: ad un certo punto non ci si alza dalla sedia perché si lavora, ma perché nessuno dei nostri colleghi lo ha ancora fatto. «Vivere con lo smartphone in mano significa costringersi ad uno stato d’allerta permanente - spiega lo psichiatra Claudio Mencacci -, che porta a modificazioni di carattere cognitivo: diminuisce la concentrazione, cresce la paura di sbagliare fino ad arrivare al burn-out, lo stato anestetico- emozionale che fa coincidere il lavoro con una seccatura». Tra gli effetti c’è l’«asimmetria da contatto»: ogni chiamata, viene anticipatamente vissuta come un altro carico. «Il corpo sotto continuo stimolo vive scompensi cardiocircolatori: sale la pressione e aumentano le infiammazioni croniche». La soluzione c’è, ed è dire no. «Difronte agli esami che non finiscono mai, dobbiamo soffocare la parte storta di noi che, solo dicendo sempre sì, permette all’autostima di crescere».
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