«Roma ha urgente bisogno di un “supplemento d’anima” per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza». “Lettera alla città“ del cardinale Agostino Vallini e del Consiglio Pastorale della Chiesa di Roma
Riprendiamo sul nostro sito la “Lettera alla città“ scritta del cardinale Agostino Vallini e del Consiglio Pastorale della Chiesa di Roma e pubblicata il 9/11/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (9/11/2015)
DIOCESI DI ROMA
Alle donne e agli uomini che vivono a Roma
La Chiesa di Roma nella città
I cristiani, nella città, sono chiamati a brillare come “luce del mondo” e “lampada che illumina tutti quelli che sono nella casa” (cfr. Mt 5,14ss). Così testimoniano la vita nuova e gioiosa dei figli di Dio. Questa è la prima e fondamentale missione della Chiesa di Roma, che “presiede nella carità”[1].
Con questa lettera desideriamo chiederci: siamo davvero all’altezza di questa testimonianza nella nostra città di Roma? Cosa possiamo fare per rispondere meglio alla chiamata del Signore, che ci vuole “luce del mondo” (Mt 5,13)?
Papa Francesco, rivolgendosi a noi cittadini romani, ha detto: «Domandiamoci: in questa città, in questa comunità ecclesiale, siamo liberi o siamo schiavi, siamo sale e luce? Siamo lievito? Oppure siamo spenti, insipidi, ostili, sfiduciati, irrilevanti e stanchi? Senz’altro le gravi vicende di corruzione, emerse di recente, richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri, i deboli, gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazioni e del nostro agire quotidiano. È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli! […] Quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a “mafiarsi”, quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà […] e cessa di essere cristiana»[2].
Le luci e le ombre del momento presente ci sollecitano, come Chiesa, ad impegnarci in una nuova stagione di rinnovamento spirituale, di evangelizzazione, di responsabilità culturale e di impegno sociale, sostenuti dalla forza della fede, per raggiungere le periferie geografiche ed esistenziali della nostra città.
Non abbiamo alcuna smania di protagonismo o di visibilità politica: ci accompagna solo la lucida consapevolezza di non poterci estraniare dalla vita degli uomini e la certezza che per noi annunciare il Vangelo “non è un vanto, ma una necessità che ci si impone” (cfr. 1Cor 9,16). Il Giubileo della Misericordia, ormai imminente, è un dono che la Chiesa di Roma intende condividere con le donne e gli uomini che vivono in città. Vorremmo che sia soprattutto un tempo consacrato a Dio per restituire «pace agli uomini che Dio ama» (cfr. Lc 2,14). Un tempo in cui rimettere in ordine tutte le relazioni umane (questo è il senso originario del giubileo biblico: cfr. Lv 25) ed imprimere nuovo slancio e passione alla rigenerazione della vita sociale. Ci sembra un’urgenza non più differibile.
Condividere gli affanni della nostra città
La nostra città vive un momento di transizione e di crisi. La corruzione, l’impoverimento urbanistico e ambientale, la crisi economica hanno investito pesantemente lo spazio fisico, l’identità collettiva e la coesione sociale. Aumentano le povertà, non solo materiali, che alimentano nuovi e profondi squilibri. La sfiducia nelle istituzioni civili e la perdita del senso di appartenenza sociale producono stili di vita sempre più individualistici. Ne conseguono forti tensioni sociali, in particolare di fronte alla sfida dell’immigrazione. L’assetto urbanistico, oggi ulteriormente polverizzato, non ha aiutato l’integrazione. Il centro storico si sta progressivamente svuotando di abitanti residenti e si trasforma in centro della politica e in distretto turistico. Roma sta diventando la sua periferia. Il 23% della popolazione vive oggi al di fuori del Grande Raccordo Anulare e in queste aree l’incremento degli abitanti negli ultimi 10 anni è stato del 26%.
Uno dei fenomeni più importanti caratterizzanti lo sviluppo insediativo del Comune di Roma negli ultimi quindici-venti anni è, ad esempio, lo sviluppo delle grandi polarità commerciali e dell’intrattenimento. Sono presenti più di 28 grandi centri commerciali nel territorio cittadino (e altri sono in costruzione). Inoltre sotto la pressione del mercato immobiliare in crescita, la popolazione va a vivere fuori Roma, alla ricerca di una casa a più buon mercato (soprattutto le giovani coppie) o anche di una migliore qualità della vita e dell’ambiente. La periferia ha assunto così una dimensione metropolitana.
Nuove sofferenze sono emerse dalla disoccupazione, soprattutto giovanile, mentre sono aumentati i costi strutturali tipici delle grandi città come i trasporti, la mobilità in genere e i servizi, e per alcune voci di base, come il costo degli affitti, il livello appare del tutto insostenibile. La crisi ha alimentato le disuguaglianze, accentuato le differenze tra i quartieri centrali e le periferie, allargato la fascia dei poveri e degli ‘invisibili’. Il ceto medio ne è uscito indebolito, si sono alzati steccati tra ambienti sociali diversi, scoraggiando quella ‘mescolanza’ virtuosa necessaria per far crescere la coesione di una città e la pratica quotidiana del dialogo e del riconoscimento reciproco. Va anche ristabilito un nuovo “patto generazionale” tra adulti e giovani, che spesso soffrono retribuzioni ingiuste.
Il malessere purtroppo si respira nell’aria: la stessa gestione ordinaria del territorio, come ad esempio la manutenzione delle strade, la cura dell’illuminazione, le procedure di raccolta e smaltimento dei rifiuti, hanno assunto, in diversi quartieri, aspetti di un degrado urbano complessivo da cui, talvolta, sembra difficile liberarsi. A tutto ciò si sono aggiunti acuti problemi di sicurezza e l’incremento di atti di violenza.
Più che accusare o condannare le istituzioni civili o la società nel suo insieme, come troppo spesso superficialmente avviene, desideriamo condividere gli affanni della nostra città, fare la nostra parte, essere compagni di strada di tutti gli uomini di buona volontà, e dire a tutti, concittadini e istituzioni di Roma, di non perdersi d’animo dinanzi alle sfide che abbiamo davanti.
Il problema non è di natura esclusivamente organizzativa. Alla radice – vogliamo sottolinearlo – c’è una profonda crisi antropologica ed etica. In tanti sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso dell’inviolabile dignità della persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali che si esprimono nella responsabilità verso gli altri e che danno senso all’agire umano. Troppe persone si incrociano per strada e si guardano con diffidenza, quasi siano alieni provenienti da pianeti diversi.
Questa sfida vogliamo raccogliere come Chiesa di Roma, offrendo a tutti i nostri fratelli romani anzitutto il tesoro più prezioso che abbiamo: il santo Vangelo. Che, per noi, non è un libro, ma una persona viva, Cristo Signore, che riempie il cuore e la vita di quelli che lo incontrano e si lasciano amare e salvare.
Questa lettera è dunque un appello affinché tutti gli uomini di buona volontà collaborino per edificare il bene comune; ma più ancora è una promessa: in questo Anno Santo della Misericordia desideriamo agire concretamente affinché Roma diventi sempre più abitabile e felice e tutti possiamo «“sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce»[3].
Ripartire dalle molte risorse civili e religiose della città
Nonostante gli accennati segni di crisi, Roma conserva, anche per l’infaticabile impegno di molti, credenti e non credenti, meravigliosi talenti per svilupparsi come luogo di incontro, di riconciliazione, di dialogo, di promozione della crescita integrale della persona e della reciprocità sociale. Tra queste risorse ricordiamo il suo straordinario patrimonio archeologico, artistico e culturale, cui si connettono le imprese e i servizi legati alla vocazione turistica della città; la diffusa presenza di università e centri di ricerca; un tessuto commerciale e industriale che riguarda anche l’agroalimentare, la tradizione dell’artigianato, la moda e altri settori del “made in Italy”; la rete di imprese e servizi nel campo della comunicazione e dell’informazione multimediale pubblica e privata; l’emergere di imprese giovani dedicate all’innovazione tecnologica accanto ad un robusto polo di servizi terziari. E ancora, l’offerta di servizi sanitari, che – certamente migliorabili – possono dare una risposta umanizzata al bisogno della tutela della salute; la capacità di promuovere grandi eventi e di poter attrarre milioni di persone di tutto il mondo; l’opportunità di essere città del cinema, dello spettacolo, della cultura, dell’arte, della musica, dello sport. Senza dimenticare la sua collocazione geo-politica di capitale, al centro d’Italia e di grandi vie di comunicazione.
Dobbiamo e vogliamo menzionare anche il ruolo della Chiesa. In primo luogo, evidentemente, la persona del Papa, che quotidianamente parla alla città e al mondo, e con la sua presenza raccoglie folle di pellegrini e di turisti, di fedeli e di non credenti, attorno alla sua parola. Ma non vanno dimenticate le numerose realtà ecclesiali presenti e operanti sul territorio: parrocchie, comunità religiose, movimenti e associazioni ecclesiali, scuole cattoliche e università, ospedali e case di cura, strutture caritative, ecc.
La città ha una ricchezza immensa, non adeguatamente conosciuta né valorizzata, che può essere fatta crescere, e che riveste, in ogni caso e oggettivamente, un grande rilievo anche a livello di sistema urbano e territoriale. La Chiesa di Roma, insieme con le donne e gli uomini di buona volontà, desidera rendere “reciproca” la città: più attiva, più partecipe e più unita. Una città aperta a tutti, giovani, adulti e anziani, donne e bambini, che sappia andare incontro ai bisogni di relazione fra generazioni, alle insicurezze e alle solitudini, ai problemi connessi all’invecchiamento della popolazione e alle richieste, spesso del tutto nuove, che vengono da adolescenti, giovani e famiglie. Focalizziamo il nostro impegno su cinque sfide o “cantieri” che ci sembrano urgenti e decisivi.
Le sfide
1 – Vecchie e nuove povertà
Spinti dalla carità di Cristo e, nello stesso tempo, consapevoli che non si può offrire come carità quello che è dovuto per giustizia, dobbiamo affrontare con determinazione gli squilibri profondi, economici, sociali, culturali. Il 31 dicembre 2013 Papa Francesco ha detto ai romani: «Roma è una città di una bellezza unica, il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica. Roma è una città piena di turisti, ma anche piena di rifugiati. Roma è piena di gente che lavora, ma anche di persone che non trovano lavoro o svolgono lavori sottopagati e a volte indegni; e tutti hanno il diritto ad essere trattati con lo stesso atteggiamento di accoglienza e di equità, perché ognuno è portatore di dignità umana».
Nella vita sociale di Roma cresce la realtà drammatica delle povertà delle famiglie, che negli ultimi anni si è estesa anche a settori del ceto medio. Si pensi inoltre alla preoccupante condizione di tanti anziani che vivono in solitudine. In molte famiglie oggi il lavoro è l’assillo maggiore e il sollievo offerto attraverso sussidi non è risolutivo, perché «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro»[4].
Alla grave mancanza di lavoro si aggiunge, fra l’altro, la pericolosa e invasiva diffusione del gioco d’azzardoche coinvolge in maniera crescente le giovani generazioni e non risparmia neppure gli adulti e gli anziani. Spesso le famiglie in cui c’è un giocatore ne sono devastate. Un fenomeno che richiede interventi rapidi e decisi a livello culturale e normativo.
Quotidianamente Caritas diocesana, parrocchie e organizzazioni caritative sono investite direttamente dai problemi che richiedono risposte a favore di chi non ha una casa o ha perso il lavoro, dei padri e madri separati, degli anziani, degli immigrati o dei senza fissa dimora. A tutto ciò esse rispondono come è a loro possibile. Ma è urgente intervenire con politiche che attivino processi concreti atti a realizzare gradualmente soluzioni di equità sociale e di solidarietà.
Inoltre auspichiamo, nei diversi quartieri della città, la promozione di luoghi dove cittadini volontari, sensibili al bene comune, mettano a servizio di quanti vivono in condizioni precarie e di disagio la loro esperienza umana e professionale per indirizzarli ed accompagnarli nella soluzione dei loro problemi quotidiani (ad es. il disbrigo delle pratiche amministrative, le visite mediche, l’educazione scolastica dei figli, l’uso attento del denaro), così da sostenerli e rendere la loro vita meno amara, infondendo fiducia dove a volte c’è solo sconforto.
2 – L’accoglienza e l’integrazione
Gli immigrati – non solo i rifugiati, ma tutti gli stranieri stabilitisi a Roma – devono essere accolti come persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, a integrarsi nella città e nella vita sociale. Purtroppo, non esistono formule certe per raggiungere al meglio questo obiettivo; ma possono e devono essere ricercate strategie efficaci e condivise. La comunità cristiana è impegnata a promuovere la cultura dell’incontro. Cittadini e immigrati, con le associazioni e i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi anche nelle parrocchie per dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza più sicura, pacifica ed inclusiva, nel rispetto di tutte le minoranze.
In concreto, ciò significa: mettere in comune quello che si ha per i nuovi bisogni dei molti, vivere la reciprocità e la condivisione in strutture fisiche di ospitalità per l’incontro, per l’educazione civile, per ogni azione sociale che incoraggi nella pratica quotidiana l’integrazione, attraverso corsi di lingua italiana, di educazione civica e democratica, di storia e di diritto, di usi e tradizioni, di educazione alla salute e al benessere, anche mediante momenti di socialità relazionale e di conoscenza reciproca. Per implementare il dialogo, sarebbe utile organizzare eventi comuni contro la violenza e contro le stragi commesse in nome di Dio. Il dialogo con credenti di altre fedi religiose è una vocazione naturale del cristiano, nella certezza dell’unicità di Cristo Salvatore e dell’universale offerta di salvezza.
All’appello lanciato da Papa Francesco a che «…ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia [di profughi], incominciando dalla mia diocesi di Roma…»[5], un piano di azione è stato elaborato dalla Caritas diocesana in stretta collaborazione con la Prefettura e le altre Istituzioni civili, perché tutto si svolga ordinatamente. La generosità delle comunità cristiane – anche singole famiglie, che hanno aperto la loro casa a questi fratelli bisognosi – ci lascia ammirati e ci conforta.
La Chiesa si impegna a combattere con rinnovata energia ogni forma di sfruttamento prodotto dalla «cultura dello scarto»: dallo sfruttamento economico- abitativo degli studenti fuori sede e degli stranieri, a quello della prostituzione, della manodopera italiana e straniera spesso non adeguatamente tutelata.
3 – L’educazione
La cosiddetta ‘società liquida’ della non-durata, precaria e frammentata, orfana di spiritualità, e ancora confusa dal fallimento delle grandi ideologie, rischia di provocare – nell’era di Internet – un determinismo tecnologico per cui si spostano verso la ‘rete’ compiti che sono propri dei soggetti educativi, come ad esempio quelli di promuovere alla libertà e alla democrazia. Accanto alle indiscusse potenzialità delle nuove tecnologie, c’è il rischio di smarrire l’evidenza che esse sono soltanto uno strumento che non può espropriare la persona della libertà all’autodeterminazione.
Un altro rischio molto serio nei processi educativi è quello di emarginare l’educazione al pensiero critico a favore di una mitologia dello sviluppo economico, di cui non vogliamo disconoscere l’importanza. Non si può insegnare, però, alle nuove generazioni che l’unica cosa che conta è la crescita della quantità di denaro.
Il primo compito di una comunità che si preoccupa del futuro è l’impegno all’educazione culturale e morale. Non a caso la Chiesa Italiana ha scelto come obiettivo pastorale del decennio corrente l’impegno per “Educare alla vita buona del Vangelo”. Tutti siamo chiamati in causa: singoli, famiglie, istituzioni.
La scuola, l’università e i centri di formazione professionale, così numerosi a Roma, e tutti quelli che vi lavorano – educatori, insegnanti, docenti, personale dirigente o ausiliario – sono invitati a metter al centro del processo educativo delle nuove generazioni romane la crescita integrale della persona. Non fare sconti sull’impegno necessario per costruire una cultura di spessore, tutelare e includere gli alunni fragili e in difficoltà, promuovere il senso etico e civico, educare alla legalità, al rispetto reciproco e all’accoglienza di ciascuno: questo deve essere considerato un contributo prezioso e decisivo per edificare una città migliore.
Questa responsabilità educativa deve interessare anche l’uso competente e consapevole dei mezzi di comunicazione ormai insofferenti ad ogni tentativo di vera regolamentazione. Un impegno da intensificare soprattutto negli ambiti in cui la relazione educativa non è surrogabile dagli strumenti tecnologici: Internet non può bastare per diventare uomini e donne. In questa prospettiva è decisivo tornare ad appassionare i ragazzi e i giovani anche alla bellezza dei tesori di arte inestimabili che Roma custodisce come in uno scrigno unico al mondo. Lungo i secoli gli artisti hanno insegnato che la vita ha senso se vi è armonia, bellezza e verità. La bellezza dà respiro alla vita.
Sollecitiamo le autorità preposte a curare la formazione di educatori preparati e appassionati per favorire l’educazione alla relazione con gli altri, sia nella cerchia ristretta degli affetti prossimi che in quella più ampia degli ambienti di vita, l’educazione al rispetto delle differenze, l’educazione all’affettività e ad un esercizio responsabile della sessualità, l’educazione al servizio e al volontariato, l’educazione alla responsabilità ambientale. In questi delicati ambiti della crescita personale, genitori, insegnanti, educatori, formatori, siano figure adulte solide, affidabili e competenti.
4 – La comunicazione
Negli ultimi trent’anni il nuovo mercato dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto attraverso le televisioni, ha proposto immaginari sociali e modelli di vita spesso irreali, suscitando aspettative di successo e di benessere, e non di rado legittimando nell’opinione comune l’uso di mezzi moralmente censurabili per raggiungere tali obiettivi. Certo, non sono mancate le esperienze positive, che hanno unito molti professionisti laici e cattolici impegnati ad aprire vie nuove sui contenuti etici, umani, sociali, religiosi, nello sforzo di promuovere una comunicazione e una informazione attenta alla verità e allo sviluppo integrale della persona. Ma la realtà prevalente, purtroppo, è stata un’altra. Il mondo che presentano è troppo spesso un brutto posto dove non verrebbe voglia di vivere. Si è diffusa, ad esempio, una strumentalizzazione degradante dell’immagine della donna; si è fatto scempio della conflittualità familiare e di coppia, fingendo di volerla sedare; si è sdoganato un turpiloquio continuo che ha fatto saltare stili e modalità di relazioni; si è prodotta, e si produce ancora, una volgarità invadente; si sono legittimati comportamenti e atteggiamenti violenti e di prevaricazione; si è diffuso il gusto per l’orrore che ha finito col desensibilizzare, cioè rendere indifferenti rispetto al dolore degli altri, le coscienze più giovani; si è dato spazio ad un’ondata trasbordante e morbosa di cronaca nera, a cui non corrisponde il Paese reale; si è data voce ad una visione banale dell’esistenza.
L’attenzione ai grandi temi della vita – nascere, morire, sapere, saper essere, saper vivere insieme, credere, condividere… – è rimasta confinata ad esperienze di nicchia.
Si impone quindi l’urgenza di ricostruire una cultura collettiva più umana e più vera. Più attraente. L’attuale complessità del mondo dell’informazione e della comunicazione esige un impegno condiviso ed organico da parte delle migliori risorse laiche e ecclesiali della città. La Chiesa a Roma intende essere presente nell’agorà dei media, offrendo la sua voce ed il suo punto di vista. Tutti i cristiani che operano, a diverso livello, nel mondo dell’informazione e della comunicazione sono sollecitati ad impegnarsi per promuovere contenuti che investano il rapporto media-famiglia-cultura-solidarietà-giovani, attraverso scelte coraggiose di libertà, anche in questo ambiente, spesso pesantemente condizionato da interessi economici e di parte.
5 – Formare pazientemente la classe dirigente di domani
La complessità dei problemi che una metropoli come Roma deve affrontare richiede una classe dirigente competente e dedita al bene comune. Oggi si tende troppo spesso ad accomunare tutti i rappresentanti delle istituzioni in una condanna generalizzata e senza appello. Noi non vogliamo farlo: non dimentichiamo esempi di eccellente dedizione istituzionale e non puntiamo il dito su presunte responsabilità individuali. Però non si può negare che una delle cause dell’attuale situazione di crisi debba essere individuata anche nella debolezza di parte della classe dirigente. Troppo spesso persone di valore non hanno la forza di esprimere la propria vocazione al servizio del bene comune e di incidere beneficamente sulla società, mentre altri per brama di potere e desiderio smodato di arricchimento occupano posti nella direzione e gestione delle istituzioni senza le doti, la motivazione e la competenza necessarie per promuovere programmi e politiche di equità sociale a favore di tutti i cittadini.
Ne derivano nella vita della città vistosi squilibri tra chi è garantito in posizioni di sicurezza e tranquillità e quanti, deboli, meno provveduti o meno capaci, sono condannati ad una vita difficile, pesante, se non addirittura ad essere esclusi.
La comunità civile di Roma deve adoperarsi concretamente per procurare ad ogni cittadino e ad ogni famiglia lo sviluppo e il pieno esercizio della dignità umana, in una equilibrata relazione tra tutti gli ambienti nei quali si esercita la vita sociale. La classe dirigente è chiamata a fare il possibile per garantire a tutti dignità piena e il necessario per formare e mantenere una famiglia. Assicurare ad ogni famiglia la casa, il lavoro, l’assistenza sanitaria e il diritto primario ad educare, è l’impegno inderogabile a cui deve tendere la classe dirigente nell’esercizio dei suoi poteri e delle sue responsabilità pubbliche.
Occorre sviluppare la consapevolezza diffusa che una buona società non può esistere senza un impegno civile e politico svolto con competenza, dedizione e nobiltà di spirito.
Riteniamo che con coraggio si debba avviare il “cantiere” per costruire adeguati cammini di formazione pre-politica aperti a tutti, particolarmente alle migliori energie giovanili, portatrici di nuove idee e prospettive di speranza, per rimotivare anzitutto i credenti all’impegno politico come servizio verso la società ed esercizio supremo della “carità sociale”. È urgente riattivare le politiche dal basso, quelle sussidiarie, che permettono ai cittadini di ritrovarsi e elaborare soluzioni condivise intorno a temi e a problemi concreti del loro territorio.
La Diocesi di Roma ha cominciato a lavorare già da qualche anno in questa direzione: nel Convegno delle aggregazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana, del 7-8 marzo 2014, su “La missione dei laici cristiani nella città”, ha dato vita ad un “Osservatorio sulla città”, che ha il compito di “fare rete” tra le associazioni, le aggregazioni laicali e i laici presenti sul territorio e di promuovere iniziative di formazione e di confronto pubblico nei vari ambienti, anche per coinvolgere quanti, pur non riconoscendosi nella fede cristiana e nella Dottrina sociale della Chiesa, desiderano conoscerne meglio i contenuti e convergere sul terreno del bene comune. Tale impegno sarà intensificato, affinché il contributo dei cristiani alla vita sociale e politica possa essere lievito che fa crescere tutta la collettività.
Conclusione
In questo momento di grandi cambiamenti epocali, il Giubileo della Misericordia è una grazia per la Chiesa e per ogni cristiano. Tutti siamo chiamati – ha affermato il Papa – «ad offrire più fortemente i segni della presenza e della vicinanza di Dio. Questo non è il tempo per la distrazione, ma al contrario per rimanere vigili e risvegliare in noi la capacità di guardare all’essenziale. È il tempo per la Chiesa di ritrovare il senso della missione che il Signore le ha affidato il giorno di Pasqua: essere segno e strumento della misericordia del Padre (cfr. Gv 20,21-23)»[6].
Desideriamo con tutto il cuore contribuire alla rinascita della nostra città per un motivo semplice: la città è la nostra casa comune. È in questo spazio che noi sviluppiamo e condividiamo la nostra umanità e fraternità. Lo facciamo con speranza ed entusiasmo, fiduciosi nel cambiamento auspicato da tutti, per costruire una città più giusta, più solidale. Ma lo facciamo anche praticando le opere di misericordia. Perché la misericordia, vogliamo sottolinearlo, è la perfezione della giustizia in un mondo fragile e imperfetto.
La Chiesa di Roma vuole fermarsi, inginocchiarsi e offrire il proprio aiuto davanti alle sofferenze degli uomini. Roma ha urgente bisogno di questo “supplemento d’anima” per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza.
Dal Vicariato, 9 novembre 2015
Dedicazione della Basilica Lateranense
Il Cardinale Vicario Agostino Vallini
e il Consiglio Pastorale Diocesano