Oltre Mammona: ma il denaro merita la nostra fiducia?, di Fabrice Hadjadj
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Il Centro culturale Gli scritti (15/2/2016)
Che cosa abbiamo quando abbiamo denaro? La cosa è assai curiosa: sono piccoli rettangoli di carta che, dopo il passaggio all'euro, sembrano ancora più artificiali dei biglietti del Monopoli. Non vi si riconosce più nemmeno l'autorità della storia, con le figure di Manzoni, Cristoforo Colombo o Leonardo da Vinci.
Adesso vi sono raffigurati gli elementi di un'architettura astratta e sempre più insignificante all'aumentare del valore. E comunque tutto questo è ancora fin troppo palpabile. Se il denaro non ha odore, perché dovrebbe avere consistenza?
E infatti abbiamo soprattutto l'estratto-conto e quella piccola carta di plastica, che non è il denaro in sé ma la possibilità di entrare in comunicazione mistica con esso – ma ciò che un selvaggio darebbe in cambio di una conchiglia o di un bel disegno colorato non lo darebbe in cambio di quella piccola carta.
Questa è la curiosità della cosa ma, si sa, in questo caso non è la cosa che conta quanto il segno – un segno più che cabalistico. Il denaro è innanzitutto una scrittura, un debito firmato dallo Stato o da qualche banca più o meno centrale.
Ora, dietro un debito si nasconde sempre un atto fondamentale che tuttavia, in questo caso, non osa rivelarsi come tale: l'atto di fede. La moneta è fiduciaria. Si basa sulla fiducia che il sottoscrittore del debito avrà la possibilità di saldarlo.
Ma con che cosa riuscirà a saldarlo? Con un altro debito? E come mai il denaro, che non è oro, ci sembra proprio il contrario di un oggetto di fede – ci appare cioè come la cosa più evidente, più evidente della stessa scienza, poiché è ormai anche la condizione preliminare di ogni ricerca scientifica?
Forse perché tutti si abbandonano a tale fiducia senza riflettere, come in un'allucinazione collettiva? Se possiedo molto denaro ma non posso comprarci nulla, perché mi trovo tra i selvaggi o, al contrario, perché sono nella civiltà estrema, quella del 1929 o della crisi prossima ventura, che cosa ho, alla fine? Meno di re Mida, che perlomeno possedeva numerose statue d'oro. Meno, perché potrei avere molto più di tutto ciò che posso realmente possedere.
Come dice Aristotele, è impossibile accumulare beni materiali a dismisura. Non c'è abbastanza spazio nella casa. Posso constatare fisicamente la sproporzione delle mie acquisizioni rispetto alle mie capacità: come si può abitare in molte case contemporaneamente, o mangiare fino a scoppiare?
In compenso, si può accumulare denaro senza misura, perché questo è solamente la cifra di un potere (il potere di acquisto) e avere così l'illusione che il futuro ci appartenga.
C'è una frase del Vangelo che dice: «Nessun servo può servire a due padroni... Non potete servire a Dio e a mammona». Si traduce generalmente questo ultimo con «ricchezza» o «denaro». Ma perché il denaro è personificato in questo modo? Se è solamente un mezzo di scambio, di accantonamento e di misura, come fa a trasformarsi in padrone? Non è possibile che uno strumento diventi esso stesso ciò che ci manipola.
Il punto è che il denaro non è uno strumento ma è la prima «apparecchiatura», il primo «dispositivo» (nel senso di gestell) totalmente comparabile alle tecnologie più recenti: apre al virtuale, digitalizza il mondo, ci fa avere qualsiasi cosa senza darci concretamente niente, prende tutto nel suo giro fino a prendere in giro noi stessi.
Possiamo adoperarlo, certo, ma come una bestia mai addomesticata e che aspetta la nostra minima disattenzione per morderci la mano. A dire il vero, non è neanche una tale bestia. È soltanto la fede nel Mercato, e che al di fuori del Mercato, non ci permette neanche di avere le prugne che un albero ci offre.