1/ La Chiesa: così aiutiamo i migranti, di Fulvio Fulvi 2/ Accoglienza, Caritas e Migrantes scrivono a "la Repubblica" 3/ Giubileo: il diritto di rimanere nella propria terra 4/ Breve nota su Roma, di G.A.

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /12 /2015 - 14:44 pm | Permalink | Homepage
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1/ La Chiesa: così aiutiamo i migranti, di Fulvio Fulvi

Riprendiamo da Avvenire del 22/12/2015 un articolo di Fulvio Fulvi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

Sono oltre 27mila i profughi accolti a tutt’oggi in Italia nelle 27mila parrocchie ma anche nelle comunità religiose, negli 'hospitum' di santuari e monasteri e nelle famiglie che hanno dato la disponibilità ad ospitare i richiedenti asilo.

La Chiesa italiana si sta muovendo per affrontare il dramma dei circa 70mila immigrati che hanno fatto domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e per aiutare tutti gli altri arrivati nel nostro Paese (160mila solo nel 2015).

Il 6 settembre, giorno dell’appello nel quale Papa Francesco, nel discorso dopo l’Angelus, invitava le realtà ecclesiali d’Europa, attraverso i vescovi, a «dare loro una speranza concreta» come gesto concreto in preparazione dell’Anno Santo, i migranti ospitati dalla Chiesa in Italia erano 22.600: in cento giorni, dunque, si registra un incremento di oltre 4.500 unità, anche se dati esatti si conosceranno dopo la Giornata Mondiale dei Rifugiati, nel giugno prossimo.

«In ogni caso possiamo dire che c’è stata una grande risposta finora, tenuto conto che il percorso previsto dal vademecum della Cei indica precise modalità, forme e strumenti per informare la rete, coinvolgere le istituzioni, formare gli operatori e varare i progetti che devono accompagnare sia l’accoglienza sia il rientro dei migranti nella loro terra» commenta monsignor Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes, l’organismo pastorale della Cei incaricato, insieme con le Caritas diocesane, di rispondere a questo bisogno di solidarietà.

«Va detto inoltre che un migrante richiedente asilo su quattro è ospitato attualmente in una struttura ecclesiale – prosegue don Perego – e, in particolare, in Lombardia 1 su 2, in Basilicata 1 su 3, come in Piemonte: queste le risposte più significative nelle regioni anche se non è solo una questione di numeri ma anche di qualità dei servizi offerti e di impegno per evitare la conflittualità sociale, e poi va detto che soltanto 450 Comuni italiani sugli 8.100 accolgono tuttora i migranti all’interno del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar)».

«Un quarto dell’accoglienza dei profughi è gestito in Italia dalla Chiesa – gli fa eco Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione della Caritas italiana – e non solo per l’ospitalità nelle famiglie e nelle parrocchie ma anche per quanto riguarda gli aspetti legali, sanitari e amministrativi e per l’assistenza ad altri soggetti bisognosi, ad esempio le donne vittime della tratta».

Le realtà più attive? Bari, Verona, Torino (con 200 famiglie coinvolte in un progetto di ospitalità), Roma, Parma, Bologna, Vicenza, Cremona, Brescia (dove 52 appartamenti destinati a famiglie di migranti sono in via di ristrutturazione), Chiavari, Treviso ma a anche Aversa, Lecce, Messina e Siracusa, con decine di progetti in fase di attuazione o già varati. A Milano, da settembre, hanno dato la disponibilità a ospitare profughi 113 parrocchie e 11 enti religiosi per un circa 450 posti, come risposta all’appello del Pontefice e del cardinale Angelo Scola. Impegno che si aggiunge a quello della Caritas Ambrosiana che gestisce 781 posti assegnati: complessivamente la diocesi lombarda si sta attrezzando per realizzare un sistema di accoglienza stabile di oltre 1.000 posti.

E ha già preso corpo il 'Progetto Rifugiato a casa mia' della Caritas che in più di un anno ha garantito un luogo dove vivere, all’interno di nuclei familiari, a 953 stranieri in difficoltà in 65 diocesi sparse nello Stivale, iniziativa che favorisce il raggiungimento dell’autonomia ai richiedenti protezione e ai rifugiati attraverso l’accoglienza presso famiglie della comunità cristiana che sono così aiutate a vivere, attraverso la convivenza con persone provenienti da altri Paesi, un’esperienza di solidarietà e condivisione nelle realtà ecclesiali locali.

Caritas italiana sulle diverse forme con le quali la Chiesa italiana sta rispondendo all’emergenza profughi e all’appello di papa Francesco

2/ Accoglienza, Caritas e Migrantes scrivono a "la Repubblica"

Riprendiamo dal sito della Caritas italiana due articoli pubblicati il 22/12/2015 e il 13/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

Egregio Direttore Mauro,
in relazione al titolo dell’articolo di Jenner Meletti “Porte chiuse agli immigrati la solidarietà flop delle parrocchie”
 pubblicato il 21 dicembre 2016 a pag. 23 dal quotidiano da lei diretto, desideriamo renderla partecipe di alcune considerazioni.

In primo luogo spiace continuare a vedere titoli generici e semplicistici sparati nel calderone mediatico tanto per far rumore, a fronte di situazioni che, paradossalmente, dallo stesso corpo dell’articolo emergono come complesse e in itinere, non riducibili a una mera questione di numeri e percentuali, né tantomeno a grossolane contrapposizioni culturali. Su che basi si afferma che la solidarietà fa flop nelle parrocchie e che i numeri sono esigui?

Addolora ancor più la constatazione che in tal modo si mortifica il lavoro di tanti operatori, volontari, parrocchiani impegnati ogni giorno accanto ai più bisognosi, in un cammino di attenzione alle necessità del prossimo e di crescente coinvolgimento nei grandi problemi del mondo. Viviamo in una società già abbastanza malata di diffidenza ed è inaccettabile veder negato da un titolo lo sforzo dell’intera rete ecclesiale nell’accoglienza sul territorio. Sono infatti oltre 23.000 i richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle Diocesi italiane: 1 su 4 dei richiedenti asilo in Italia è accolto in una struttura ecclesiale, arrivando addirittura ad essere 1 su 2 in regioni come la Lombardia, e la Basilicata o 1 su 3 in Piemonte. Senza contare che accanto alle accoglienze in emergenza c’è da sempre un impegno ordinario in favore di migliaia di persone in difficoltà.

“La sfida che oggi ci si presenta è – come ci ha ricordato papa Francesco nel Messaggio per la XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali – reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione... L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme”.

Nel ‘Vademecum’ dei vescovi italiani è affidato a Caritas e Migrantes anche questo tassello importante di una informazione del fenomeno migratorio nelle nostre comunità, come momento previo all’accoglienza, per una più consapevole e larga partecipazione.

Così come all’attenzione all’accoglienza nel ‘Vademecum’ viene unita - con l’iniziativa di 1000 microprogetti e la campagna lanciata da Caritas Italiana, Focsiv e Missio “Il diritto a rimanere nella propria terra”- l’attenzione ai Paesi e alle situazioni di provenienza dei richiedenti asilo e rifugiati. Un’informazione completa e responsabile chiede dunque di accogliere, con umiltà, l’appello del Papa.

Forse si avrà qualche contatto o qualche copia venduta in meno, ma si potrà dire di aver usato bene il potere delle parole, di aver fatto buona comunicazione, che può aprire uno spazio per il dialogo e la comprensione reciproca.

3/ Giubileo: il diritto di rimanere nella propria terra

Riprendiamo dal sito della Caritas italiana due articoli pubblicati il 22/12/2015 e il 13/12/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

In occasione del Giubileo della Misericordia  e su invito della Conferenza episcopale Italiana, Fondazione MISSIO, la Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) e Caritas Italiana lanciano la campagna dal titolo “Il diritto di rimanere nella propria terra”, per promuovere e garantire a ciascuno il diritto di restare nel proprio Paese vivendo in modo dignitoso.

Papa Francesco, con l'indizione di questo anno giubilare, ci indica infatti ancora una volta la via dell'accoglienza e della carità concreta. Le nostre Chiese sono da sempre in prima fila nel servizio, nella tutela, nell’accompagnamento dei più poveri e, di fronte al dramma dei migranti che continuano a perdere la vita lungo le diverse rotte della disperazione, il Consiglio Permanente della CEI ha approvato un un vademecum con una serie di indicazioni pratiche per le Diocesi italiane circa l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia e per la solidarietà con i paesi di provenienza dei migranti.  

Al punto 7 del vademecum la CEI evidenzia che “il doveroso impegno di  accoglienza non deve farci dimenticare le cause del cammino e della fuga dei migranti che arrivano nelle nostre comunità: guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose” e sollecita Caritas Italiana, Focsiv e Fondazione Missio a riconoscere il «diritto a restare nella propria terra».

Il lavoro unitario dei tre organismi a livello nazionale si traduce in questa campagna declinata in varie iniziative e proposte di riflessione durante tutto l'anno giubilare.

Questa sezione, insieme ad altri strumenti (siti internet, riviste, ecc.), vuole essere veicolo di informazione e spunti per le rispettive realtà a livello diocesano. L'auspicio è che sia utile per rafforzare nei vari territori tavoli di confronto, rielaborazione, rilancio e moltiplicazione di tali proposte. Nella logica di una bella pastorale di insieme.

Una riflessione: «Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2COR 5, 14-21)

Ambiti di azione:

La CEI ci chiede di «valorizzare le esperienze di cooperazione internazionale e di cooperazione missionaria» e aggiunge che «Nell’anno giubilare le Chiese in Italia si impegneranno a sostenere 1000 microrealizzazioni nei Paesi di provenienza dei migranti in fuga da guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose».

In questa sezione proponiamo:

1. le microrealizzazioni nelle terre di origine dei migranti puntando al citato traguardo di 1000 (mille).

2. Consapevoli e testimoni delle sofferenze dei migranti anche lungo le rotte migratorie, proponiamo una microrealizzazione speciale – idealmente la numero 1001, anche se in realtà sono diverse, suddivise in moduli – nei Paesi di transito, per garantire anche il diritto a una migrazione sicura, in particolare lungo la nuova rotta balcanica. Sosteniamo così le Chiese locali di questi Paesi, generalmente minoritarie, chiamate ad affrontare una sfida per loro del tutto nuova.

Scopri le micro dei moduli "Aiuti di urgenza" (in Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia), "Accoglienza diffusa" (in Grecia e Serbia), "Formazione" (in Macedonia).

3. Una terza proposta raccoglie tutte le iniziative che rappresentano in modo particolare occasioni di scambio pastorale, rapporti solidali, formazione, animazione, sensibilizzazione.

Qui una proposta di gemellaggi tra le diocesi italiane e le diocesi di Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia.

Per contribuire è possibile trovare qui le indicazioni utili.

4/ Breve nota su Roma, di G.A.

Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.

A Roma sono già 135 le realtà ecclesiali (parrocchie ed istituti religiosi) che hanno dato la disponibilità per la I o la II accoglienza dei profughi. Oltre a questa accoglienza si deve ricordare che altre comunità offrono già da anni la disponibilità per l’accoglienza dei senza fissa dimora o per case famiglia, oltre alla cosiddetta “emergenza freddo”, cioè l’accoglienza dei senza fissa dimora nelle settimane di freddo rigido, e debbono tenere i locali disponibili per tali esigenze.

Il numero di 135 comunità cristiane disposte ad accogliere giorno e notte profughi – fra l’altro non famiglie come si era annunciato preventivamente, bensì solo persone di sesso maschile – non ancora identificati dalle autorità è un segno dell’attenzione accresciutasi grazie al magistero di papa Francesco ed una testimonianza del Vangelo vissuto diffusamente nella nostra amata città di Roma. 

Ma, certamente, non si deve dimenticare la provocazione a fare ancora di più. Sarebbe significativo che anche tante associazioni laiche si unissero in questo sforzo di accoglienza, mettendo a disposizione i loro ambienti, in una gara di fraternità. Sarebbe pensabile, ad esempio, che anche lo staff di quotidiani come La Repubblica che sono giustamente così interessati al tema possano mettere a disposizione alcuni ambienti delle diverse redazioni a questo fine, con un’esperienza di volontariato dei diversi giornalisti per coprire i turni notturni e diurni? Sarebbe un’occasione unica per scambiarsi esperienze con le parrocchie che hanno dato la disponibilità all’accoglienza e confrontarsi su come rispondere al meglio all’emergenza.   

Per quel che riguarda le parrocchie che non hanno finora dato la disponibilità, pur desiderandolo, per l’accoglienza dei profughi bisogna considerare che molte non hanno locali adatti, ad esempio camere da letto con bagni indipendenti rispetto ai locali abitualmente frequentati dalle persone della parrocchia, come richiedono le disposizioni. Alcuni quartieri di Roma attendono ancora da decenni l’edificazione dei complessi parrocchiali.

L’elemento che rende più difficile in alcune comunità l’accoglienza è la richiesta che i profughi non vivano una vita “indipendente”, ma abbiano al loro fianco giorno e notte la presenza di operatori: le prefetture civili richiedono, ad esempio, che i profughi non abbiano una cucina a disposizione, finché non vengono identificati, ma abbiano al loro fianco personale di modo che i migranti non debbano prepararsi da soli nemmeno un the, ma anche le bevande siano loro preparato da chi si impegna ad accoglierli. Tali procedure rendono ovviamente estremamente impegnativa l’accoglienza e, probabilmente, la testimonianza di chi ha iniziato il percorso di accoglienza, aiuterà a superare le difficoltà che esistono nelle comunità dove non è stato ancora possibile iniziarlo.

Qui un video che racconta l'esperienza della parrocchia romana di San Giuseppe al Trionfale