1/ Ma di cosa parliamo quando parliamo di energia? Alcuni spunti, di Fabrice Hadjadj 2/ Niente è più universale dell'universo: a proposito di ospitalità, di Fabrice Hadjadj

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /12 /2015 - 14:31 pm | Permalink | Homepage
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1/ Ma di cosa parliamo quando parliamo di energia? Alcuni spunti, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 6/12/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.

Il Centro culturale Gli scritti (20/12/2015)

Volevo scrivere un pezzo sul tema dell'energia e più specialmente sul petrolio che è il legame tra terrorismo islamico, riscaldamento climatico e guerra in Siria (sembra che le due cause immediate della guerra siano una siccità senza precedenti che ha generato grandi spostamenti della popolazione e la costruzione di una pipeline sciita, che ha permesso a Iran e Iraq di esportare parte del loro greggio verso le coste mediterranee della Siria, cosa che i Sauditi non potevano tollerare…). Ma, lo ammetto, la vastità del compito mi ha scoraggiato - o, per meglio dire, mi è mancata l'energia.

Curiosamente, è questa mancanza di energia che mi ha dato la spinta per andare più in profondità. Il metafisico è spesso un uomo troppo pigro per documentarsi: là dove gli altri hanno l'ardore di accumulare notizie in quantità, e si condannano in questo modo alla superficialità, egli, incapace di aprire un giornale, si vede obbligato a meditare su fatti elementari, in particolare sul semplice fatto di esistere - che non è un' "esclusiva" ma rimane per questo una notizia abbastanza fresca. Per quanto ci riguarda, il fatto elementare si trovava nella mia espressione "mi è mancata l'energia".

Ho subito constatato che in quell'espressione la parola "energia" ritrovava un po' del suo senso originario. Avere energia non significa qui disporre di gas o di elettricità, ma essere sé stessi, con una pienezza che permette di sprigionare un'attività propria. Se la lampada si accende, l'automobile si mette in moto, il computer gira, ma ci manca quell'energia, tutto diventa deprimente e non è escluso che stavamo utilizzando l'energia esteriore che ci resta per "sballarci", in un modo o nell'altro.

La parola "energia" è una di quelle ad aver conosciuto il più grande capovolgimento di senso. Per Aristotele, l'energeia non è una potenza disponibile e indeterminata ma è al contrario l'atto, la forma attuale, singolare, ben delimitata di un essere. L'energia di un gatto è di essere quel gatto lì, uguale a nessun altro e che si è appena rifatto gli artigli sul tuo divano di pelle. Ma ecco che - per rancore verso il gatto - ci siamo messi a chiamare energia precisamente ciò che non è, qualcosa cioè di abbastanza informe e non orientato che si può usare per alimentare un apparecchio qualsiasi - dalla bambola che dice "mamma" fino all'escavatrice Bagger 288.

La Rivoluzione industriale è stata innanzitutto una rivoluzione energetica. Da un mondo in cui la sorgente principale di energia era metabolica - quella dei corpi umani - ci ha fatto passare al regno delle energie fossili, e di conseguenza, delle macchine. Da allora il controllo dell'energia non implica più il dominio sui corpi - ed ecco la fine della schiavitù; ma, come ci ha fatto capire Ivan Illich, la scomparsa della schiavitù implica a sua volta la sottomissione del lavoro umano al lavoro delle macchine, alle loro cadenze, ai loro programmi, alla loro produttività sproporzionata, e porta anche alle guerre per il petrolio. L'essenziale tuttavia non è questo. 

È piuttosto la perdita del senso dell'energia come formale, determinata, costitutiva di una singolarità, a vantaggio di un'energia concepita come illimitata, non in quanto risorsa ma nel suo stesso essere, come potenza informe, simile al denaro e sua alleata, manipolabile all'infinito. Questa perdita si ritrova ovunque nel nostro modo di guardare all'essere, che non è altro che una scorta di elementi ricombinabili. Ed origina i disastri attuali: presto non si combatterà più per il petrolio, ma per l'acqua potabile, o per l'aria pura… Acqua e aria che sono effettivamente la base della vera energia umana.

2/ Niente è più universale dell'universo: a proposito di ospitalità, di Fabrice Hadjadj

Riprendiamo da Avvenire del 13/12/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (20/12/2015)

Alcuni preti, per meglio accogliere il fratello straniero, hanno pensato che fosse bene togliere dalle loro chiese la croce. Probabilmente ciò non basta a ottenere un luogo sufficientemente neutro. Certo, essi avevano già cominciato a rimuovere il papa, le vetrate, gli inginocchiatoi, la chiesa stessa - perché costruita a forma di croce latina - ma, seguendo questa logica, per essere del tutto accoglienti bisognerebbe sradicare la vegetazione tutto attorno, troppo caratteristica dei paesi del nord, cancellare i volti, troppo determinati rispetto a uno smiley, e non parlare più la propria lingua, troppo carica di letteratura nazionale e perfino confessionale.

Tutto questo si ricongiunge alle prospettive educative di certi sostenitori del laicismo: secondo un ex-ministro francese dell'educazione, la missione principale della scuola dovrebbe essere «strappare l'alunno da ogni determinismo familiare, etnico, sociale e intellettuale per dargli il potere di scegliere», come se la libertà potesse esercitarsi solamente contro il reale. Il luogo ideale dell'ospitalità sarebbe una stanza bianca, e forse ancor di meno. Perché qui, meno è più. Per essere più universali bisogna avere meno tratti particolari. E siccome soltanto i concetti sono perfettamente universali, mentre le cose sono sempre particolari, la posta in gioco diventa avvicinarsi il più possibile al nulla armati di grandi concetti astratti… 

Mi pare al contrario che niente sia più universale dell'universo, con tutte le sue determinazioni sia naturali che culturali. E nulla è più accogliente di una casa familiare, con il suo nome proprio, la sua eredità, i suoi riti, la sua fede - beninteso, nella misura in cui questa è capace di aprire la sua porta. L'ospitalità tuareg consiste nell'offrire il tè sotto la tenda e conversare di cammelli e di Allah: se mi si offrisse vino di Bordeaux, e se la discussione evitasse tutto ciò che sta a cuore e che per questo potrebbe essere motivo di contrasto, non mi sentirei accolto allo stesso modo. Notiamo del resto un paradosso: colui che, in quanto ospitante, chiede la rimozione di tutti i simboli legati alla sua cultura, in quanto turista, esige che siano mantenuti i simboli del paese che visita.

La contraddizione è soltanto apparente: il mantenimento è quello di una cartolina e la cancellazione quella di un spazio di consumo. Cionondimeno, prima di potere essere accogliente, un luogo deve esistere, ed esistere umanamente, col suo genio singolare, oltre l'astrazione spaziale e la funzionalità pratica.
Isaia canta il Creatore come Colui che ha creato la terra: non l'ha creata informe ma l'ha formata perché fosse abitata (Is 45, 18). L'ospitalità divina non sta in una tabula rasa, ma nell'abbondanza screziata del cosmo, con le sue 12000 specie di formiche, le stelle innumerevoli, i lupi e gli agnelli, gli arcobaleni e i maiali, che sono anche simboli che non possiamo dire neutri. È questo del resto il principio dell'ecologia integrale, dove fare posto all'umano non significa eliminare gli altri esseri viventi.

Contro un universale integralista che dissipa tutto in due o tre astrazioni (che siano destra o di sinistra ) l'ecologia integrale pensa un universale di integrazione che rafforza la diversità delle cose come la diversità dei fiori sotto la luce del sole…

L'immagine è un contrasto e non una concorrenza: se ci fossero soltanto rose, e non margherite e neanche fiordalisi, la rosa stessa ci rimetterebbe e tenderebbe a diventare inodore ed incolore, poiché non avrebbe più bisogno di odore e colore per distinguersi. Per quanto mi riguarda e per ritornare al nostro esempio da partenza, per accogliere il fratello straniero, non toglierei la croce: la circonderei di fiori, e seguirei l'esempio del crocifisso.