Natale è anche il canto di un popolo. I canti della Chiarastella, di Ambrogio Sparagna
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Riprendiamo da Avvenire dell’8/12/2015 un articolo di Ambrogio Sparagna. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (13/12/2015)
Ambrogio Sparagna e Francesco De Gregori
Intorno alla metà del Settecento Sant’Alfonso Maria de’ Liguori comincia ad arricchire il suo lavoro pastorale fra i poveri del Regno di Napoli con la pratica di alcune canzoncine spirituali composte sia in dialetto che in italiano. Si tratta di canti dall’impianto musicale semplice che traggono spunto da temi popolari.
Così facendo il missionario insegna ai “lazzari” i fondamenti del cristianesimo, li rende protagonisti dei cerimoniali liturgici mediante la creazione di appositi gruppi di preghiera e perpetua l’uso consolidato del canto popolare come forma “speciale” di catechismo. In Italia, questo genere di espressività musicale religiosa è sempre esistita e ha raggiunto punte di grande intensità spirituale con la diffusione delle laudi medievali. Una testimonianze di questo genere è ancora rintracciabile in tante forme di rappresentazioni quaresimali che caratterizzano tuttora la vita religiosa di molte comunità della nostra Penisola.
Nel Cinquecento san Filippo Neri rinnova questa pratica rituale dando vita a un ricco repertorio di laude il cui ricordo è ancora vivo in tante preghiere cantate in molte comunità. Sant’Alfonso continua ed emancipa questa grande tradizione di catechismo cantato componendo numerose canzoncine spirituali legate al calendario liturgico.
In quelle legate al ciclo natalizio egli traduce il senso dello stupore e della gioia riportato dai testi evangelici, consegnandoci dei veri e propri capolavori. Fra queste alcune diventano famosissime come Tu scendi dalle stelle, Quanne nascette ninno e Fermarono i cieli. In particolare Tu scendi dalle stelle, composta intorno al 1754, riscuote subito un successo straordinario tanto che nel 1769 viene pubblicata e diffusa sul tutto il territorio nazionale diventando così il primo esempio di canzone italiana. Il successo editoriale consente la formazione di un genere musicale specifico assai originale e innovativo, in quanto introduce in ambito popolare l’uso di strofe, ritornelli e interludi strumentali. La larghissima diffusione di questo repertorio favorisce la creazione nelle rappresentazioni presepiali di tanti immagini di pastori musicisti che animano con i loro suoni le varie scene.
Verso la metà del Settecento questo repertorio si diffonde in ogni regione italiana diventando protagonista di tanti rituali del ciclo dell’Avvento. I canti della Chiarastella, come questo genere musicale viene definito in alcune aree dell’arco alpino, hanno diverse caratteristiche: alcuni hanno funzioni narrative e descrivono varie episodi tratti dai racconti evangelici o dalle vite dei santi, altri sono canti di questua augurali come le novene degli zampognari di fronte ai presepi, altri ancora sono canti infantili come filastrocche, ninnananne e canti enumerativi.
A partire dalla metà dell’Ottocento molti demologi raccolgono e pubblicano questi canti nelle varie antologie di poesia popolare allora assai in uso. Pur prive di trascrizioni musicali specifiche, queste “poesie” costituiscono oggi una fonte essenziale per la riscoperta di un repertorio ancora largamente praticato in tante comunità della Penisola, in particolare in quelle aree periferiche dove la cultura contadina rappresenta ancora un segno connotativo.
Contagiati dallo stupore e dalla gioia che questi canti continuano ancora a raccontarci, dal 2008 abbiamo cominciato a proporre ogni anno al Parco della Musica di Roma, in occasione del Festival Natale in Auditorium, La Chiarastella, un grande concerto-spettacolo dedicato ai canti sacri popolari della tradizione del Natale. Nelle giornate del 5 e 6 gennaio l’Orchestra Popolare Italiana, (un organico unico nel suo genere composto da strumenti tipici della tradizione popolare italiana residente all’interno del Parco della Musica) offre alle migliaia di spettatori che affollano le sale dell’Auditorium un ricco programma di canti eseguiti in vari dialetti regionali e lingue di minoranza etnolinguistiche.
Da nove anni, è una grande emozione dare vita a un grande programma di canti, storie e racconti che rinnovano la gioia e lo stupore per il mistero dell’Incarnazione. Un’emozione che tocca i tanti protagonisti della Chiarastella, siano essi cantanti, strumentisti, coristi o anche solo pubblico partecipante. È così, alla fine di ogni spettacolo, il nostro grande concerto a Gesù Bambino diventa un momento di grande festa popolare, un’occasione speciale di ricerca umana e spirituale.
Per contagiare con la nostra gioia il pubblico dei lettori di “Avvenire”, da oggi 8 dicembre, Festa dell’Immacolata, e sino al 10 gennaio, pubblicheremo ogni giorno sulle pagine di questo giornale alcuni canti della Chiarastella raccolti ed elaborati in questi anni. Di ogni canto vi presenteremo il testo originale in dialetto, con l’eventuale traduzione, e alcune notizie critiche che vi aiuteranno a comprenderne la bellezza che da sempre ha riempito il cuore di grandi e bambini.
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Devo dire che quando, alcune settimane fa, ho concordato con Ambrogio Sparagna di realizzare e pubblicare tra oggi, 8 dicembre 2015, e il prossimo 10 gennaio 2016 una serie di articoli capaci di portare i lettori nel cuore dello straordinario mondo dei canti tradizionali del Natale di Gesù non immaginavo che proprio questi canti sarebbero finiti nel vortice di polemiche superficiali e anche cattive. Ma è successo. Sono perciò specialmente contento di poter offrire a tutti noi la guida di questo generoso interprete e grande studioso della nostra musica popolare. Una guida che aiuterà a riscoprire la profondità del legame tra l’evento cristiano e la plurale cultura del nostro Paese (con l’unità di fondo nella ricchezza delle sfumature, anche di dialetti, che la caratterizza). Natale, infatti, è diventato nei secoli il canto corale e dai cento accenti del nostro popolo, ed è scavato nella sua stessa anima. Risalire perciò lungo la lunga 'voce' italiana del Natale aiuta – con dolcezza e forza – a capire l’insensatezza di certe ritornanti pretese di rinunciare (sterilizzandoli o svuotandoli del tutto) ai simboli e alle tradizioni propri della festa per la nascita di Cristo. Buon cammino, allora, e buone letture a tutti, sotto la luce della Chiarastella. (mt)