[“Non ho tempo” nell’era di Internet], di Michele Serra
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Riprendiamo da La Repubblica del 6/12/2015 un articolo scritto da Michele Serra per L’amaca. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (13/12/2015)
“Non ho tempo” è una delle considerazioni che ci si trova a fare spesso, in balia di agende costipate e giornate frenetiche. Ma questa lamentela — non ho tempo — confligge con la fondamentale promessa che l’evo tecnologico porta in dote: restituircelo, il tempo, liberandolo da obblighi e mansioni che la tecnologia consente di fare con rapidità infinitamente maggiore. Invece all’aumento della velocità corrisponde la sensazione, penosa e incongrua, di andare troppo lentamente… È accaduto che la tecnologia, proprio perché ha enormemente accorciato i tempi di molte attività (per esempio le relazioni pubbliche e private), ha aumentato a dismisura il desiderio (o l’illusione) di moltiplicare all’infinito la nostra facoltà di “fare cose, vedere gente”.
Se prima in dieci ore facevamo dieci cose, ora ne facciamo mille, dispiaciuti di non riuscire a farne diecimila. E viviamo l’ozio, la “perdita di tempo”, la modalità “off”, con un sentimento di colpa. Volendo girare un remake di “Tempi moderni”, la difficoltà maggiore sarebbe ripensare la celebre scena di Chaplin nella morsa di enormi ingranaggi che lo stritolano, parodia della produttività ossessiva. La morsa è diventata immateriale, non è più fatta di ruote dentate, e il padrone che ci sorveglia occhiuto, battendo il ritmo, siamo noi stessi. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo compresso in una sola persona.