1/ Queste nostre leggi che ci «vietano» la pietà per i morti, di Fabrice Hadjadj 2/ Il predominio assoluto della tecnica e l'etica della crudeltà, di Fabrice Hadjadj 3/ Terrore e tecnocapitalismo: per il paradiso premere il pulsante
- Tag usati: fabrice_hadjadj
- Segnala questo articolo:
1/ Queste nostre leggi che ci «vietano» la pietà per i morti, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire dell’8/11/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, cliccare sul tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
Dinanzi alla tomba di G.K. Chesterton
Noi preghiamo per le anime dei defunti, ma che facciamo per i loro corpi? Ci ho ripensato ultimamente dopo aver visto I combattenti, un film molto bello di Thierry Cailley che cristallizza molte questioni della nostra epoca. All'inizio, i due figli di un falegname appena morto si trovano nell'ufficio di un impresario di pompe funebri. Contestano la qualità delle sue bare e il loro prezzo esorbitante. E così, decidono di tornare nel laboratorio del padre e di mettersi al lavoro: scelgono il legno migliore, segano, piallano, levigano, adattano, inchiodano le tavole della bara nella quale hanno messo tutta la loro pietà manuale.
Invano. Perché l'agenzia Nazionale per la Sicurezza Sanitaria nega loro il "benestare". Dovranno acquistare una di quelle casse industriali, che sia conforme all'articolo R2213-25 del codice generale delle Collettività Territoriali e che possegga in particolare «una guarnizione stagna fabbricata in materiale biodegradabile approvato dal ministero della salute».
Balzac già scriveva alla fine del suo romanzo Ferragus: «Sono pochi a conoscere le battaglie che un dolore vero deve sostenere con la civilizzazione, con l'amministrazione parigina […]. In una città dove il numero delle lacrime ricamate sui drappi funebri è soggetto a tariffa, dove le leggi ammettono funerali di sette classi, dove si vende a peso d'oro la terra dei morti, dove il lutto è sfruttato e registrato in partita doppia, dove le preghiere della chiesa si pagano a caro prezzo, tutto quello che esce dal solco amministrativamente tracciato per il dolore è impossibile».
Ma la cosa più dura è pensare che il corpo della persona che hai amato, che ami ancora, tuo padre, tua moglie, tuo figlio, sarà manipolato in ultima istanza da ignoti patentati, oh certo! con tutta l'abilità acquisita alla Scuola Nazionale dei Mestieri Funerari, e che si meritano tutto il loro stipendio per averti lasciato le mani pulite.
Questo è il progresso della nostra civiltà: fare una mercanzia del rituale più elementare, che per questo non è più un rituale ma una transazione commerciale e che ci fa regredire più indietro della pietà che perfino l'uomo preistorico possedeva.
Non sappiamo più lavare i nostri morti. Non gli rendiamo più l'omaggio dell'ultima tenerezza. Oggi le pie donne non andrebbero al sepolcro con gli unguenti. Dovrebbero assoldare degli specialisti autorizzati dall'amministrazione romana.
In tali condizioni, non è certo che il Risorto accetterebbe ancora di apparire… In Messico, verso la fine degli anni 60, Ivan Illich trova rivoltante la promulgazione di una legge, già vecchia in Europa, che da quel momento obbliga le famiglie a rivolgersi alle imprese di pompe funebri. Lo ricorderà più tardi in uno dei suoi libri: «Il dovere di lavare i morti è stato elevato dalla Chiesa alla dignità di un atto di misericordia. Ignazio di Loyola lo imponeva ai sue novizi prima che pronunciassero i voti per essere ammessi nell'ordine dei Gesuiti».
Non credo che la Compagnia di Gesù abbia conservato questa tradizione. È scomparsa, come le confraternite, i riti familiari e tutte quelle pratiche che ci rendevano tanto più vivi e lucidi quanto più ci mettevano al contatto di un morto con tutto il suo peso. Ma non si tratta più di questo.
Il futuro è piuttosto il riciclaggio scientifico fatto dai migliori esperti: fabbricare pezzi di ricambio, concime, energia rinnovabile… L'impresa americana B&L Cremation Systems propone così di ricuperare il calore delle cremazioni: un solo cadavere umano permetterebbe a 1500 abbonati di vedere un episodio della loro serie preferita.
2/ Il predominio assoluto della tecnica e l'etica della crudeltà, di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo da Avvenire del 15/11/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
Il progresso tecnologico, l'abbiamo già osservato, porta con sé una regressione tecnica: mettiamo in moto processi giganteschi con la punta di un dito ma non sappiamo più lavorare con le nostre mani. Non sono neanche tanto sicuro che saremmo in grado, al giorno d'oggi, di realizzare una crocifissione come si deve.
Data la pena che mi procura appendere un quadro, immagino cosa deve essere fissare un corpo in verticale su due pezzi di legno. Si ricomincerebbe da capo un sacco di volte. Il crocifisso si staccherebbe, si sprecherebbero tantissimi chiodi, gli si macellerebbero i piedi e i polsi, mancando così ciò che rende questo supplizio interessante: non l'ostinarsi a bucherellare il condannato, ma guardarlo tranquillamente mentre soffoca sotto l'effetto del suo stesso peso. In breve, per una buona crocifissione ci vogliono ancora dei buoni carpentieri…
Queste brevi osservazioni permettono di accorgersi di un problema di fondo del nuovo discorso morale che siamo obbligati a tenere nei confronti del vangelo tecnocratico. Quest'ultimo vorrebbe estrarci della condizione umana per farci entrare nella pelle di un cyborg sottomesso alle leggi dell'innovazione e dunque dell'obsolescenza.
Di fronte a questo progetto, il nostro discorso morale si sposta: non si tratta più, in primo luogo, dell'esortazione a diventare migliori ma di quella a restare semplicemente umani. Questo significa, di conseguenza, cercare di preservare un certo male all'antica, rimpiangere o quasi il tempo in cui si uccideva spinti dalla rabbia e dall'odio e non per la pianificazione benintenzionata di un mondo il migliore, quando si poteva crocifiggere con le proprie mani il Figlio di Dio, mentre oggi, per evitare a lui e a sua madre un tale calvario, gli si sarebbe impedito di nascere.
Di fatto, quali sono le gentili proposte transumaniste? Una società come una macchina ben oliata, con individui interamente pacificati, sospesi in un cloud rosa, immortali, e che, non appena avvertono una qualche debolezza, escono dal sistema grazie a un'iniezione che procura loro anche il più straordinario degli orgasmi. Per opporsi alla fabbricazione di un simile superman super-gadget, la carità è chiamata a sembrare sempre più crudele, la misericordia sempre meno compassionevole. Esse devono predicare che è bene invecchiare, soffrire, morire, nascere nella casualità del sesso da genitori incompetenti, e che è bene perfino di essere capaci di peccare qui sulla terra, altrimenti si sarebbe soltanto un ingranaggio in un dispositivo.
Ne facciamo l'esperienza: rifiutando di acquistare ai nostri figli l'ultimo apparecchio per essere sempre in contatto con gli amici, appariamo come dei mostri; dicendo a un'amica sterile che non bisogna ricorrere alla fecondazione in vitro, sembriamo dei malvagi chiusi alla vita; rifiutando l'eutanasia che pone fine alle sofferenze, la nostra moralità pare ridursi a quella di un torturatore; mettendo un limite alla crescita, la nostra Buona Novella prende l'aspetto di un antiumanesimo preistorico.
Ma ancor di più: vietando i droni militari, ci presentiamo come i promotori del corpo-a-corpo cruento; rifiutando la riduzione della libertà ad algoritmi senza errori, diventiamo i difensori della possibilità del crimine passionale, della bestemmia, dell'incesto, dell'apostasia (in quanto possibilità, certo…)
Cadremo dunque in una sorta di infra-moralità? Non ne sono così sicuro. Questa etica della crudeltà, per resistere alla logistica del bene programmabile, esige il coraggio più alto e dunque la virtù più grande. Essa ci spinge anche ad una fede nell'Incarnazione più grande: sempre di più, per sostenere che restare umani è la possibilità del vero trasumanar di Dante, bisognerà credere al Dio fattosi falegname, morto a 33 anni.
3/ Terrore e tecnocapitalismo: per il paradiso premere il pulsante
Riprendiamo da Avvenire del 29/11/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
Il primo scopo del terrorismo è, come dice il nome stesso, quello di provocare un clima di terrore e di sbigottimento tale che, nell'attualità, nei discorsi, niente abbia più importanza se non parlare del Daesh, della guerra in Siria, di Abdelhamid Abaaoud, dei suoi mandanti e dei suoi complici… I fomentatori di attentati riescono così a «ridefinire l'agenda mondiale» e a far girare tutto intorno alla loro violenza ipnotica, al punto di farci dimenticare i doveri del nostro stato e le nostre battaglie più fondamentali: non dovremmo più giocare con i nostri figli, parlare degli uccellini, recitare Baudelaire o riflettere sulla Cop21, e la nostra battaglia per l'ecologia integrale contro il tecno-capitalismo sarebbe all'improvviso diventata antiquata in nome dell'unione nazionale contro il «nemico esterno».
Perché il nemico sarebbe soltanto esterno, senza dubbio. A prima vista non c'è nessun rapporto tra l'autoproclamato Stato Islamico e gli Stati tecnocratici, tra il fondamentalista musulmano e il transumanista occidentale: da un lato fideismo, dall'altro razionalismo; là, sharia, qui, regime democratico; là, famiglia patriarcale, qui, matrimonio per tutti, eccetera.
E, tuttavia, quando si osserva più da vicino, è difficile non vedere i legami profondi, strutturali che li avvicinano e pure li identificano.
Comincerò da due indizi. Il primo porta il nome di Bruxelles. Dove si trova il crocevia del jihadismo europeo, là sono le istituzioni europee. È soltanto un caso? Ci si potrebbe comunque aspettare attorno a queste istituzioni meravigliose, fari del dopoguerra, uno sfavillio culturale, storico, greco-latino, se non giudaico-cristiano. Al contrario, a Bruxelles c'è il 30% di musulmani, e a Molenbeek e a Saint-Josse, Comuni della regione di Bruxelles-capitale, il 40% e addirittura il 50%… Come non riconoscere il segno di un insuccesso totale della «costruzione» dell'Europa? Ma anche, senza spingersi a denunciare con Bat'Yeor le probabili collusioni di una certa «Eurabia», come non discernere un rapporto tra la tecnocrazia europeista e il terrorismo del Daesh, rapporto che non sarebbe soltanto di reazione?
Secondo indizio: è corsa voce che i terroristi abbiano utilizzato per comunicare la chat della Playstation 4, più difficilmente tracciabile di quella di Gmail o di What'sApp. Che sia vero oppure no, già sapevamo dall'affare Snowden che la Cia sorveglia la Xbox e World of Warcraft. Basta d'altronde visionare i video che pubblicizzano lo Stato Islamico su Internet: ci si ritrovano tutti i codici dei videogiochi, dei film d'azione, kalashnikov in una mano, smartphone nell'altra.
Questo basta per farci saltare la pulce all'orecchio… Si aggiunga inoltre il ruolo decisivo delle energie fossili nel finanziamento del gruppo terroristico (e nelle nostre complicità con alcuni petro-potentati che non li osteggiano), ed ecco un'eccellente introduzione ai sei punti di contatto che vorrei mettere in evidenza e che confermano una percezione più vasta, direi perfino più ecologica del combattimento:
1) Terroristi e tecnocapitalisti sono mondialisti. Non sono in relazione con una terra, né con una famiglia. Non hanno oikos. Le loro reti ignorano le frontiere, le realtà regionali, le differenze etniche, le trasmissioni tradizionali. Arruolano chiunque e dovunque nel loro grande macchinario conquistatore.
2) Assieme alla disincarnazione detta sopra, gli uni e gli altri promuovono una funzionalizzazione del corpo umano che è anche la sua mercantilizzazione per scopi di guerra (militare o finanziaria). Che sia per il traffico di organi, le Human Enhancement Tecnologies, la riduzione della vita a funzioni separabili, migliorabili e monetizzabili, o per l'arruolamento dei giovani come cartucce e carburante per il Califfato, i corpi sono in ogni caso smembrati. L'uomo-bomba e l'uomo-macchina sono fratelli.
3) L'importante per un terrorista non è tanto il numero delle sue vittime quanto il numero delle sue «visualizzazioni». Per esercitare il suo terrore egli conta sulla società dello spettacolo e sul potere ipnotico delle sue esecuzioni, raggiungendo così lo stadio supremo del capitalismo secondo Guy Debord: l'immagine che assorbe ogni vera lotta politica per farne un divertimento, una cosa che ci sollazza, e meglio di una ragazza che si accoppia a tutto schermo c'è soltanto un tipo che scoppia sulla scena di uno spettacolo rock (è qui che il porno trash e il puritanesimo Daesh sono in perfetta concordanza).
4) Si svela così un rifiuto simile della donna e del femminile come di ciò che sfugge al controllo fallico. Certamente, l'utero artificiale e il ventre piatto possono sembrare il mezzo estremo dell'egualitarismo e dell'emancipazione femminista. Sono in verità, stando all'antropologa Françoise Héritier, il colmo del dominio patriarcale, perché privano la donna del suo potere e della sua responsabilità più specifica: quella della gravidanza. La deprivazione tecnica realizza con altri mezzi ciò a cui mira la sottomissione coranica.
5) Il fondamentalismo tecnoscientifico e il fondamentalismo religioso, ciascuno a suo modo, rifiutano l'ordine della cultura. Per gli uni, è l'innovazione tecnologica che ha risposta a tutto; per gli altri, è il Corano. E allora, la storia, le arti, la letteratura, la musica, ciò che non è né articolo di consumo né pratica di religione, ma opera singolare che afferma il mistero dell'umano, viene completamente spazzato via. Si distrugge Palmira; o se ne fa un sito turistico. Si bruciano i libri; o li si trasformano in «oggetti culturali». Due modi opposti ma che si accordano per ignorare ogni vera cultura animi.
6) Certo, il grilletto e il detonatore non sono esattamente la stessa cosa del clic del mouse o dello sfioramento di uno schermo tattile. Eppure, per gli uni come per gli altri, il rapporto con il mondo non è quello della pazienza del coltivatore, ma della pulsione, dell'efficienza ultrarapida, dell'«interruttore volontario». Si tratta in ogni caso di guadagnare il paradiso spingendo un bottone.
È dunque sommamente importante, se non si vuole favorire l'«ascensione agli estremi» dei rivali mimetici, cercare di andare più in profondità e soprattutto al di là della semplice reazione o della sola «resistenza» (che facilmente ci trascinano e ci intrappolano sul campo dell'avversario) - verso un pensiero più radicale, al tempo stesso più religioso e più scientifico, che sappia rispettare la provvidenza del Cielo e i ritmi della terra.