Michele Serra 10 anni dopo sul presepe. Un articolo del 2004 ed una nota del 2015
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N.B. de Gli scritti
Vi proponiamo due articoli di Michele Serra scritti sullo stesso tema, quello del Presepe a scuola, a distanza di 11 anni. Il confronto fra i due testi dice quanto sia mutato il clima culturale in questi 11 anni. La presentazione delle due posizioni non ha l’intento di gettare discredito sull’autore, ma piuttosto di mostrare come nel tempo possano emergere considerazioni più profonde che sembravano impossibili in precedenza.
L’unica nota critica andrebbe sollevare sul fatto che nel secondo testo non ci sia alcuna auto-critica - così come si può constatare per analoghe evoluzioni di pensiero in altri giornalisti -, né alcuna assunzione di responsabilità rispetto ad una confusa visione della scuola espressa ora da altri docenti e giornalisti nutriti, però, da quella stessa visione culturale che produsse il più vecchio dei due articoli e che ora l’autore saggiamente modifica.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
1/ [Non c’è gesto più islamofobo che censurare la nostra vita comunitaria e nascondere il nostro vero volto di fronte ai musulmani come se noi per primi li ritenessimo non in grado di accettare ciò che siamo. Non all’altezza. Tutti in blocco fanatici e ottusi], di Michele Serra
Riprendiamo da La Repubblica del 29/11/2015 una nota da L’amaca di Michele Serra. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
Quando in una scuola pubblica si sceglie di non fare il presepe o di rinunciare ai canti di Natale per non urtare la suscettibilità dei non cristiani, non si fa torto solamente alle “nostre tradizioni”, come lamentano gli ultras dell’identità tradita. Si fa torto all’idea stessa della convivenza fra culture: in un colpo solo, si tradiscono usanze profondamente radicate anche fra gli italiani laici e si abbandona l’idea stessa di un futuro, se non di tolleranza, di reciproca sopportazione. Negando il passato, si ripudia il futuro.
Non c’è gesto più islamofobo che censurare la nostra vita comunitaria e nascondere il nostro vero volto d fronte ai musulmani come se noi per primi li ritenessimo non in gradi di accettare ciò che siamo. Non all’altezza. Tutti in blocco fanatici e ottusi. Ma proprio perché è diventato urgente, nella contingenza storica, capire meglio quanti di loro sono in grado di sopportare “Tu scendi dalle stelle” (io credo molti) e quanti invece intendono la loro cultura come la sola rispettabile e la sola praticabile, è decisivo presentarci per ciò che siamo, fare le stesse cose che faremmo e dire le stesse cose che diremmo anche a prescindere dalla loro presenza. È un test, quello della tolleranza, che spetta a quella comunità superare, non al resto della società italiana facilitare. Se un musulmano è ospite a casa mia non gli offro vino e carne di maiale; ma certo non nascondo le bottiglie e i salami. Come posso rispettarlo, se non ho rispetto per me stesso?
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2/ La polemica di questi giorni: anche i Re Magi sono branditi come un'arma impropria. Chi vuole distruggere il presepe, di Michele Serra
Riprendiamo da La Repubblica dell’11/12/2004 un articolo scritto da Michele Serra. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/12/2015)
Certe volte ci si sente soli. Maledettamente soli. Come l'altra sera seguendo, da Bruno Vespa, una affollatissima chiacchierata in difesa del presepe e delle carole natalizie nelle scuole italiane. È dovuta passare un'ora e mezzo prima che l'onorevole Diliberto (trovando un varco tra cardinali, imam, pie donne turbate dalla secolarizzazione della società, politici cattolici e politici molto attenti a non urtare i cattolici) riuscisse a esprimere il concetto fino allora omesso dalla discussione. E cioè che la scuola di Stato, per definizione, è di tutti, e non può rappresentare in alcun modo il punto di vista di una sola confessione. (Di qui le difficoltà, anche didattiche, di maestri e professori che devono cercare di garantire tutti, maggioranze e minoranze).
Questo concetto avrebbe dovuto stare a monte del fiume di parole fin lì profuse. Come un incipit senza il quale quel dibattito non poteva avere senso. Ma pronunciato in quel contesto, diciamo così di baruffa interreligiosa, quel punto di vista (che è, o dovrebbe essere, il punto di vista della scuola statale) pareva solo la bizzarra intromissione di un pittoresco mangiapreti.
Fino a lì, infatti, il menù era stato questo: l'anziano borgomastro di Treviso, Gentilini, circondato da un drappello di madri addolorate, che brandiva "le nostre tradizioni cristiane" contro lo straniero, miscredente, malavitoso e drogato. L'imam di Torino, saggiamente sulla difensiva, che spiegava di stimare molto Gesù e Maria perché sono citati favorevolmente nel Corano (per fortuna...).
La bella e brava (molto bella e molto brava) portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini, che, sorridendo a tutti, ripeteva in versione politicamente grammaticata più o meno lo stesso concetto di Gentilini, e cioè che l'identità cristiana va difesa a tutti i costi - anche se non si capiva bene da chi, se non dal suo alleato di governo Gentilini, che la adopera, l'identità cristiana, come un randello. Una mamma veneta inviperita perché, per garantire alla prole la giusta dose di buona educazione cattolica, è costretta a spendere la retta di una scuola privata: contestazione di stupefacente incongruità (la scuola di Stato non ha il compito di dare una buona educazione cattolica: solo una buona educazione civica) che nessuno si è sognato di contestare.
C'è da chiedersi che cosa sia accaduto o stia accadendo, in questo paese, per fare sì che il punto di vista non confessionale trovi tante difficoltà (nonostante la buona volontà degli onorevoli Diliberto e Boselli) per potersi esprimere compiutamente. Di più e di peggio, vorrei dire che il punto di vista agnostico e non confessionale, in quella come in altre trasmissioni e discussioni, assume addirittura connotati extra-italiani, tanto forzuta e invadente è la ripetizione dell'assunto identità nazionale uguale identità cristiana. Assunto ripetuto, sia pure per casuale accumulo di sbocchi d'ira e non certo in seguito a un ragionamento, dall'incredibile Gentilini, che ha rivendicato, come precedente merito patriottico, di avere difeso il Veneto, in gioventù, "dalle orde comuniste che premevano oltreconfine". Il male viene sempre da fuori, e dai cosacchi ai musulmani si traveste, d'epoca in epoca, come fa Satana per corrompere i costumi e minare la fede della gente buona e semplice.
Qualche direttore didattico e qualche insegnante ha tentato di smontare il caso giornalistico smentendo di avere voluto "censurare" le tradizioni natalizie, ma il caso nel frattempo era già di molto sovrastante la loro facoltà di spiegare, e di far capire quanto sia difficile (ma doveroso) barcamenarsi nella scuola multietnica: cioè nella realtà italiana, qui e ora. Il caso era perfetto per far partire il dibattito televisivo da una domanda ("Chi ha paura del presepe?") che era già di suo una scelta di campo. Quella di chi sospetta o coglie il tradimento identitario, e la diserzione culturale, in ciascuna delle inevitabili incertezze, dei faticosi aggiustamenti che la convivenza tra diversi porta con sé, specie in quegli avamposti che sono le scuole pubbliche.
Messi alla gogna per probabili errori, e per l'indubitabile goffaggine alla quale espone l'eccesso di correttezza politica, quei pochi (pochissimi) insegnanti e direttori didattici della scuola di Stato che hanno cercato di universalizzare, scolorendolo, il significato del Natale, appaiono, in questo contesto, i soli veri colpevoli nonché gli utili idioti di un processo (fantasmatico) di scristianizzazione del paese. Come se, con quello stipendio, non fosse già consolante e importante che il personale docente si ponga domande forti e difficili come quella che sta alla base, dico alla base, dei compiti della scuola pubblica, e cioè ospitare e istruire i bambini e i ragazzi senza alcuna discriminazione di classe sociale, di provenienza etnica e di credenza (o non credenza) religiosa.
Fortuna che almeno monsignor Tonini, che miscredente non dovrebbe essere, pareva assai più turbato dalle fobie di Gentilini che dal preteso attacco al presepe. Brandito come un'arma impropria, il presepe minaccia di rompersi, statuetta per statuetta. E siccome, proverbialmente, ci piace o' presepe, vorremmo tanto che non fosse appaltato così disinvoltamente.