Lettera sulla “casa”. La prima lettera della nuova serie di Lettere ai genitori dopo il Battesimo
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito la prima lettera della nuova serie di Lettere ai genitori dopo il Battesimo, preparata dall’Ufficio catechistico della diocesi di Roma. Le lettere precedenti sono on-line al link 8 lettere alle famiglie con figli da 0 a 3 anni: III parte dell'itinerario battesimale proposto dalla diocesi di Roma. Otto file in PDF pronti da stampare.
Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2015)
Pubblichiamo sul nostro sito la prima lettera della nuova serie di Lettere ai genitori dopo il Battesimo. Il tema è quello della casa nella quale i genitori vivono e hanno accolto la nuova vita.
Lettera ai genitori
Carissimi genitori,
in punta di piedi entriamo nelle vostre case, luoghi che da poco hanno visto l’ingresso di una nuova creatura: vostro figlio.
La casa, metafora della vita, è il luogo per eccellenza in cui il richiamo alla vita è molto forte e in questo tempo lo state sperimentando fattivamente.
Le vostre case non sono più silenziose, vuote; l’arrivo del vostro bambino segna un grande cambiamento nel ritmo quotidiano di una casa.
In questa lettera abbiamo scelto alcuni brani, per offrirvi spunti di riflessione sul senso della casa.
In un momento storico in cui si delega la ristrutturazione della casa a figure come l’interior designer, vogliamo invitarvi a riappropriarvi dello spazio caldo della vostra casa, vivendolo sempre più come luogo propizio per la crescita serena dei vostri figli e della vostra relazione di amore, che si arricchisce ora dell’essere genitori insieme.
Che cos’è la casa? (da Giovanni Salonia, francescano cappuccino, psicoterapeuta)
La casa appartiene allo sfondo delle sicurezze esistenziali e scontate di ogni individuo: se ne coglie la necessità solo quando essa viene a mancare.
Esistere è abitare: ogni corpo deve dimorare in uno spazio.
Chiamiamo «casa» lo spazio nel quale si vive in modo stabile e continuativo e nel quale si strutturano i legami intimi (unitivi o/e generativi).
Per tali ragioni, la casa aderisce ad ogni individuo come una seconda pelle: si può parlare, parafrasando Anzieu, di «Io-casa» come il vestito necessario dell’«Io-pelle». Le neuroscienze ci ricordano che il corpo non è solo impregnato delle leggi dell’intercorporeità - degli altri corpi con cui entra in contatto -, ma anche del mondo non umano (la casa) nella quale abita.
Il corpo registra in modo indelebile sensazioni differenti a seconda che sia cresciuto in una casa luminosa o buia, linda o sudicia, spaziosa o angusta.
La prima casa - in altre parole - abita lo sfondo della nostra affettività e dei nostri ricordi e anche il nostro schema corporeo.
Come nel grembo della madre si forma il corpo, così nel grembo della casa si forma il corpo vissuto.
La casa è composta da stanze e da spazi che vengono deputati a funzioni corporee (mangiare, dormire, rilassarsi, studiare…) o a separazioni che permettono la differenziazione (la stanza dei genitori, quella dei maschi e delle femmine, quella dei figli piccoli e dei maggiorenni).
Nella casa si apprende e si sperimenta lo «stare presso di sé» che gli antichi medievali chiamavano habitare secum, spazio e luogo della propria interiorità.
Nella casa si fa la prima esperienza delle diversità: si è in tanti e con tante funzioni. La casa prepara alla polis, si impara in essa le regole complesse delle relazioni e del comunicare, nell’alternanza complessa della spinta o della costrizione al parlare o tacere. Anche quando si va fuori, nel mondo, la casa vissuta rimane il punto interiore con cui si confrontano altre case, il punto fermo su cui ci si sente centrati e da cui si misura ogni distanza.
Perché in casa? (da Papa Francesco alle famiglie riunite a Cuba)
Siamo in famiglia. E quando uno sta in famiglia si sente a casa.
Il senso della casa… parliamo della vostra casa. Senza famiglia, senza il calore di casa, la vita diventa vuota, cominciano a mancare le reti che ci sostengono nelle difficoltà, le reti che ci alimentano nella vita quotidiana e motivano la lotta per la prosperità. La famiglia ci salva da due fenomeni attuali, due cose che succedono al giorno d’oggi: la frammentazione, cioè la divisione, e la massificazione. In entrambi i casi, le persone si trasformano in individui isolati, facili da manipolare e governare. E allora troviamo nel mondo società divise, rotte, separate o altamente massificate sono conseguenza della rottura dei legami familiari; quando si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone. E così uno si dimentica di come si dice papà, mamma, figlio, figlia, nonno, nonna… Si perde la memoria di queste relazioni che sono il fondamento.
Sono il fondamento del nome che abbiamo.
L’incontro in famiglia è un motivo per rendere grazie a Dio per il “calore” che promana da gente che sa ricevere, sa accogliere, sa far sentire a casa.
Gesù in casa (da Papa Francesco alle famiglie riunite a Cuba)
È interessante osservare come Gesù si manifesta anche nei pranzi, nelle cene. Mangiare con diverse persone, visitare diverse case è stato per Gesù un luogo privilegiato per far conoscere il progetto di Dio. Egli va a casa degli amici – Marta e Maria –, ma non è selettivo, non gli importa se ci sono pubblicani o peccatori, come Zaccheo. Va a casa di Zaccheo. Non solo Egli agiva così, ma quando inviò i suoi discepoli ad annunciare la buona novella del Regno di Dio, disse loro: «Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno» (Lc 10,7). Matrimoni, visite alle famiglie, cene, qualcosa di speciale avranno questi momenti nella vita delle persone perché Gesù preferisca manifestarsi lì. Gesù sceglie questi momenti per mostrarci l’amore di Dio, Gesù sceglie questi spazi per entrare nelle nostre case e aiutarci a scoprire lo Spirito vivo e operante nelle nostre case e nelle nostre cose quotidiane. È in casa che impariamo la fraternità, impariamo la solidarietà, impariamo il non essere prepotenti. È in casa che impariamo ad accogliere e apprezzare la vita come una benedizione e che ciascuno ha bisogno degli altri per andare avanti. È in casa che sperimentiamo il perdono, e siamo invitati continuamente a perdonare, a lasciarci trasformare.
Ricordi sulla casa… (da Papa Francesco alle famiglie riunite a Cuba)
Ricordo nella mia diocesi precedente che molte famiglie mi spiegavano che l’unico momento che avevano per stare insieme era normalmente la cena, di sera, quando si tornava dal lavoro, e i più piccoli finivano i compiti di scuola. Era un momento speciale di vita familiare. Si commentava il giorno, ciò che ognuno aveva fatto, si metteva in ordine la casa, si sistemavano i vestiti, si organizzavano gli impegni principali per i giorni seguenti, i bambini litigavano… era il momento. Sono momenti in cui uno arriva anche stanco, e qualche discussione, qualche litigata tra marito e moglie succede, ma non c’è da aver paura; io ho più paura delle coppie che mi dicono che mai hanno avuto una discussione.
È interessante: in casa non c’è posto per le “maschere”, siamo quello che siamo e, in un modo o nell’altro, siamo invitati a cercare il meglio per gli altri.
In molte culture al giorno d’oggi vanno sparendo questi spazi, vanno scomparendo questi momenti familiari, pian piano tutto tende a separarsi, isolarsi; scarseggiano i momenti in comune, per essere uniti, per stare in famiglia. E dunque non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa ringraziare, perché la casa diventa vuota, non di persone, ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani, vuota di incontri, tra genitori, figli, nonni, nipoti, fratelli... Poco tempo fa una persona che lavora con me mi raccontava che sua moglie e i figli erano andati in vacanza e lui era rimasto solo, perché gli toccava lavorare in quei giorni. Il primo giorno la casa stava tutta in silenzio, “in pace”, era felice, niente in disordine. Il terzo giorno, quando gli ho chiesto come stava, mi ha detto: “Voglio già che ritornino tutti”. Sentiva che non poteva vivere senza sua moglie e i suoi figli. E questo è bello.
La casa ebraica (da un Rabbino)
Secondo i rabbini, la casa che la coppia costruisce è come un piccolo santuario (Mikdash me’at). Il termine deriva dalla tradizione secondo la quale, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, la sua santità si sarebbe trasferita alla casa ebraica. Chi entra in una casa ebraica nota una serie di tratti distintivi: sullo stipite della porta, a destra, è appeso un piccolo e elegante astuccio, la Mezuzah. Esso contiene dei passaggi della Torah scritti su pergamena e riprendere il testo del Dt 6,9: «Questi precetti che oggi ti do, li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».
Nel preparare la dimora, gli sposi sono invitati a lasciare una piccola parte della casa “incompiuta” (una parte della parete, ad esempio, non viene dipinta), per ricordare che senza il Tempio la vita ebraica è incompleta.
La gioia condivisa prima del Battesimo (dal Sussidio di pastorale battesimale della Diocesi di Roma on-line: www.ucroma.it)
La nascita di un bambino – soprattutto in questo tempo di “culle vuote”– è un evento che rallegra non solo la famiglia in cui il bambino è nato, ma anche l’intera comunità. La parrocchia in vari modi anche prima del battesimo può manifestare attenzione e premura verso il neonato e i genitori. Se la comunità cristiana è radicata nel quartiere non mancherà occasione di venire a sapere che in un palazzo è nato un bambino. Il fiocco rosa o azzurro - tradizione ancora presente nella nostra città – è un segno pubblico che la famiglia porge di questo evento gioioso. Questo periodo di grande gioia ed entusiasmo non è privo di tensioni, preoccupazioni, fatiche. I genitori percepiscono più o meno consapevolmente di essere davanti ad un evento più grande di loro e necessitano di sostegno. Se alla Messa domenicale sono presenti bambini appena nati, non ancora battezzati, si può dare, se le famiglie lo gradiscono, l’annuncio in chiesa della nuova nascita perché tutti possano simbolicamente stringersi con affetto intorno ai neonati e alle loro famiglie. È un primo segno di accoglienza.