«Famiglia e unioni, siamo consapevoli e preoccupati dei rischi eppure sereni». Una lettera importante di Raffaella e Giuseppe Butturini, presidenti nazionali di “Famiglie numerose” al direttore di Avvenire Marco Tarquinio
Riprendiamo da Avvenire del 20/10/2015 una lettera di Raffaella e Giuseppe Butturini, presidenti nazionali di “Famiglie numerose” al direttore di Avvenire Marco Tarquinio, con la risposta di Tarquinio stesso. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi le sotto-sezioni Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender e, per la maternità surrogata, Le nuove schiavitù nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (20/10/2015)
1/ La lettera di Raffaella e Giuseppe Butturini, presidenti nazionali di “Famiglie numerose”
Caro direttore,
il disegno di legge Cirinnà sulle unioni omosessuali e sulle convivenze di fatto è dunque passato dalla Commissione Giustizia – dove non ha completato l’iter – direttamente all’aula del Senato. Qualche ragione ci sarà, ma l’uso della forza in una materia così seria e divisiva non porta da nessuna parte, se non alla perdita di eventuali ragioni, se non ad accrescere le contrapposizioni e a motivare ancor di più chi sta promuovendo una raccolta di firme contro il ddl o chi pensa a un nuovo evento pubblico. Iniziative più che legittime, ma sulla cui opportunità ed efficacia ci sono diversità di pareri nel Paese e nello stesso associazionismo familiare.
C’è chi crede nella emendabilità del ddl, riferendolo all’art. 2 della Costituzione (formazioni sociali) e non all’art. 29 (famiglia fondata sul matrimonio) ed escludendo rimandi alle norme del codice civile sul matrimonio, adozioni da parte di coppie omosessuali e pratica dell’utero in affitto. C’è chi, invece, lo ritiene inemendabile perché resterebbe comunque un matrimonio con altro nome dalle gravi e persino devastanti conseguenze. Per di più non si può ignorare che chi sostiene il ddl Cirinnà difficilmente accetterebbe lo stravolgimento della sua proposta.
Che dire? Certamente lo Stato ha il diritto di fare leggi e nessuna società sarà mai come noi che crediamo alla famiglia “bella” (e di sempre) la vorremmo: siamo una “parte” non possiamo imporci, ma proporci e magari attrarre. Sappiamo che nessuna legge sarà perfetta e che le leggi civili non sempre corrispondono al diritto naturale; già lo scriveva nel 535 il Digesto dell’imperatore Giustiniano, affermando che il «diritto civile non si allontana mai del tutto dal diritto naturale o delle genti, ma neppure obbedisce a esso in ogni aspetto».
È certo che non si può negare a due persone, anche dello stesso sesso, di unirsi per tutta la vita. Ma è ancor più certo che non si può mettere sullo stesso piano il matrimonio e la “famiglia costituzionale” con altri tipi di unione. Don Milani – “Avvenire” l’ha ricordato spesso – ha insegnato una volta per tutte che «non c’è nulla di più ingiusto quanto fare parti uguali fra realtà diseguali».
E in Italia bisogna cominciare a chiedersi perché mai le famiglie con figli (e altri carichi famigliari) – realtà senza potere ma cariche di vita e di speranza – continuino a essere colpite da pesanti, continue e diffuse discriminazioni e diminuzioni di ruolo. Cambiare questo stato di cose non è forse una grande priorità? Eppure, se non ci saranno imprevisti (pur possibili), in base ai rapporti di forza in Parlamento, con l’attuale maggioranza di governo o con il consenso di altre forze una legge sulle “unioni civili” alla fine si farà.
Che fare? L’esperienza ci dice che una raccolta di firme così come un nuovo evento di piazza sarebbero più una testimonianza che una reale possibilità di bloccare la legge. Ma è altrettanto vero che tali strumenti allargano il coinvolgimento delle persone e accrescono la consapevolezza dei problemi. Non è poi detto che gli emendamenti al ddl siano per forza inefficaci; se ben mirati possono davvero cambiare la legge. E non è un mistero che, per noi, la pace e l’unione delle realtà sociali, civili e religiose sono un bene necessario.
Perché allora non ricominciare daccapo, con un testo nuovo, stavolta scritto guardando seriamente in faccia la nostra realtà italiana e tenendo conto – in piena libertà di coscienza – della forza potenzialmente unificante o divisiva di una iniziativa legislativa così delicata? Perché non trovare una strada comune e punti di intesa, lontani da ogni ideologizzazione, perché fondati sul rispetto di tutti? I senatori ci pensino, perché la posta in gioco prima di essere “politica” è umana è morale.
Tutti possono e devono rendersi conto che l’attuale disegno di legge non si limiterebbe ad allargare la realtà del matrimonio e della famiglia, ma la stravolgerebbe, mettendo a rischio la stessa struttura della società e aprendo la strada alla mercificazione della donna e del bambino.
Questa è l’esperienza, la preoccupazione il pensiero di mamme e papà di tante famiglie numerose: felici di esserlo e certi che la famiglia riconosciuta dalla Costituzione italiana – uno sposo e una sposa aperti ai figli – è bella e ci sarà sempre. Una certezza e una felicità che, in definitiva, non vengono solo da noi. Talvolta ci ritroviamo fragili, “in vasi di creta”, ma il “Vasaio” non ci abbandona, spingendoci sempre al rispetto, all’accoglienza per ogni persona e situazione, aprendoci al dialogo. Per questo siamo sereni, perché la famiglia che nasce da una mamma e un papà – immagine quotidiana dell’Amore più grande – c’è e resiste.
Raffaella e Giuseppe Butturini, presidenti nazionali di “Famiglie numerose”
2/ La risposta di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire
Apprezzo molto, cari presidenti, il tono e gli argomenti che usate e la sensibilità con cui lo fate. Credo che siano frutto di quella consapevole abitudine al dialogo che è davvero naturale per chi vive la realtà di una “famiglia numerosa” e di un laico metodo di lavoro associativo che vi porta felicemente a riunire con concretezza e alta idealità persone credenti – cristiane o di altre fedi – e non credenti.
Condivido anche le vostre preoccupazioni e perplessità su opzioni e strumenti usati in Parlamento e nella società sulla delicata frontiera della progettata normativa sulle “unioni civili” anche e soprattutto per persone dello stesso sesso. In tutta franchezza, nonostante la ragionevolezza di suggerimenti e appunti che tornate a proporre, penso sia difficile che il Pd fermi le macchine del lavoro parlamentare e si impegni per realizzare un testo normativo nuovo e più saggio, ma mi piace continuare a credere che ci sia ancora spazio per interventi di qualità.
Emendamenti, cioè, che correggano le insostenibili leggerezze simil–matrimoniali del ddl Cirinnà e che scongiurino l’evidente rischio – attraverso la cosiddetta stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner – di aprire la porta alla legalizzazione del commercio legato alla disumana pratica dell’«utero in affitto», che voi richiamate con la tragica e assolutamente realistica immagine della «mercificazione della donna e del bambino».
Per il resto vedo e denuncio da tempo anch’io – come voi, come il segretario generale della Cei, il vescovo Galantino e come tanti altri autorevoli analisti e interpreti della società italiana – che nel nostro Paese c’è una priorità da troppi anni ignorata o almeno sottovalutata dalla gran parte dei politici (e dagli opinionisti): il sostegno alla famiglia costituzionale, madre e padre con figli, secondo le vostre parole la «famiglia “bella” e di sempre», il naturale grembo della vita. Senza questo rispetto pieno ed effettivo nessun altro rispetto ha davvero contenuto e nessuna comunità umana ha degno futuro.
Grazie della vostra impegnata serenità e della forza buona a cui date voce.
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire