Troppa paura di dire “no”. Questa è una cultura che non regge il fallimento, di Alessandro D’Avenia
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Riprendiamo da La stampa del 13/10/2015 un articolo di Alessandro D’Avenia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Educazione, nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (18/10/2015)
«La colpa non è dei maestri, che coi pazzi devono fare i pazzi. Infatti se non dicessero ciò che piace ai ragazzi, resterebbero soli nelle scuole... E allora? Degni di rimprovero sono i genitori che non esigono per i loro figli una severa disciplina dalla quale possano trarre giovamento... essi devono abituare gradualmente i giovani alle fatiche, lasciare che si imbevano di letture serie e che conformino gli animi ai precetti della sapienza... Invece i fanciulli nelle scuole giocano».
Questa geremiade appartiene ad Agamennone, maestro sbeffeggiato da Encolpio e Ascilto, giovani protagonisti del Satyricon di Petronio, che rispondono all’ennesima ramanzina del fallito, scappando da scuola e avventurandosi per le vie della città, irte di peripezie che mostrano loro che avrebbero fatto meglio a studiare un po’ di più prima di affrontare il mondo, improvvisando. È il racconto comico di una società decadente, quella neroniana, con una scuola al passo con la decadenza.
I tempi non cambiano, soprattutto quelli di crisi si somigliano. Così qualche giorno fa, in una scuola italiana, una bambina di prima elementare, annoiata dalla lezione, ha chiesto di andare al bagno ma, passata sotto le sbarre del cancello di ingresso, ha preso la via di casa e in pochi minuti è tornata dalla mamma, sgomenta tanto quanto l’insegnante.
Di chi sarà la colpa? Dei genitori, degli insegnanti, della scuola, dei ragazzi? Con il senso di colpa non si va lontano, serve invece un po’ di buon senso. Noi insegnanti siamo a volte bersagliati da genitori, che non riescono a sopportare che, nella cultura del successo e della prestazione, il figlio possa fallire: fallito piuttosto sarà l’insegnante che non riesce a fare amare libri e teoremi, e a tenere la disciplina. Ma d’altro canto anche noi abbiamo le nostre responsabilità. Qualche decennio fa la nostra cultura ha eroso lentamente l’autorità, identificandola con l’autoritarismo. Ma con l’acqua sporca dell’autoritarismo avevamo buttato via il bambino dell’autorevolezza. Oggi, forti di un po’ di senso storico e di risultati, siamo chiamati a rifondare l’autorità su altre basi, più stabili. I ragazzi cercano genitori e maestri capaci di porre loro mete e limiti, confrontandosi con i quali, possono provare la consistenza di principi su cui fondare le proprie esistenze ancora informi. Ma se ad essere informe è colui al quale chiedono una forma?
Abbiamo troppa paura
di dire dei no, di porre regole, di proporre mete alte e impegnative, perché i nostri ragazzi potrebbero fallire o perché a quelle mete e quei sentieri non crediamo più. Eppure così cresce una generazione incapace di riconoscere il principio di realtà, affondando nelle sabbie mobili di quello di piacere, che rende tutto un gioco da bambini tiranni, come nel racconto di Buzzati. Ma il gioco è divertente proprio perché ha delle regole, e non perché un tiranno possa rinegoziarle quando perde, altrimenti il gioco si trasforma in farsa. E noi non vogliamo personaggi da farsa come quelli di Petronio, che si perdono sollecitati e manipolati da tutti i piaceri che li allettano, resi letteralmente impotenti dal loro stesso desiderio sempre soddisfatto, incapaci di prendere posizione sulla realtà, in una società divisa - a detta dell’autore antico - in due gruppi «quelli che derubano e quelli che si lasciano derubare»... del futuro, prima di tutto. A genitori e insegnanti, nuovamente alleati, il compito di strappare i ragazzi dalla tirannia del non senso.