Mozarabico, ovvero “tra gli arabi”. Storia e valore dell’antico rito ispano-mozarabico.Un’intervista a Juan Miguel Ferrer Grenesche di Roberto Rotondo
Riprendiamo dal sito della rivista 30Giorni del 01/02 2011 un’intervista a monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione l'Alto medioevo nella sezione Storia e filosofia. Per approfondimenti sui Mozarabi - chi non conosce i mozarabi e la loro difficile storia non ha capito niente della storia dell'Andalusia - cfr. lo studio Andalusia: dal mito alla storia. Appunti per un accostamento realistico a al-Andalus, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2015)
Intervista con monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche, sottosegretario della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, sul rito liturgico nato nel IV secolo nella penisola iberica, in particolare nelle regioni dell’antico regno visigoto di Toledo: non solo ha messo al riparo la fede del popolo dall’arianesimo, ma è stato praticato anche durante i secoli di dominazione araba.
Giunto fino a noi con il suo ricchissimo patrimonio di orazioni per la celebrazione della messa, la sua storia è anche una lezione di inculturazione della fede in una specifica area geografica
Ogni giorno nella Cattedrale di Toledo, in Spagna, si celebra la messa e si recitano le lodi secondo l’antichissimo rito ispano-mozarabico. È una liturgia della Chiesa cattolica nata nel IV secolo nella penisola iberica – più precisamente nelle regioni appartenenti all’antico regno visigoto di Toledo – che non solo ha messo al riparo la fede del popolo dall’arianesimo, ma è stata praticata anche durante i secoli di dominazione araba (mozarabico vuol dire infatti “tra gli arabi”). Giunto fino a noi con il suo ricchissimo patrimonio di orazioni per la celebrazione della messa, la sua storia è anche una lezione di inculturazione della fede in una specifica area geografica, tanto che secondo molti non è possibile capire le radici spirituali della Spagna, soprattutto della devozione mariana spagnola, senza tener conto di questo antichissimo rito.
Abbiamo chiesto a monsignor Juan Miguel Ferrer Grenesche, dottore in Liturgia, sottosegretario della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, massimo esperto del rito mozarabico, di darci le coordinate di questo tesoro liturgico. Monsignor Ferrer Grenesche, nato a Madrid nel 1961 e ordinato sacerdote a Toledo nel 1986, prima della nomina in Curia a Roma è stato vicario generale dell’Arcidiocesi di Toledo.
Monsignor Ferrer, perché il rito mozarabico è così prezioso?
JUAN MIGUEL FERRER GRENESCHE: Per le caratteristiche distintive della liturgia eucaristica, che sono la tendenza alla conservazione delle forme antiche, la semplicità dei riti iniziali, l’abbondanza di “antifone e canti fissi” o quasi fissi come, ad esempio, il canto della pace, il canto “ad accedentes” per la comunione, l’antifona per l’orazione dopo la comunione, la benedizione in preparazione alla comunione, il calendario fortemente cristocentrico e con grande preponderanza delle celebrazioni dei martiri.
Si parla spesso della grande varietà eucologica del rito mozarabico, ovvero del gran numero delle preghiere eucaristiche…
Se a Roma alcune parti della preghiera eucaristica sono variabili, in Spagna lo è tutta la preghiera eucaristica, le orazioni e le monizioni dell’Ordo Missae. Ma un altro elemento è il carattere iniziatico-partecipativo. Il popolo interviene costantemente, soprattutto ascoltando le preghiere (di solito ampie, ma strutturate secondo precise regole retoriche per giungere, non solo a Dio, ma anche al popolo) ma pure con le acclamazioni e i canti (specialmente con l’Amen pronunciato 33 volte in ogni messa e con l’Alleluia).
In questo stesso senso va intesa la modalità solenne della frazione del pane – nella quale la sacra specie viene suddivisa in nove parti che si collocano a forma di croce sulla patena, mentre si ripercorrono i principali momenti del mistero di Cristo – o la modalità di recitazione cadenzata del Padre nostro da parte del sacerdote con i successivi Amen del popolo dopo ognuna delle sue frasi.
Un ultimo elemento distintivo del rito mozarabico è l’integrazione di elementi di altre tradizioni liturgiche. Il gusto per la conservazione delle sue forme antiche non ha impedito al rito di accogliere, nel corso dei secoli, apporti di diverse parti del mondo cristiano senza perdere di vista, tuttavia, i suoi elementi originali: l’influsso, molto probabile, del canto e del cerimoniale bizantino – largamente testimoniato in un’ampia zona della penisola, da Murcia a Malaga, tra la fine del secolo VI e quella del VII – o l’accoglienza di elementi liturgici alessandrini – tra i quali la preghiera eucaristica – probabilmente giunti da Roma e Milano ai tempi di sant’Ambrogio e di san Leone Magno; la recezione di alcune romanizzazioni progressive soprattutto a partire dal secolo XI, come il Gloria, l’oratio post Gloriam, la Completuria e le successive assimilazioni di rubriche e di arte liturgica.
A cosa si deve una tale ricchezza?
Al fatto che i Padri della Chiesa ispanica, anche scrivendo numerosi trattati (tra i quali quelli di Isidoro di Siviglia, Paciano di Barcellona, Ildefonso e Julián di Toledo), preferirono concentrare il loro insegnamento non in opere teologiche che a quel tempo sarebbero rimaste a uso di pochi, ma nella liturgia, di cui avrebbe beneficiato tutto il popolo. Da qui la redazione di un patrimonio eucologico dal valore teologico e spirituale straordinario e difficilmente raggiungibile. I grandi assi teologico-spirituali delle loro opere liturgiche sono il superamento del paganesimo e la superiorità della verità e del culto cristiani; la vita come “sequela Christi” secondo l’esempio dei martiri; l’equilibrio tra ascesi e amore per il creato, al cospetto delle affermazioni priscillianiste; l’affermazione indiscutibile della divinità e umanità di Cristo rispetto all’arianesimo e alle reminiscenze docetiste, nonché una fortissima pietà mariana incentrata sulla maternità virginale di Maria; il valore e la grandezza del monachesimo senza disprezzo per il matrimonio; la chiara presenza dello Spirito Santo nella vita e nel culto della Chiesa. Tra i maestri che maggiormente influenzarono il loro pensiero vanno citati a giusto titolo san Girolamo, san Leone Magno, sant’Ambrogio, sant’Agostino e san Gregorio Magno
Quali sono state le tappe storiche fondamentali nello sviluppo del rito mozarabico?
Il periodo d’oro è tra il VI e l’VIII secolo, ma io partirei dall’inizio del secolo IV, con due episodi per me di massima rilevanza per quanto concerne il processo di cristianizzazione dei popoli ispanici: il primo è il Concilio di Elvira (306), vicino all’odierna Granada, che riunisce numerosi vescovi della zona ma anche dell’interno della penisola, come Melanzio, vescovo di Toledo, l’antica capitale della Carpetana, dove la fede era già radicata e la struttura ecclesiale stabilita in tutti i suoi elementi. Il secondo: la sagra dei martiri. Come in altre parti dell’Impero, sotto Diocleziano le comunità cristiane già consolidate si riempiono di martiri e superano questa forte prova dando testimonianza di costanza e fermezza nella fede, poco prima di ottenere la “tolleranza” e, entro breve tempo, la “ufficialità”.
Il secolo IV è importante perché è il secolo della nascita delle “scuole esegetico-teologiche”, e sarà anche quello delle grandi controversie dottrinali e degli statuti conciliari, che anticipano la nascita, nel secolo successivo, delle liturgie scritte e più avanti ancora dei libri liturgici propriamente detti. Il secolo V, infatti, sarà quello della letteratura teologica e pastorale, delle grandi codificazioni conciliari e della nascita dei “Riti” come espressioni globali della fede, con una tradizione esegetico-teologica, un ordinamento canonico-disciplinare, una spiritualità e alcuni libri liturgici propri, dando luogo a una fase di sviluppo in cui convergono tutti gli elementi di un autentico processo di inculturazione della fede nei diversi contesti del mondo antico. Così avvenne anche nella Hispania romana.
L’Annunciazione, miniatura mozarabica,
Tratado de San Ildefonso acerca de la
virginidad de Maria, fol. 66
Cosa cambiò con le invasioni barbariche?
Le invasioni barbariche, o, meglio, la graduale assunzione del potere politico e sociale nell’Impero romano d’Occidente da parte dei nuovi popoli, interruppe o frenò questo processo nelle diverse aree geografiche. Ma il problema non fu tanto che i barbari distruggevano tutto, quanto il fatto che riaprirono la questione ariana. Inoltre, frammentando l’unità politica del vecchio Impero, provocarono migrazioni di popoli che portarono a una decadenza economica, con ripercussioni sulle forze intellettuali e artistiche, che frenò la realizzazione di libri e la costruzione di chiese.
La questione ariana all’inizio mette in forte difficoltà i vescovi cattolici ispanici, perché i re visigoti a cui erano sottomessi davano sempre più spazio e protezione ai vescovi ariani, che dividevano le comunità e rischiavano di far perdere la vera fede al popolo. Questo però fu anche un momento di riflessione per i vescovi cattolici che, dopo la conversione dei re visigoti al cattolicesimo, cominciarono a comporre testi liturgici proprio per far sì che il passaggio del popolo dall’arianesimo al cattolicesimo fosse una conversione reale e che la vera fede fosse di tutti, visigoti e ispano-romani. Fu questa la molla che fece scattare il processo di formazione del rito e qui bisogna parlare soprattutto di Ildefonso di Toledo, che compose molte messe e celebrazioni per la liturgia delle Ore, ma che sviluppò anche tutta una pietas intorno a Maria Vergine e Madre – Vergine perché madre di Dio e madre perché è madre di Cristo Gesù. Questo anche contro l’eresia ariana che negava la divinità di Gesù.
Ma sarà tra il 589, data in cui si celebra il III Concilio di Toledo, e il 711 che si avrà l’epoca d’oro del rito già allora noto come “ispano”. Tra il 589 e la metà del secolo VII, infatti, si ha il periodo della grande composizione dei testi e della codificazione in libri, cosicché, già dopo il IV Concilio di Toledo (633), si può parlare di una definizione solenne e completa del rito, in un processo che si prolunga fino alla sua stessa soppressione nel Concilio di Burgos dell’anno 1080.
È un periodo storico quasi tutto segnato dalla dominazione araba. Come è potuto sopravvivere e svilupparsi il rito mozarabico?
Difficile dare una risposta generale perché la situazione non è stata la stessa in ogni punto della Spagna. Inoltre parliamo di un periodo di tempo lunghissimo: i musulmani sono arrivati all’inizio dell’VIII secolo e hanno lasciato Granada ai tempi della scoperta dell’America. Possiamo però dire che all’inizio essi non hanno potuto influire molto sugli usi e le credenze, perché erano una minoranza militare e politica e si limitavano a tenere la situazione sotto controllo.
I problemi arrivarono, invece, da alcuni cristiani di origine visigotica, che non erano realmente convertiti al cattolicesimo, e che grazie alla presenza degli arabi pensarono di ritornare al loro arianesimo facendosi musulmani. Questo fenomeno ha fatto sì che ci fosse un periodo difficile per il cattolicesimo. I vescovi cercarono di spiegare ai musulmani in cosa consisteva la vera fede cattolica, respingendo le accuse di politeismo e idolatria, ma questa politica di dialogo non ebbe un gran risultato, perché i musulmani si irrigidirono nelle loro posizioni e alcuni mozarabico-cristiani finirono per sposare tesi sbagliate come quelle di Elipando di Toledo.
Ci furono anche dei tentativi, come quello che ebbe come centro Cordoba, di convertire al cristianesimo i musulmani e questo provocò la persecuzione: fu l’epoca dei martiri cordobesi, che in tutta l’Andalusia andarono al martirio.
Fu la riforma gregoriana a segnare la fine del rito mozarabico come rito di tutta la Spagna a favore del rito romano?
No, fu un processo molto più lungo ed elaborato. Già prima della riforma gregoriana era cominciato a livello politico un processo di avvicinamento da parte dei regni cattolici del nord della Spagna verso l’Europa. Era un’Europa postcarolingia e cluniacense e i re d’Aragona e di Castiglia pensavano che l’adozione del rito romano avrebbe aiutato i loro progetti d’integrazione al resto dell’Europa.
I monaci di rito romano cominciarono così a stabilirsi in Spagna sotto la protezione dei re e quindi i due riti, romano e mozarabico, cominciarono a essere presenti entrambi. Fino al già citato Concilio di Burgos del 1080, in cui, sotto la guida della corona della Castiglia, il rito romano diventa quello ufficiale. Da quel momento, man mano che Aragona e Castiglia riprendevano territori agli arabi, quei territori venivano restituiti al rito romano e i vescovi venivano nominati tra i monaci francesi di rito romano. Così il rito romano è tornato a essere predominante in Spagna e alla fine sostanzialmente solo Toledo ha conservato il privilegio di poter celebrare la liturgia mozarabica intorno alle sei parrocchie che c’erano in città quando Alfonso VI, nel 1085, conquistò la città cacciando gli arabi.
E poi?
La sopravvivenza del rito ispano-mozarabico limitatamente alle antiche parrocchie di Toledo ebbe momenti più o meno felici fino al regno dei re cattolici e all’episcopato del cardinale Francisco Jiménez de Cisneros (1495-1517). Quando questi assunse il progetto di rieditare i libri liturgici, l’antica liturgia versava certamente in una situazione critica di decadenza degli elementi materiali, di mancanza di adeguata formazione del clero e di dispersione dei fedeli. L’opera del Cisneros assicurò la sopravvivenza del rito e lo vincolò particolarmente alla Cattedrale primaziale, con la creazione della Cappella mozaraba del Corpus Christi; garantì al contempo anche la dignità del vecchio rito permettendone la celebrazione in alcuni altri posti significativi, come la sede universitaria di Salamanca. I libri del Cisneros (messale e breviario) permetteranno la conservazione dell’eucologia, delle letture proprie e delle strutture rituali di una parte della tradizione ispana (che presto avrebbe preso il nome di tradizione “baetica” o andalusa, per conservarsi nei libri del Cisneros sotto la denominazione di versione “a stampa”) per la messa e la liturgia delle Ore. Questi libri consacrano tuttora l’integrazione, che si andava realizzando, di alcuni elementi romano-toletani, soprattutto nelle rubriche, nel calendario, nello spazio celebrativo e nelle suppellettili per il culto.
La chiesa di San Miguel de Escalada, a trenta chilometri da León, fu
fondata nel 913 da monaci in fuga da Cordoba. Gli archi moreschi del
portico a forma di ferro di cavallo sono tipici dell’architettura mozarabica
In epoca moderna quali sono stati i momenti più importanti?
Con la fine del secolo XVIII lo spirito erudito postridentino e il genio del “secolo dei Lumi” convergono in una nuova edizione del messale e del breviario auspicata dal cardinale Francisco Antonio de Lorenzana (1772-1800). Questa sarà la versione universalmente diffusa per il tramite della sua pubblicazione all’interno della collana del Migne (Patrologia Latina 85 e 86). Nel secolo XIX l’interesse degli studiosi per la questione “mozarabica” culminerà con le edizioni del benedettino francese Férotin, che mette in luce la ricchezza dei manoscritti mozarabici della Castiglia settentrionale dando luogo alla riscoperta di un’altra tradizione ispana (quella che prenderà il nome di “manoscritta”). Tale fu il fervore che queste riscoperte suscitarono, da destare sospetti circa l’“autenticità” della tradizione presente nei libri stampati a suo tempo dal Cisneros, che è andata poi recuperando credito grazie agli studi realizzati dopo il Concilio Vaticano II dal grande esperto del rito, dom Jordi Pinell, e dai suoi allievi di Sant’Anselmo a Roma e da altri professori in Spagna.
In tal modo, nell’attuale messale ispano-mozarabico, pubblicato secondo i principi della costituzione Sacrosanctum Concilium e sotto la direzione e il patrocinio del cardinale arcivescovo di Toledo Marcelo González Martín, si sono potute riunire le ricchezze di entrambe le tradizioni, a stampa e manoscritta, ricorrendo alla proposta di due cicli celebrativi laddove necessario.
E oggi?
Si può dire che, dal secolo VIII, la ricchezza del patrimonio eucologico del rito ispano-mozarabico non è mai stata tanto accessibile quanto oggi. Di fatto, lo dimostrano le numerose tesi dottorali pubblicate negli ultimi decenni in materia, al pari delle diverse celebrazioni occasionali del rito in tutte le regioni della Spagna e in luoghi e circostanze di risonanza universale: basti citare, tra le altre, la celebrazione presieduta da papa Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana (1992), quella presieduta dall’arcivescovo primate di Toledo, il cardinale Francisco Álvarez Martínez, sempre nella Basilica di San Pietro, in occasione del Grande Giubileo dell’anno 2000, su invito dello stesso Comitato organizzatore, o, infine, quella presieduta dal vescovo ausiliare di Toledo, monsignor Joaquín Carmelo Borobia Isasa a Québec, in Canada, in occasione del Congresso eucaristico internazionale dell’anno 2008.
Non è rimasto solo un tesoro per studiosi ed eruditi quindi…
Di fatto è un rito per una minoranza. Ma dopo il Concilio si sono anche volute aprire le porte di questo tesoro agli altri cattolici spagnoli e del mondo con una ampia possibilità di celebrare queste messe o la liturgia delle Ore con il rito mozarabico, previo permesso del vescovo, anche in luoghi dove non ci sono comunità mozarabiche.
Certo resta una liturgia che non viene celebrata con un grande numero di fedeli, ma la porta è aperta, così che le persone che amano avvicinarsi al mistero non soltanto con lo studio teorico ma in una esperienza vitale come è quella della celebrazione, possano trovare nel rito mozarabico questa ricchezza.