1/ Naledi. L’antenato che viene dal Pleistocene, di Fiorenzo Facchini 2/ Preistoria: l’«uomo di Naledi» aveva un’anima?, di Fiorenzo Facchini
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1/ Naledi. L’antenato che viene dal Pleistocene, di Fiorenzo Facchini
Riprendiamo da Avvenire dell’11/9/2015 un articolo di Fiorenzo Facchini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione L'uomo e le sue origini nella sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2015)
L’albero genealogico dell’umanità si è arricchito di un nuovo rappresentante: l’Homo naledi. È stato trovato in una grotta del Sudafrica, non molto lontano da giacimenti preistorici già noti per avere fornito reperti riferibili ad Australopiteci (Sterkfontein, Swartkrans). Non è stata effettuata ancora una datazione assoluta dei reperti, ma si tratterebbe di un giacimento plio-pleistocenico e potrebbero riferirsi, secondo la prime notizie, a 2,5 milioni di anni fa, un’epoca in cui il genere Homo era presente in alcune regioni dell’Africa, ma più a nord (Malawi, Tanzania, Kenya, Etiopia), nella forma di Homo habilis, ben conosciuto ai paleoantropologi, vissuto 2-2,5 milioni di anni fa, e ritenuto da molti rappresentante dei primi uomini a motivo di vari aspetti morfologici che la distaccano dalle forme australopitecine e soprattutto per la produzione sistematica dell’industria su ciottolo (chopper e chopping tools). Homo naledi sarebbe una forma diversa o potrebbe assimilarsi all’habilis? Bisognerà attendere studi morfologici completi, anche se al momento si preferisce distinguerlo.
La denominazione: Homo naledi, si riallaccia alla parola 'naledi' che significa 'stella' in linguaggio locale, per il fatto che il sistema di caverne in cui è stato trovato si chiama Rising star. Questo antenato africano è rappresentato dai resti di bambini e adulti, trovati nella grotta nel corso di due spedizioni (nel novembre 2013 e nel marzo 2014). Si tratta di 1550 reperti riferibili a 15 individui.
Homo naledi poteva avere una statura di 150 cm, un peso di 45 chilogrammi. Le dimensioni del cervello sarebbero di poco superiori a quelle dello scimpanzé. Ma questo non sarebbe un grosso problema, perché anche Homo habilis non aveva una grande capacità cranica. Anche l’uomo di Flores e di Dmanissi (di 1,8 milioni di anni fa, trovato in Georgia), avevano una bassa capacità cranica.
Non sono segnalate con il nuovo reperto industrie litiche, a differenza degli altri giacimenti di Homo abilis sopra ricordati. La presenza di molti individui nella medesima cavità indurrebbe a pensare a un trattamento dei defunti, che porterebbe a epoche molto antiche le pratiche tafonomiche, di cui andrebbe cercato il possibile valore simbolico. Quale scenario deposizionale si possa immaginare per i numerosi reperti trovati nella 'Dinaledi Chamber' della caverna è per ora oggetto di ipotesi. Come sono andati a finire in quella grotta? Occorre andare molto cauti nelle interpretazioni, esaminare bene i reperti e vedere se possono esserci tracce di trattamenti particolari.
Sarà interessante il confronto con altre serie preistoriche, come quella del sito di Atapuerca, in Spagna (una grotta di 400.000 anni fa), dove è stato trovato un pozzo con numerose ossa di vari individui. Come pure sarà interessante il confronto con i reperti neandertaliani del giacimento di Krapina (Croazia), di 130.000 anni fa, che presentano anche tracce di cannibalismo. Si apre il campo per le diverse ipotesi. L’uomo Naledi si aggiungerebbe ad altri reperti del genere Homo descritti ai primordi della umanità: Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo ergaster, Homo erectus, Homo floresiensis. Dunque una nuova specie umana? Parlare di specie per l’uomo preistorico è sempre problematico e discutibile. È un modo convenzionale per segnalare rappresentanti dell’umanità con qualche aspetto particolare, ma deve essere preso con beneficio di inventario, quasi a indicare una forma con qualche variazione rispetto ad altre più note.
Per il ritrovamento di Naledi va rilevata l’assenza di strumenti litici, che però, se la grotta non è stata abitata dall’uomo, non è un motivo per escludere uno psichismo umano. Caso mai potrebbe essere proprio il trasferimento di resti umani in un luogo protetto un motivo per attribuire i reperti a un ominide fornito di psichismo umano. Il materiale scheletrico è stato elencato, ma non ancora studiato. Elemento decisivo per una plausibile interpretazione resta la datazione, l’epoca a cui i reperti vanno attribuiti. Ma la loro numerosità e le condizioni del ritrovamento li rendono comunque di sicuro interesse dal punto di vista paleoantropologico e culturale.
Homo Naledi
Si tratta di oltre 1500 reperti ossei relativi ad almeno 15 individui di varie età. Alto circa un metro e mezzo, l’Homo Naledi, dal nome del luogo del ritrovamento, aveva gambe lunghe, mani con dita ricurve, piedi simili ai nostri e un cervello di dimensioni ridotte. I resti erano disposti in modo tale da far pensare a una deliberata abitudine a disporre dei corpi dopo la morte da parte di un ominide fornito di psichismo umano.
Per formulare ipotesi concrete sono però necessari accertamenti scientifici più approfonditi.
2/ Preistoria: l’«uomo di Naledi» aveva un’anima?, di Fiorenzo Facchini
Riprendiamo da Avvenire del 25/9/2015 un articolo di Fiorenzo Facchini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2015)
I reperti di Homo Naledi, scoperto in una grotta nel Sud Africa e vissuto due milioni e mezzo di anni fa, sono stati annunciati con grande enfasi dai media nei giorni scorsi come una nuova specie umana. Qualcuno si è chiesto: con questa scoperta cambia qualcosa nella paleoantropologia? Cambia qualcosa per la visione cristiana delle origini dell’uomo?
Sono domande legittime che possiamo porci.
Per rispondere alla prima domanda occorrerebbe una collocazione cronologica più precisa. Manca invece una datazione assoluta. Ciò rende problematica ogni interpretazione, che sarebbe di incomparabile interesse data la numerosità dei reperti. Certamente se essi risalissero all’epoca indicata, la presenza del genere Homo in Sud Africa sarebbe più antica di quanto finora si conosce in base a qualche reperto del genere Homo (habilis) segnalato in altri siti, quali Sterkfontein (Stw53) e Drimolen, di 1,5-2 milioni di anni, per avvicinarsi a quella di Homo habilis/ rudolfensis di 2-2,5 milioni di anni fa, trovato però più a nord (Tanzania, Kenya Etiopia).
Inoltre viene da chiedersi se il centro sudafricano di ominizzazione sia autonomo o dipenda da quelli più a nord; una ipotesi che forse resta più probabile, a motivo della ricca documentazione nella fase preumana e in quella umana per quelle regioni. La Rift Valley, secondo le vedute di Yves Coppens sulla East Side Story, resterebbe ancora il bacino privilegiato per le origini dell’uomo, con la formazione di un ambiente aperto a seguito del diradarsi della foresta nelle regioni orientali della Valle del Rift.
Qualche aspetto di primitività (bassa capacità cranica, dita alquanto ricurve, attitudine anche arrampicatoria), descritti per Homo Naledi, unitamente ad altri più evoluti (cranio globulare, mano capace di usare strumenti), si adatterebbe bene a epoca molto antica e alle prime fasi della ominizzazione. Un altro problema che si pone è come tanti resti umani (si parla di 1500 reperti riferibili a 15 individui, adulti e bambini) siano finiti in quella cavità. Sembrano non presentare segni di frattura né intenzionale né accidentale. Precipitati nella grotta? Gettati o trasferiti dopo la morte? In questo caso come interpretarlo? Quale significato potrebbe avere l’accumulo di ossa non potendosi riferire, se intenzionale, a un comportamento animale? Individui umani rimasti intrappolati nella grotta? Domande che si pongono, anche a prescindere dalla datazione. Esami accurati dei reperti potrebbero suggerire interpretazioni interessanti, come è avvenuto per altri accumuli di ossa dell’uomo preistorico (Krapina, Atapuerca).
L’altra domanda – che cosa cambia per il credente – ha invece una sola risposta: nulla. Tutte le domande sulle origini dell’uomo che interessano il credente sono quelle di significato, di senso: perché c’è l’uomo sulla terra? Quale rapporto con il mondo animale? Sono questioni che rimandano a considerazioni di ordine filosofico o religioso, alle quali la paleoantropologia non è in grado di rispondere, ma eventualmente solleva problemi.
Riconoscendo all’uomo, quello preistorico (anche per le prime forme), come all’uomo di oggi, la dimensione spirituale, cioè l’anima, si deve ammettere che essa non venga da una combinazione di cellule o da un’organizzazione cerebrale, ma costituisca un arricchimento voluto da Dio creatore, poste determinate condizioni, quando e come ha voluto, così come avviene nell’animazione di ogni essere umano.
Questa affermazione è di principio e non si basa su osservazioni empiriche. È il «salto ontologico» di cui parlava Giovanni Paolo II. Caso mai si può discutere sui segni del comportamento che possono denotare la presenza dello spirito. A nostro modo di vedere la cultura, come capacità di progetto e di simbolo, espressa anche nei prodotti della tecnologia, può suggerire la presenza dell’uomo. Ma l’identificazione del livello evolutivo in cui si manifesta l’identità spirituale dell’uomo è un problema che non coinvolge la fede.