1/ La teoria del gender esiste ed è presente nella “Buona scuola”: lo afferma sulle reti nazionali la stessa Valeria Fedeli, promotrice di una legge in merito. Alcune considerazioni sulla maggiore importanza della questione dell’omoparentalità o omogenitorialità rispetto alla questione se esita o meno una teoria del gender, di Giovanni Amico 2/ Gender, un problema che non riguarda solo la scuola, di Massimo Introvigne
1/ La teoria del gender esiste ed è presente nella “Buona scuola”: lo afferma sulle reti nazionali la stessa Valeria Fedeli, promotrice di una legge in merito. Alcune considerazioni sulla maggiore importanza della questione dell’omoparentalità o omogenitorialità rispetto alla questione se esita o meno una teoria del gender, di Giovanni Amico
Per approfondimenti, vedi le sotto-sezioni Famiglia, affettività e sessualità, omosessualità e gender nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2015)
È veramente buffo - il termine è scelto per non essere maleducati! - come alcune personalità politiche oscillino fra il dichiarare che non esiste alcuna “teoria gender” e l’affermazione contraria che essa esiste e che deve entrare nei programmi scolastici, anzi vi sarebbe già entrata con la “Buona scuola”, come afferma questa volta la stessa senatrice Valeria Fedeli, vice-presidente del Senato e promotrice di una delle tre proposte di legge relative al gender in discussione in Parlamento, a Radiodue nella trasmissione Un giorno da pecora del 28/9/2015.
|
Valeria Fedeli a Un Giorno da Pecora, 28 settembre 2015
Ovviamente tali politici hanno alle spalle non solo i gruppi che spingono in direzione di una svolta che dia priorità al genere sul sesso, ma anche docenti universitari che cercano di fondare scientificamente tale primato (si veda, fra tutti, Vittorio Lingiardi che nel volume La personalità e i suoi disturbi (scritto insieme a Francesco Gazzillo, Raffaello Cortina Editore, 2014) dedica l’intero ottavo capitolo al tema, sostenendo che ciò che è decisivo nello sviluppo personale è l’identità di genere, che è diversa sia dal dato biologico, sia dal ruolo di genere, sia dall’orientamento sessuale della persona; a suo dire sono gli omofobi la categoria di pazienti che manifesta un disagio psichico bisognoso di cura psicologica (la categoria degli omofobi viene ad includere secondo l'autore anche coloro che danno invece priorità al sesso sul genere).
A noi sembra che ci vorrà molto tempo per giungere ad un consenso scientifico veramente fondato e che una maggiore prudenza sul tema sarebbe davvero consigliabile, se non si vuole essere presto smentiti. Ci sembra che l’Italia sia molto più avanti di diversi paesi del Nord Europa e del Nord America che hanno aperto senza discutere agli effetti civili che vengono fatti discendere apoditticamente dalle cosiddette “teorie di genere”, dimenticando che la maggioranza dei paesi europei, si vedano ad esempio i paesi dell’est, ma ancor più la maggioranza dei paesi del mondo, sono assolutamente contrari a tali posizioni (non si dimentichi che papa Francesco utilizza in proposito il termine “colonizzazione ideologica”, collegando la teoria del gender alle visioni eurocentriche che tanto male hanno fatto in età colonialista per la pretesa occidentale di dettare legge al mondo intero su tali materie).
La nostra nazione si rivela ancora una volta più equilibrata di altri paesi. Non è per niente in ritardo, bensì sta cercando una via italiana, come sempre più moderata, proprio perché più seria nel considerare le evidenti esagerazioni di chi passa senza colpo ferire da una pacata riflessione psicologica sull’importanza del genere a sventolare presunti diritti alla paternità ed alla maternità, senza minimamente prendere in considerazioni eventuali diritti dei nascituri e dei bambini.
Le posizioni politiche dei diversi partiti italiani stanno rapidamente evolvendo verso l’affermazione di una netta differenziazione fra l’istituto della famiglia e una qualsivoglia regolamentazione che preveda diritti e doveri di coppie dello stesso sesso.
Proprio la questione dei figli sembra essere il punto di discrimine, poiché nell’istituto familiare la disponibilità a generare bambini è condizione essenziale dell’istituto stesso, mentre i diversi partiti italiani si stanno orientando non solo a non pretendere la disponibilità alla generazione come condizione per il riconoscimento di una coppia omosessuale, ma, molto di più, ad escludere il fatto stesso di una doppia paternità o maternità, vietando il cosiddetto “utero in affitto”.
Ci sembra che decisivo sia, da un punto di vista politico, soffermarsi allora sulla questione della cosiddetta omoparentalità o omogenitorialità.
Un bambino ha diritto a non essere obbligato a chiamare madre la compagna della madre o padre il compagno del padre. Come ogni minorenne deve essere educato all’amore al proprio genitore e, quindi, al rispetto delle scelte del suo genitore, ma non deve essere obbligato ad utilizzare terminologie come “ho due papà”, oppure “ho due mamme”, contrarie alla verità dei fatti.
Potrà così voler bene alla compagna della mamma, potrà così avere rispetto e non inimicizia verso di lei (lo stesso dicasi se vivrà con suo padre e con il compagno del padre stesso), ma lo stesso cercare anche solo inconsciamente – poiché non si deve dimenticare che l’inconscio esiste – altrove la figura paterna o quella materna di cui è mancante.
2/ Gender, un problema che non riguarda solo la scuola, di Massimo Introvigne
Riprendiamo da Il Messaggero del 17/9/2015 un articolo scritto da Massimo Introvigne. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2015)
Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini ha inviato una circolare alle scuole italiane per precisare che «la teoria del gender non rientra nei programmi scolastici» ai sensi della legge sulla "Buona scuola", e in un'intervista ha parlato di «truffa culturale perpetrata da chi insiste che la teoria, in quei programmi, c'è». Ha ragione? Ha torto?
Si deve dare atto al ministro Giannini di non essersi mai appassionata, a differenza di altri politici italiani, all'uso delle scuole come «campi di rieducazione» alla teoria del gender: l'espressione è del cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, ma è stata ripresa e fatta propria da Papa Francesco in un discorso dell'11 aprile 2015. Il ministro, inoltre, si era impegnata, di fronte al Parlamento, quando la "Buona scuola" fu approvata, a intervenire presso i presidi precisando che la legge non doveva essere usata per introdurre nelle scuole propaganda a favore della teoria del gender. Con la circolare rispetta questo impegno, e fa bene.
Parlando di «truffa culturale» c'è però il rischio che la Giannini sia arruolata, forse contro le sue intenzioni, nel partito - in cui militano alcuni suoi collaboratori - di chi sostiene che la teoria del gender «non esiste» ed è una «invenzione del Vaticano» o di Papa Francesco, che l'ha denunciata una decina di volte definendola durante la sua visita a Napoli un «errore della mente umana».
No, la teoria del gender esiste, è nata negli Stati Uniti proprio con questo nome, ed è la teoria che distingue il genere, maschile o femminile, che ciascuno potrebbe liberamente scegliersi, dal sesso biologico, determinato dall'anatomia per cui nasciamo maschio o femmina con certe caratteristiche evidenti. Certamente ci sono versioni diverse della teoria del gender, da quelle pionieristiche di Margaret Sanger alla versione classica di Simone de Beauvoir e a quella più radicale di Judith Butler, che assorbe totalmente il sesso nel genere.
Ma il nucleo è sempre lì, ed è bene espresso in un documento, che lo promuove, di un organismo governativo italiano, l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale (Unar), nelle sue linee guida per i giornalisti intese a evitare la discriminazione degli omosessuali. Qui si parla del «senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna». Ovvero ciò che permette a un individuo di dire: «Io sono un uomo, io sono una donna», indipendentemente dal sesso anatomico di nascita. La possibilità di definirsi uomo o donna indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche è appunto il cuore della teoria del gender. E la teoria è accolta anche da sentenze italiane che ammettono la possibilità di cambiare sesso all'anagrafe sulla base di un semplice: «sentirsi» uomo o donna, anche qui prescindendo totalmente dall'anatomia.
Che c'entra il gender con la "Buona scuola"? Che l'allarme non fosse totalmente infondato lo ha ammesso la stessa Giannini in Parlamento, promettendo l'intervento che ha ora messo in atto, e la Camera, su iniziativa dei deputati Roccella e Pagano, ha approvato insieme con la "Buona scuola" un ordine del giorno che ha impegnato il governo, nell'applicazione della legge, «ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette "teorie del gender?"».
Dov'era il problema? Nella norma della legge sulla "Buona scuola", che chiede di promuovere nelle scuole iniziative per studenti, docenti e genitori «sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119». Queste «tematiche» sono indicate dalla legge 119, quella sul cosiddetto femminicidio, con riferimento, tra l'altro, all'esigenza di «superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell'identità di genere». Certo, le leggi sono sempre interpretabili, ma non è poi così difficile leggere in questa norma un invito a superare lo «stereotipo» secondo cui si è uomini o donne in relazione a un dato anatomico insuperabile: e questo «superamento» è appunto l'essenza della teoria del gender.
Il problema non è nato con la "Buona scuola". Se anche la legge sulla "Buona scuola" fosse abrogata rimarrebbero la legge sul femminicidio, i piani anti-discriminazione, le attività dell'Unar: tutte cose in gran parte antecedenti al governo Renzi. È contro una dinamica quotidiana di penetrazione del gender nelle scuole che tanti genitori protestano e un milione di persone sono andate in piazza il 20 giugno a Roma. Non si tratta di politicizzare lo scontro o di prendersela con il ministro Giannini, che si è impegnata a cercare di frenare la deriva. Ma anche il ministro e il Ministero farebbero bene a prendere atto che il problema esiste, lasciando ai propagandisti più ideologizzati tesi bizzarre come quella, davvero esotica, secondo cui a non esistere sarebbe la stessa teoria del gender.