Ma Cicerone userebbe il 3Dtouch?, di Fabrice Hadjadj
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Riprendiamo da Avvenire del 27/9/2015 un articolo di Fabrice Hadjadj. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri articoli di Fabrice Hadjadj, oltre a cliccare sul tag fabrice_hadjadj, cfr. la sotto-sezione Filosofia contemporanea nella sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2015)
Cosa c'è di più datato dell'innovazione? Che cosa di più opposto al progresso umano? Certo, siamo passati dalla penna d'oca alla penna, dalla penna alla macchina da scrivere, dalla macchina da scrivere alla videoscrittura, dalla videoscrittura allo smartphone a comandi vocali, eccetera.
Ma nel frattempo ci siamo dimenticati di progredire con la penna d'oca. Anzi, siamo regrediti, perché non sappiamo più cosa sia la calligrafia e neanche siamo più in grado di scrivere frasi armoniose come quelle di Cicerone.
Qualche tempo fa un ragazzo sventolava davanti a me il suo iPhone 6s Plus, fiero del suo schermo 3Dtouch (notare già, in questi termini che mettono la maiuscola in mezzo a una parola e che mescolano cifre e lettere, tutto lo sforzo per disimparare a scrivere e parlare bene). «Ma cosa sai fare con questo?», gli chiesi allungandogli una matita e un foglio di carta, cioè tutto quel che serve per diventare Dante o Raffaello.
Purtroppo non era capace di scrivermi neppure una piccola poesia, per non dire un sonetto. A quel punto ho lasciato stare. Il poveretto si era battuto per essere ammesso in un prestigioso master in business administration e temevo che si lasciasse andare alla più nera disperazione rendendosi conto di quanto il suo apparente successo l'avesse reso più incompetente di un uomo del Quattrocento.
Qualcuno di certo obietterà: «Bisogna dunque ritornare indietro? L'innovazione non è forse caratteristica unica dell'uomo?». Prima di tutto non ho detto che bisogna tornare indietro; dico al contrario che bisogna andare avanti, cercando di creare nuovi capolavori forti e duraturi come quelli di Dante, o reinventando la povertà con lo stesso genio di Francesco d'Assisi.
Quanto alla storia della “caratteristica unica dell'uomo”, da una parte non tutto ciò che è caratteristico dell'uomo gli è necessariamente essenziale, come ad esempio sgozzare il suo simile per prendergli il portamonete (cosa che nessun animale predatore ha mai fatto); d'altra parte, mi sembra che dal punto di vista neodarwinista l'innovazione sia il nerbo della lotta per la sopravvivenza: dunque l'uomo sarebbe molto più originale non innovando…
Ma, veramente, non credo a questo modo di vedere l'evoluzione. Esso deriva più dal paradigma tecno-economico che non dalla natura stessa. E tuttavia ci rivela qualcosa di molto interessante: l'innovazione è la guerra. Non serve per far progredire ma per schiacciare il concorrente.
In fondo l'innovazione si oppone a qualsiasi nuovo inizio. Il suo paradigma tecno-economico ci impedisce di aprirci al “paradigma della primavera”. Perché siamo commossi dalla primavera? Non c'è alcuna innovazione ma un rinnovamento. Ora, il rinnovamento non è forse una specie di ripetizione?
No, è invece una novità che avviene nella profondità di un soggetto (l'albero nella sua linfa) e non dal lato degli oggetti (neo-fiori di sintesi), una novità talmente nuova che per affermarsi non ha bisogno distruggere ciò che la precede (perché l'innovazione è datata, l'ho detto all'inizio, è essenzialmente un processo di obsolescenza che, sotto le apparenze dell' hi-tech, ultimamente ciò che moltiplica sono i rifiuti).
Il rinnovamento conserva il soggetto, si carica della sua storia con tutti i suoi inverni e gli offre un avvenire oltre il freddo della morte. È il simbolo dell'ispirazione, della conversione, di tutte le risurrezioni interiori. Non si tratta più dell'oggetto enne-più-unesimo che si sostituisce all'oggetto ennesimo, pur restando in concorrenza tra loro dato che si trovano sullo stesso piano; si tratta di un soggetto insostituibile, tu, io, che improvvisamente cambia d'ordine, e al suo sguardo tutte le cose, anche le più vecchie, anche le più comuni, appaiono come nuove mentre sgorgano nella freschezza della loro sorgente eterna.