Due interventi su Jürgen Habermas di Vittorio Possenti e Silvano Zucal
- Tag usati: jurgen_habermas, silvano_zucal, vittorio_possenti
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da Avvenire del 23/9/2015 due articolo di Vittorio Possenti e Silvano Zucal. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2015)
1/ Habermas. Ma la religione lo separa dal «gemello» Ricoeur, di Vittorio Possenti
Salvo eccezioni recenti, la comprensione tra cultura francese e cultura tedesca è risultata difficile per motivi antichi, tra cui la disfatta francese a Sedan nel 1870 ad opera della Germania prussiana. Ma già prima l’invettiva del tedesco H. Heine contro i suoi connazionali metteva in guardia i francesi: «Da una Germania liberata avete da temere più che da tutta la Santa Alleanza». Con la fine della seconda guerra mondiale le questioni della democrazia, della pace e i primi vagiti della comunità europea hanno favorito un’intesa tra i due Paesi. In ciò si radica la valutazione positiva del pensiero di Habermas da parte di Ricoeur su cui si sofferma il numero di Esprit.
Al di là della comune aspirazione verso i valori democratici, rimane stimolante cogliere la peculiarità dei due filosofi. Entrambi sono postmetafisici, ma in modo diverso: Habermas rinnova spesso la sua confessione di post-metafisico, Ricoeur ha invece compiuto sforzi per entrare nella terra promessa dell’ontologia ma ha infine riconosciuto che l’operazione non gli apparteneva. Il punto di discrimine sembra essere la religione. Habermas la integra nella società attraverso il riconoscimento del contributo che può dare alla vita buona e alla cura delle ferite dell’esistenza.
Questo discorso merita rispetto e consenso, anche alla luce del detto evangelico che suona: «Chi non è contro di voi è per voi». Non sembra però che Habermas intenda inserire – nonostante la affermata comune genesi di filosofia e teologia in un lontano passato – la religione in profondità nella cultura come sorgente di animazione perenne, riconoscendo sino in fondo il valore perenne del fatto religioso. In ogni caso nella condizione spirituale contemporanea segnata da un esteso secolarismo, quella di Habermas risulta forse la maggior valutazione positiva della religione che può essere compiuta da un filosofo agnostico e antropocentrico.
L’opzione post-metafisica implica infatti spesso l’antropocentrismo. Della triade «Dio-uomo-mondo» la prospettiva antropocentrica punta solo sul secondo termine, di modo che l’oggetto del filosofare è esclusivamente il mondo umano: etica, politica, diritto, scienza. È agevole verificare quanto il pensiero di Habermas è assimilabile a questo nucleo, e con lui quello di molti filosofi dell’occidente attuale, il cui dialogo è appunto agevolato dalla pregiudiziale post-metafisica.
Ricoeur, in quanto pensatore credente, è intimamente aperto al problema religioso e a quello di Dio, con una particolare attenzione al mistero del male, alla colpa, alla finitezza, alla prospettiva biblica: l’orizzonte è post-metafisico ma non antropocentrico. Il problema politico di Ricoeur non è stato l’etica comunicativa del discorso ma la persona e con ciò il programma enunciato dal filosofo francese: «Possa io vivere una vita compiuta, con e per gli altri, sotto istituzioni giuste». In ciò si solidifica il compito del personalismo rivolto alla società e alla politica, sotto la regola della dignità del soggetto e della giustizia. A mio parere il pensiero antropocentrico di Habermas rimane fortemente scoperto sul lato del diritto, dove la posizione preferita appare insufficiente per il rifiuto del diritto naturale (ossia interno alla natura umana), a favore del solo diritto positivo. Ciò è coerente con l’atteggiamento post-metafisico dal momento che il concetto di natura umana è metafisico. Habermas e Ricoeur possono comunque offrire all’Europa burocratica e in forte crisi di identità una salutare scossa che la volga verso l’utopia, intesa positivamente come una direzione di marcia verso una società più giusta e fraterna.
2/ In dialogo con Ratzinger sulla società post-secolare, di Silvano Zucal
Negli anni Settanta Achille Ardigò amava introdurre i suoi numerosi studenti all’Università di Bologna al pensiero, per molti aspetti arduo, di Habermas. Ne aveva intuito un segno distintivo: la passione per la democrazia e per i suoi presupposti etici non poteva che portarlo a confrontarsi anche con le grandi tradizioni religiose e, in particolare, con il cristianesimo. Sulla scia di Ardigò coglieranno acutamente la portata di questa cifra altri studiosi come Michele Nicoletti e Piergiorgio Grassi. Il vertice del confronto con il cristianesimo sarà il dialogo con Ratzinger del 2004 alla Katholische Akademie di Monaco su «i fondamenti prepolitici dello Stato liberale». Habermas vi analizzerà il rapporto tra religione e Stato liberaldemocratico: tema per lui rilevante, che emerge nel discorso «Fede e sapere » del 2001. Già prima aveva riconosciuto un rilievo particolare all’esperienza religiosa: offriva alle persone consolazione e «importanti risorse di creazione di senso» nell’esistenza (così affermava in Il ruolo sociale della religione del 1975). Nel 1999 riconosceva un influsso reciproco tra filosofia e religione e ammetteva che la sua stessa teoria dell’«agire comunicativo » è un’eredità del cristianesimo salvo, ovviamente, mantenere un’autonomia di metodo della filosofia nei confronti della teologia.
Nel dialogo con Ratzinger, Habermas fa un passo in più. Riconosce al linguaggio religioso la capacità di custodire ed esprimere delle 'ragioni' che il discorso pubblico non potrà ignorare. Egli chiede sempre alla coscienza credente di rispettare il pluralismo delle tradizioni religiose e le pratiche dello Stato di diritto. È però aperto a una feconda reciprocità, postulando un processo di apprendimento reciproco tra pensiero laico e religioso. La ragione secolare deve, a suo dire, essere «sempre disponibile a imparare e a tenersi osmoticamente aperta – senza per questo sacrificare la propria autonomia – su tutti e due questi fronti». Chiede sempre «un compito cooperativo, in cui entrambe le parti sono chiamate ad accogliere anche la prospettiva della parte avversa». Solo in tal modo si può costruire una «sfera pubblica polifonica». Se la religione si nega al pluralismo e alla tolleranza rischia di sviluppare un potenziale distruttivo. Così la ragione secolare che si sottrae alla voce delle tradizioni religiose si priva di quel prezioso apparato concettuale che la teologia ha dispiegato.
Habermas intravede una «società post-secolare», che ha perso la certezza che la religione scompaia dal mondo per effetto della modernizzazione: in essa decolla un «cambio di coscienza » in virtù del quale il pensiero laico considera il cristianesimo e la religione in generale una forma di sapere legittimo da cui poter apprendere contenuti semantici importanti. I grandi temi religiosi come il male, la colpa, la responsabilità o la giustizia sono necessari per la sopravvivenza di una società democratica.
L’atteggiamento della filosofia nei confronti del cristianesimo non deve essere soltanto di rispetto ma anche, umilmente, una disposizione a imparare. Le tradizioni religiose custodiscono qualcosa che «altrove è andato perduto»: la capacità di «percepire ed esprimere» la vita mancata, i fallimenti esistenziali, le patologie sociali. Anche nel recente Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia (2015), Habermas ha sottolineato come la rinnovata vitalità di movimenti e fondamentalismi religiosi implichi una doppia sfida: da un lato elaborare nuovi modelli di convivenza, dall’altro ripensare il rinnovato ruolo delle comunità religiose troppo prematuramente confinate nella sfera del privato. La scommessa di Habermas è per una convivenza «riflessivamente illuminata» e non deve far scalpore un’affermazione come questa: «Mi chiedo se un’ipotetica mentalità laicista della gran massa dei cittadini non finirebbe per essere altrettanto poco desiderabile quanto una deriva fondamentalista dei cittadini credenti».