Commovente racconto di Mardy Fish, che lancia un appello: "Cercare aiuto e cure è forza!". L'americano, che si è ritirato al termine degli Us Open 2015, scrive la sua lettera d'addio al tennis, raccontando i suoi problemi di salute
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Riprendiamo dal sito http://www.tennisworlditalia.com/ la sua lettera d'addio al tennis di Mardy Fish scritto per Theplayerstribune e curato nella sua versione italiana da Chiara Gambuzza e pubblicato il 2/9/2015 sul sito Tennis World Italia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (13/9/2015)
“Non giocare”.
Mancano poche ore alla partita di tennis più importante della mia vita: il quarto turno degli Us Open... durante il Labor Day...il compleanno di mio padre...sull'Arthur Ashe... sulla CBS... contro Roger Federer. Mi separano poche ore dal giocare contro il più grande tennista di tutti i tempi, per avere l'opportunità di ottenere il mio miglior risultato di sempre, in quello che è il mio torneo di tennis preferito. Poche ore mancano alla partita per cui ho lavorato e ho fatto dei sacrifici, per un'intera carriera.
Non posso farlo.
Non posso farlo, davvero.
Primo pomeriggio. Sono nella macchina che mi porterà ai campi di gioco. Sto avendo un attacco d'ansia.
In realtà, sto accusando diversi attacchi d'ansia- inizialmente, uno ogni 15 minuti ma poi uno ogni 10 minuti. La mia mente comincia a perdere il controllo. Sto andando fuori di testa. Mia moglie mi chiede: "Cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare? Come possiamo migliorare la situazione?"
Io le dico la verità: "L'unica cosa che mi fa sentire meglio in questo momento... è l'idea di non giocare questa partita".
Lei esita, mi guarda per un secondo, per cercare di capire se fossi serio. Sono serio. Qui, non sono io che penso - sono io che reagisco, provo, cerco di sopravvivere. Lei mi risponde semplicemente: "Bene, non dovresti giocare. Non devi giocare. Non giocare".
Il mio disturbo d'ansia è cominciato nel 2012, durante quello che doveva essere il momento più alto della mia carriera. Ero alla fine di un lungo percorso - iniziato anni fa - e i risultati cominciavano ad arrivare. Nel 2009, qualcosa mi ha fatto aprire gli occhi, un punto di svolta. Fino ad allora, avevo avuto una bella carriera. Una carriera che, per molti versi, mi rendeva orgoglioso: avevo vinto la medaglia d'argento alle Olimpiadi del 2004, avevo ottenuto buoni risultati nei tornei dello Slam, avevo visto il mondo, fatto una buona vita. Nulla che, però, avesse un sostegno alla base.
Mi ero appena sposato, la mia prospettiva stava cambiando, crescendo. Proprio in quel momento, ho cominciato a ragionare come non avevo mai fatto prima...ho pensato che aver fatto una "bella" carriera non era abbastanza per me. Non ero finito. Volevo ancora essere protagonista nel mondo del tennis. E la cosa più importante, adesso o mai più.
Ho cambiato la mia dieta, il mio stile di vita e, onestamente, tutto il mio modo di pensare. Sono passato da 91 chili a 78. Avevo trovato il mio "peso da combattimento", non sapevo al 100% dove tutto questo mi avrebbe portato, ma sapevo che dovevo scoprirlo.
Nel 2010, ho cominciato ad ottenere i risultati. Ho battuto Andy Murray a Miami in due set - un risultato che non avrei mai potuto ottenere un paio di anni prima. Al Roland Garros, ero stato in grado di giocare due partite consecutive, da cinque set ciascuna - perdendo la seconda partita 10-8 al quinto dal numero 14 al mondo, Ivan Ljubicic, ma giocando ad un livello fisico mai raggiunto prima. Ho vinto due tornei di fila quell'estate, a Newport e Atlanta - battendo John Isner in finale ad Atlanta nel bel mezzo di un'ondata di caldo. Ho perso la finale a Cincinnati contro Federer per 6-4 al terzo, un match che avrei potuto facilmente vincere. Ho battuto Andy Roddick, il quale, in precedenza, mi aveva sconfitto per otto volte consecutive.
Il 2011 è stato anche migliore. Ho ottenuto i miei migliori risultati al Roland Garros e a Wimbledon. Superai Andy in classifica, uno dei miei migliori amici, e diventai il numero 1 d'America. E poi - forse la cosa più bella di tutte - sono entrato ufficialmente in Top10. Il 2012 era dietro l'angolo ed io ero numero 8 in classifica. Avevo raggiunto quello per cui avevo lavorato negli ultimi anni. Non ero più uno "degli altri ragazzi sul circuito" ma avevo raggiunto l'élite.
Ed è in quel momento che cominciarono gli attacchi d'ansia. L'ansia è difficile da individuare in una prospettiva di causa-effetto, ma quando penso alla sua genesi, nel mio caso, un paio di cose mi vengono in mente.
La prima è che le mie aspettative cambiarono, sia esternamente che internamente, insieme alla mia classifica. La mia insoddisfazione con la situazione precedente - che era stata utile quando davanti a me c'erano 20 giocatori in classifica - era diventata stressante, distruttiva, ancor di più quando mi sono ritrovato ad avere davanti solo sette giocatori.
L'idea che non ero bravo abbastanza, ha avuto una grande influenza su di me - mi ha spinto, in un'età in cui la carriera di molti giocatori va' a scemare, a dei risultati incredibili. Ma tutto è diventato anche difficile da controllare. Oggettivamente, stavo andando alla grande. E guardando indietro, avrei dovuto essere in grado di dirlo a me stesso. Ma andando alla grande, la mia mente non aveva avuto il tempo di elaborare quanto stava accadendo. Ero solo concentrato sul fare ancora meglio. È stata un'arma a doppio taglio.
La seconda cosa è che ho cominciato a soffrire di aritmie cardiache. Un’aritmia è fondamentalmente un malfunzionamento dell'elettricità intorno al cuore. Il mio cuore poteva "impazzire" e io non sarei stato in grado di gestirlo. È stato spaventoso. Mi sono preso una pausa e mi sono sottoposto ad una procedura correttiva chiamata ablazione, dopo la quale stavo apparentemente bene.
Quando sono tornato in campo quell'estate, durante il periodo di Wimbledon... in quel momento ho cominciato ad avere dei pensieri strani. Pensieri ansiosi. Era come se fossi preoccupato per qualcosa che stava per accadere ma poi non accadeva mai. Penso che dietro questi pensieri, ci fosse il trauma del problema avuto al cuore.
Avevo difficoltà a dormire. Non riuscivo a dormire da solo. Avevo bisogno di mia moglie, sempre. Dovevo avere qualcuno con me nella stanza. Fino ad allora, ero stato il ragazzo che amava stare da solo, viaggiare da solo, la solitudine. Quella sensazione di spegnere il telefono durante un lungo viaggio... mi faceva sentire in pace. Adesso, invece, non potevo più viaggiare da solo. I miei genitori hanno dovuto viaggiare con me. Avevo bisogno di persone intorno a me, in ogni momento.
Nonostante tutto questo, ho continuato ad avere questi... pensieri. Questa ansia. Questa terribile confusione mi aveva consumato. E gli attacchi continuavano... sempre... peggio.
Ironia della sorte, non avevo alcun tipo di problema in campo. Riuscivo ad ottenere dei risultati: quarto turno a Wimbledon, quarti in Canada e Cincinnati. Stavo giocando bene. Questo problema esisteva solo fuori dal campo e si stava aggravando.
Questi pensieri continuavano ad essere lì, presenti, ed erano sempre più frequenti: da una volta o due al giorno, ad una manciata di volte al giorno e, a fine estate, ogni 10-15 minuti. Una volta tornato in hotel, su Google ho digitato "disturbo d'ansia", "attacchi di panico", "depressione", "salute mentale", ma in realtà non sapevo nulla di tutto ciò. Non sapevo cosa fare. Non avevo la minima idea.
Almeno, mi sono detto, non mi accade nulla in campo. Poi, è successo in campo.
Era il 2012, fine estate. Dovevo giocare una match serale contro Gilles Simon - una testa di serie più alta di me ma stavo giocando bene. Mi sentivo fiducioso. Gli incontri notturni agli Open sono riservati alle partite migliori ma anche ai giocatori preferiti dal pubblico, a quelli che la gente vuole vedere.
Io ero uno di quelli. Dopo anni e anni trascorsi ad essere fuori da quella cerchia, ora ne facevo parte. Non stavo giocando la partita di qualcun altro. Stavo giocando "La partita di Mardy Fish".
È stato speciale ma anche stressante. La partita è stata davvero emozionante. Sono stato al limite per tutta la partita: mi incoraggiavo, gettavo la racchetta e mi sentivo ansioso... angosciato.
Non dimenticherò mai quando sono stato vittima del primo, e unico, attacco di panico su un campo da tennis. Ero due set a uno, 3-2 nel quarto. Con la coda dell'occhio, ho guardato l'orologio. Ho visto che era l'1.15 di notte. Non so dire la ragione ma ne avevo abbastanza. È stato il campanello d'allarme.
La mia mente cominciava a precipitare in una bolla di pensieri: 1.15. O mio Dio, è tardi. Mi sentirò male domani. Stiamo giocando una partita lunghissima, devo ancora fare la conferenza stampa, poi lo stretching, devo mangiare, mi sentirò male...
Ad un certo punto, non riuscivo a controllare tutto questo. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. Nessuna idea. Non ricordo nulla. In qualche modo, sono riuscito a vincere tre game di fila, il set e la partita. Ma non ricordo come.
Ricordo l'intervista post- partita. Justin Gimelstob mi stava intervistando, lui è un buon amico. Ricordo di averlo guardato in faccia, prima che cominciasse a parlare, dicendogli di sbrigarsi, di fare in fretta. Justin non aveva idea di cosa stessi parlando. Ma io continuavo a dirgli "Per favore in fretta. Ti prego sbrigati. Devo andarmene, devo lasciare il campo".
Una volta che tutto questo era accaduto in campo, sapevo che nulla sarebbe stato più come prima. Poi due giorni dopo, tutto è tornato.
Eravamo in macchina, avrei dovuto giocare contro Roger - i miei pensieri erano pieni di terrore. Mi accadrà di nuovo in campo? Mi verrà un nuovo attacco di panico davanti a migliaia di persone? I pensieri continuavano a perseguitarmi, non si fermavano.
Continuavano ad offuscare la mia mente. Ero in una situazione molto brutta.
Mia moglie continuava a guardarmi e ripeteva: "Non devi giocare. Non devi giocare. Non giocare."
La ascoltavo ma in realtà non la ascoltavo. Stavo pensando. Posso davvero non giocare questa partita? Non riuscivo a pensare ad altro. Ma, alla fine, ho prestato ascolto a mia moglie. Non giocare. Lo ricordo ancora in maniera molto viva. O mio Dio, pensavo... sto per non giocare questa partita. Non ho intenzione di scendere in campo di fronte a 22.000 persone.
Non voglio giocare contro Roger.
Non ho giocato contro Roger ma poi non ho giocato affatto.
Tre anni dopo, sono tornato agli Us Open per la prima volta. Penso che posso ancora giocare ad un livello molto alto, questo sarà il mio ultimo torneo. Dopo l'Open, mi ritirerò dal tennis.
Questo non è un film sullo sport, e certamente non ci sarà un finale da film. Non andrò via, alzando il trofeo al cielo. Non vincerò il torneo. Ma va bene, perché onestamente questa non è una storia di sport. Penso sia importante che la mia storia non sia in un libro di sport. Non ho "mollato la presa" nel secondo atto e non vincerò nel terzo atto.
È una storia di vita.
È la storia di un problema mentale che mi ha allontanato dal mio lavoro. Sono passati tre anni, e sto facendo questo lavoro di nuovo, e lo sto facendo bene. Sto giocando di nuovo lo Us Open.
È la storia di come, con la giusta educazione, la giusta mentalità, la giusta cura, si possa riprendere quanto lasciato in sospeso.
Decine di milioni di Americani, ogni anno, combattono con questo tipo di problemi relativi alla salute mentale. Può essere un problema che ti colpisce una volta o, nei casi peggiori, può essere una minaccia per la vita.
Io voglio aiutare con quanto ho raccontato.
Voglio rappresentare una storia di successo, a modo mio. E penso che ritirarmi alle mie condizioni, nel torneo che amo di più, lo sia.
Non è facile parlare di salute mentale nello sport. Non è una cosa percepita come mascolina. Veniamo allenati per essere mentalmente forti. Mostrare le proprie debolezze, ci viene detto, è vergognoso.
Ma io sono qui per mostrarvi le mie debolezze. Non mi vergogno.
Sto scrivendo questo proprio con l'obiettivo di mostrare debolezza. Sto scrivendo questo per dire alla gente che la debolezza va bene. Sono qui per dire alla gente che è normale.
La forza puoi dimostrarla sotto diverse forme.
Affrontare questo problema è forza. Parlare della tua salute mentale è forza. Cercare aiuto e cure, è forza.
E prima della partita più importante della tua carriera, la tua salute è la priorità. Anche questo, è forza.
Per quanto riguarda quello che verrà in futuro, non lo so. Ho 33 anni e so che non sarò bravo a fare qualcosa come lo sono stato giocando a tennis. Ma va bene.
Combatto ancora con la mia ansia ogni giorno. Assumo dei farmaci ogni giorno. È tutto ancora nella mia mente. Ci sono giorni in cui vado a letto e penso "Hey, non ho pensato al mio problema nemmeno una volta oggi. Ciò vuol dire che la giornata è stata davvero buona."
Queste sono delle vittorie per me.
Non c'è alcun torneo per questo problema. Non ci sono quarti di finale, semifinali o finali. Non finirò questo pezzo con una metafora sportiva.
Perché lo sport finisce con un risultato. La vita, invece, continua ad andare avanti.
La mia, spero, sia solo cominciata.