Discepoli "pescatori di uomini", di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito l'articolo scritto da Andrea Lonardo il 27/11/2009 per la rubrica In cammino verso Gesù del sito Romasette di Avvenire. Per altri articoli sulla Sacra Scrittura, vedi su questo stesso sito la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (27/11/2009)
Nell’abbazia di S. Nilo a Grottaferrata, un fonte battesimale, forse del X-XI secolo, forse del X-XI secolo, è istoriato con la rappresentazione di pescatori che traggono dal grande mare i loro pesci. Tale immagine non vuole indicare il crudo procacciarsi del cibo, bensì l’opera della salvezza che, attraverso il battesimo, pesca nuovi figli che rigenera alla vita eterna.
La stessa immagine troviamo nel famoso sarcofago paleocristiano di Giona di età costantiniana, custodito oggi nei Musei Vaticani, sul fronte del quale si sovrappongono storie di salvezza che utilizzano l’elemento dell’acqua: Giona ricacciato dal pesce che lo aveva inghiottito, Noè che nell’arca in mare aperto accoglie il ritorno della colomba con il ramoscello d’ulivo, S. Pietro che battezza i suoi carcerieri avendo fatto scaturire acqua dalle pietre ed, alla destra, un pescatore nell’atto di pescare sulla riva del grande mare.
Questa iconografia ha le sue radici nelle parole di Cristo: «Vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19 e paralleli). In quell’episodio, le due coppie di fratelli, Pietro ed Andrea ed i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, ricevono una nuova identità che li contraddistinguerà intrinsecamente come inviati, missionari, cercatori di uomini.
Il grande esegeta gesuita Ignace de la Potterie ha sostenuto con buone ragioni che l’espressione “pescatore di uomini” sia da attribuire con certezza allo stesso Gesù, poiché in nessun testo dell’Antico Testamento figura una tale immagine. Fu il Maestro a scegliere queste parole per indicare la missione dei suoi discepoli, mutando la prospettiva della professione che essi svolgevano nelle acque del lago.
Come pescatori di uomini Gesù chiama intorno a sé innanzitutto i Dodici (sui Dodici ed il significato di questa espressione cfr. il nostro precedente articolo Dodici, come le tribù di Israele. Gesù e il nuovo popolo di Dio). Il termine “apostolo” vuol dire precisamente “inviato” (dal greco apostello, invio). Gli apostoli si raccolgono intorno al maestro non solo per divenirne discepoli, ma per essere mandati ad evangelizzare.
Certo essi sono “pescati” a loro volta, sono conquistati dal Signore mentre erano intenti al loro lavoro sulle rive del lago di Tiberiade o mare di Galilea. Ma non dovranno attendere la Pasqua per essere inviati ad altri.
H. Schürmann, altro grande studioso neotestamentario, ha sottolineato come dai vangeli appaia chiaramente l’invio degli apostoli già nel corso della vita pubblica del Maestro. Essi furono preparati direttamente da lui ad esporre sinteticamente il suo messaggio. Padre R. Latourelle, studioso della storicità dei vangeli, ha così riassunto le posizioni dell’esegeta: «Secondo la tesi di Schürmann, Gesù ha predicato e proposto il suo messaggio con l’intenzione precisa di mettere in mano ai discepoli uno strumento adatto, in vista di un’attività missionaria, che essi avrebbero dovuto svolgere, in qualità di ambasciatori e predicatori del regno, non soltanto dopo Pasqua, ma anche durante il periodo di vita di Gesù».
Il fatto della missione pre-pasquale attesta che i discepoli di Gesù avevano, almeno in parte, già sedimentato ciò che poi trasmetteranno dopo la Pasqua e che sarà infine scritto nei quattro evangeli.
L’espressione “pescatori di uomini” ha come suo presupposto proprio il discepolato, che caratterizza ormai la Nuova alleanza. Essa non dipende più, come l’Antica, dall’appartenenza ad un popolo, ma si connota per la nuova e costitutiva relazione con il Signore Gesù. Così ha affermato, in proposito, il libro di J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret: il vangelo «con la parola “discepoli” non restringe la cerchia dei destinatari del discorso, ma la allarga. Chiunque ascolti e accolga la Parola può diventare un “discepolo”. In futuro conteranno l’ascolto e la sequela, non la provenienza. A ognuno è possibile divenire discepolo, la chiamata è per tutti: così sulla base dell’ascolto della Parola si viene a formare un Israele più ampio, un Israele rinnovato, che non esclude o abolisce l’antico, ma lo oltrepassa aprendolo all’universale».
È ipotesi di S. Girolamo che il particolare dei 153 grossi pesci della pesca miracolosa nel racconto dell’evangelista Giovanni, faccia riferimento proprio all’universalità di orizzonti della “pesca” affidata agli apostoli. Girolamo sostiene che 153 era il numero delle specie di pesci conosciuto all’epoca e che, conseguentemente, l’evangelista volesse simbolizzare in quel numero il fatto che il vangelo era destinato a salvare ogni specie di uomini.
È evidente qui la novità cristiana. Il Nuovo Testamento attesta che all’epoca esistevano “proseliti” dell’ebraismo - cioè persone che liberamente si facevano ebree con la circoncisione e la decisione di osservare la Legge - e “timorati di Dio" (il termine “foboumenos” ed il suo sinonimo “sebomenos” ricorrono 11 volte negli Atti degli Apostoli) - cioè uomini che simpatizzavano con l’ebraismo, senza divenire ebrei, limitandosi alla venerazione dell’unico Dio ed all’osservanza dei precetti morali dell’Antico Testamento.
Non esisteva, però, una predicazione della rivelazione divina rivolta ai non appartenenti al popolo ebraico. I rabbini del tempo di Gesù affermavano che non sarà mai un buon discepolo colui che vuole imparare senza voler insegnare a sua volta, ma tale ammaestramento era poi rivolto agli appartenenti al popolo eletto.
La pesca dei discepoli di Gesù si spingerà, invece, più oltre.