Social-polarizzazioni ai tempi di Facebook, di Roberto Contu e Flavia Marcacci
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Riprendiamo dal sito della rivista La Voce un articolo di Roberto Contu e Flavia Marcacci pubblicato il 17/7/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e media nella sezione Catechesi, scuola e famiglia.
Il Centro culturale Gli scritti (19/7/2015)
Siccome si ricevono news solo dai siti su cui si è cliccato “mi piace”, si hanno perlopiù informazioni a senso unico. Poche persone ascoltano “campane” diverse.
Sono tempi, questi, di grandi discussioni collettive: famiglia, scuola, migranti. È utile proporre una riflessione sulle dinamiche comunicative all’interno delle quali tali dibattiti si inseriscono.
Pur permanendo uno spazio di risonanza sui media classici (che però sembrano sempre più rivestire un ruolo limitatamente assertivo), è palese come il fermentare di notizie e controversie abbia cittadinanza all’interno del mondo social.
È una realtà evidente per chi li “abita”, quanto escludente per i pochi che – pur per ragioni legittime – provano a decifrare la polis come se questa rivoluzione della comunicazione e del pensiero non fosse avvenuta.
“Mi piace”… cosa?
Il mondo social investe chi lo abita di due funzioni: quella di poter dire la propria, e quella di potersi informare per poter dire la propria. Se sul “dire la propria” si è discusso e scritto, è sul potersi informare che vale la pena spendere qualche pensiero.
Chi usa Facebook sa che gran parte del tempo passato su questo social consiste nello scorrere la bacheca della home, dove compaiono gli stati, le condivisioni degli amici, ma anche gli aggiornamenti delle agenzie informative – soprattutto testate on line e blog – sulle quali l’utente ha cliccato mi piace.
Questo processo pare innocuo: cliccherò mi piace su ciò che mi interessa per seguirne gli aggiornamenti, il negozio di chitarre, ad esempio, e non cliccherò mi piace sul negozio di découpage.
Lo stesso processo diventa però cruciale se dal negozio di hobbistica si passa alla fonte informativa su temi importanti. Facciamo un esempio attuale.
Ipotizziamo due utenti Facebook, fortemente interessati ai temi messi in campo dal recente Family Day, ma con visioni antropologiche e appartenenze culturali del tutto opposte. Senza allontanarci troppo dal vero, possiamo prevedere che ciascuno metterà mi piace e quindi seguirà blog o quotidiani coerenti con la propria visione, aumentando così nel tempo fonti monocolore, in modo proporzionale al grado di militanza dall’una e dall’altra parte.
Ovviamente ci sarà anche chi per libertà personale avrà nella sua home fonti di segno opposto, ma è innegabile che mettere mi piace a una testata o blog di segno opposto alla propria appartenenza costituisca una soglia psicologica non irrilevante.
In sintesi, maggiore sarà l’uso e la cittadinanza nel proprio mondo di riferimento, maggiore sarà il modellarsi della propria “socialsfera” alla propria visione culturale. L’ambiente in cui ci si troverà gradualmente a navigare, come un guanto, aderirà in modo sempre più armonico con la propria verità, sempre più confermata.
E allora che succede?
Fin qui si è semplicemente descritto un dato di realtà. Ma quali le implicazioni? Non ci vuole molto. Il livello di polarizzazione tra posizioni distanti sale alle stelle, e la possibilità di un confronto che abbracci la complessità di posizioni diverse diventa arduo.
Per cattiva volontà dei social-cittadini? No, ci mancherebbe. Ma per un processo tanto semplice quanto inevitabile: un sistema personale così auto-costruitosi nel tempo, su misura dell’utente, non lascia spazio a dubbi o possibilità dal mettere in crisi le proprie idee.
Facciamo un altro esempio. Poniamo la possibilità di disporre di due profili sperimentali, uno pro-vita, uno pro-Lgbt, maturi ed espansi, ossia ben caratterizzati dal mondo culturale di riferimento in termini di amicizie e mi piace. Poniamo la possibilità di una consultazione da parte terza delle due diverse narrazioni sul tema gender per quanto postato da amici e agenzie di informazione.
Quale sarebbe il risultato? Di sicuro, quello di due narrazioni comunque solide. Il problema ovviamente è che nessuno dispone abitualmente di questo Dottor Jekyll & Mr. Hyde (a prescindere da quale sia la parte buona e quella cattiva).
Molto più realisticamente, esistono sì utenti social che per storia, disponibilità e anche libertà riescono, seppur parzialmente, ad abbracciare uno spettro non polarizzato di posizioni, ma sono – ne restiamo convinti – la minoranza. È alta la sensazione che un “contenitore informativo” così determinato contribuisca non poco alla polarizzazione estrema che sembra investire i dibattiti più caldi di questo periodo.
Conclusioni
Già dalle prime righe sentiamo il levarsi di scudi dei social-cittadini schierati sì, ma liberi, critici e informati. Nessuna paura, ci mancherebbe che non si desse spazio a questa opzione. Il problema è capire quale sia la tendenza di base che investe la maggioranza degli utenti.
Rimane il dubbio che anche i più consapevoli tendano a drenare le proprie occasionali perdite di certezze o a ovattare l’insorgenza di dubbi mediante condivisioni da fonti che blocchino prontamente ogni cedimento all’autocritica.
Spesso la formula ricorrente è la stessa: condivisione di un articolo a rinforzo delle proprie certezze, magari introdotto da due-tre righe di commento personale e quindi pletora di commenti degli amici, spesso e volentieri in un crescere di radicalismo.
Perché poi il dato che rimane è questo: c’è più dialogo, più possibilità di confronto in queste praterie che sembrano essere sconfinate? A nostro parere, non tanto, o perlomeno, una maggiore consapevolezza gioverebbe un po’ a tutti. Soprattutto capire se al primo posto venga l’affermazione della mia-verità-a-prescindere o la dignità della mia-verità-che-sappia-interrogarsi-per-diventare-relazione.
Un’ultima chiosa. Le agenzie informative fanno il loro mestiere. Noi utenti comuni recepiamo informazioni, assumendole nel nostro corredo di fonti. Ma spesso ciò avviene senza quella specifica formazione, che permette di cogliere a fondo criteri e concetti sui quali nascono le stesse informazioni.
Ne siamo quindi fruitori, beneficiari ma anche vittime. Va anche ricordato come questa fase nuova della circolazione delle idee usufruisca di contenitori comunque privati. Perché i social sono di due, tre nel mondo, e questo non li rende una cosa neutra (Twitter ad esempio segue logiche del tutto diverse, con implicazioni ulteriori).
Immaginiamo come cambierebbero milioni di relazioni personali se un giorno Zuckerberg decidesse di inserire il tasto non mi piace. Ma questo è un ulteriore discorso.