L’Ufficio del Corpus Domini redatto ad Orvieto da san Tommaso d’Aquino (testi da J.A. Weisheipl e J.-P. Torrell)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /07 /2015 - 09:00 am | Permalink | Homepage
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1/ La festa del Corpus Domini, di J.A. Weisheipl

Riprendiamo da Weisheipl J.A. – Tommaso D’Aquino. Vita, pensiero, opere, Jaca Book, Milano, 1988,pp. 182-190, un brano relativo alla presenza ad Orvieto di san Tommaso d’Aquino e alla redazione dell’Ufficio del Corpus Domini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (6/7/2015)

Le composizioni liturgiche recano raramente il nome dell'autore o del compilatore, e compaiono piuttosto sotto forma di «pratica» legata a una chiesa, diocesi, ordine religioso o località particolare. Nonostante ciò, a partire dal quattordicesimo secolo si sono venuti rafforzando gli indizi che Tommaso avesse composto l'intera liturgia della festa e dell'ottava del Corpus Domini su richiesta di Urbano IV.

Non deve sorprendere che il primo testimone di questo si trovi agli inizi del quattordicesimo secolo. Anche oggi l'autore originale, o comunque il compilatore della prima bozza, delle encicliche papali si conosce solo parecchio tempo dopo che lo scritto è stato pubblicato; e anche allora si possono fare solo congetture. Se è difficile stabilire l'autore della prima bozza di un'enciclica, lo è ancora di più quando si tratta di individuare l'autore di nuovi testi liturgici.

Comunque nel caso della festa del Corpus Domini, a partire dal quattordicesimo secolo venne ripetutamente sostenuto che Tommaso fu autore di questa liturgia per invito di Urbano IV.

Come fa notare Foster, «quella di Tolomeo è l'unica testimonianza contemporanea in assoluto riguardo la possibilità che S. Tommaso abbia composto la liturgia per la festa del Corpus Domini»[1]. Nella sua cronaca, pubblicata fra il 1312 e il 1317, Tolomeo fa un racconto molto chiaro e particolareggiato:

Per ordine dello stesso papa, fra Tommaso compose anche l'Ufficio per il Corpus Domini, la seconda commissione da parte del papa a cui ho accennato sopra[2]. Tommaso scrisse l'Ufficio per il Corpus Domini per intero, incluse le lezioni e tutte le parti da recitare di giorno o di notte; come anche la Messa e tutto ciò che in quel giorno si deve cantare. Il lettore attento si accorgerà che vi ricorrono tutte le figure simboliche dell'Antico Testamento, collegate in modo chiaro e appropriato al sacramento dell'Eucaristia[3].

Anche Guglielmo di Tocco, rifacendosi probabilmente a Tolomeo, elenca la liturgia del Corpus Domini fra le opere di Tommaso: «Egli scrisse l'Ufficio del Corpus Domini su richiesta di papa Urbano, presentando tutte le figure dell'Antico Testamento relative a questo sacramento e sintetizzando le verità che appartengono alla grazia nuova»[4]. Lo scritto non è citato invece nel cosiddetto «catalogo ufficiale», ossia l'elenco originale che si presume sia stato redatto da Reginaldo da Piperno, copiato da Bartolomeo da Capua per l'istruttoria di canonizzazione, e ripreso nel manoscritto di Praga Metrop. Kapit. A. XVIII.2. Presumibilmente Reginaldo doveva sapere se Tommaso aveva o no scritto la liturgia del Corpus Domini. L'assenza dello scritto dalla lista «ufficiale» può far nascere il dubbio che Tommaso sia stato realmente l'autore della liturgia che tutti gli hanno attribuito.

Due sono le questioni da esaminare: quella relativa al testo preciso di cui si parla, e quella di Tommaso come autore. Certamente il testo che è attualmente usato nel rito romano o domenicano tradizionale non fu opera di Tommaso, in quanto appartiene alla liturgia del quindicesimo secolo, che fu introdotta nelle raccolte delle opere di Tommaso da A. Pizzamano solo nel 1497. Il testo rivisto nel quindicesimo secolo fu riformato dal papa Pio V nel sedicesimo secolo, e di nuovo da Pio X nel ventesimo secolo[5].

D'altronde è necessario prima di tutto chiarire che cosa significa «comporre» una liturgia. Non vuol dire creare ex novo,bensì scegliere e rimettere insieme elementi preesistenti tratti dalla Sacra Scrittura, dai Padri o da altre liturgie, peritandosi solo raramente a scrivere nuovi inni e preghiere che esprimano in modo più consono le concezioni teologiche e culturali della Chiesa. Si deve ammettere che prima che Urbano IV promulgasse la bolla del 1264 con la quale la festa del Corpus Domini veniva estesa alla Chiesa universale, esistevano già alcune liturgie del Corpus Domini, ma ciò non elimina la possibilità che venisse compilata una nuova liturgia da proporre all'intera Chiesa latina, la cosiddetta liturgia romana, e qualcuno dovette ben occuparsene. Che fosse stato S. Tommaso?

I movimenti evangelici che nascevano nel laicato della Francia meridionale e nel nord d'Italia spesso facevano propri idee e atteggiamenti eretici. Mentre gli albigesi del sud della Francia negavano che l'Eucaristia fosse un sacramento, i movimenti popolari dei paesi del nord Europa, soprattutto in Belgio, propugnavano un'intensa devozione per l'ostia consacrata[6]. Il movimento eucaristico fu propugnato e diffuso ad opera delle beghine, pie donne che vivevano presso chiese, monasteri o conventi. Nomi quali Maria d'Oignies, Santa Giuliana di Mont-Cornillon, Cristina di Saint-Trond, Ida di Nivelles, Isabella di Huy, e soprattutto Eva, la reclusa di Saint-Martin, ci sono noti. Il centro di questo movimento eucaristico era costituito dalla diocesi di Liegi.

Centro del culto dei devoti era l'ostia consacrata. Si era diffusa l'usanza di conservare il Santissimo nel tabernacolo, di esporre l'ostia in un ostensorio posto sull'altare, qualche volta anche durante la Messa, di suonare un campanello al momento dell'elevazione affinché tutti i fedeli contemplassero l'Eucaristia e di impartire la benedizione col Santissimo Sacramento. La devozione per il «Corpo del Signore» divenne così intensa che nell'estate del 1246, su pressione di Santa Giuliana, Roberto di Torote, vescovo di Liegi, autorizzò tale culto legandolo anche a una speciale festività, da celebrarsi il primo giovedì successivo alla domenica dopo Pentecoste, festa della Santissima Trinità[7].

La scelta del giovedì era legata al Giovedì Santo, quando Gesù istituì il sacramento dell'Eucaristia. Siccome le celebrazioni della Settimana Santa finivano col ridurre le manifestazioni di venerazione per il Corpo di Cristo, fu scelto appositamente un giorno che fosse al di fuori della Quaresima per celebrare la festa in modo più solenne. Per l'occasione un certo Giovanni, un religioso di Mont-Cornillon, compose una liturgia che fu accettata in tutta la diocesi di Liegi[8].

Nel 1252 il cardinale legato di Germania, il domenicano Ugo di Saint-Cher, fu così colpito dalle solennità eucaristiche a cui assistette a Liegi, che estese la festa in tutti i territori della sua legazione con un'ordinanza del 29 dicembre 1252[9]. La stessa fu confermata l'anno seguente dal successore di Ugo, il cardinale Pietro Capocci[10]. Lo stesso Giacomo Pantaléon, il futuro Urbano IV, fu presente alle celebrazioni di Liegi. Prima di essere eletto papa, egli trascorse qualche tempo a Liegi in qualità di arcidiacono e venne così a conoscenza di come vi veniva celebrata la festa; oltre a Roberto, vescovo di Liegi, conobbe anche S. Giuliana di Mont-Cornillon, ed Eva, la reclusa di Saint-Martin. A quanto pare, la Santa Sede ricevette numerose petizioni perché la festa del Corpus Domini fosse estesa a tutta la Chiesa, ma, pur essendo al corrente dell'esistenza del movimento eucaristico belga, papa Urbano IV e i suoi predecessori non si mossero finché la gente in Italia non ebbe il suo miracolo, il famoso «miracolo di Bolsena», che ne destò il fervore nei confronti del sacramento.

Il racconto più antico di questo miracolo è contenuto nella Chronica(III, tit. 19, cap. 13) di S. Antonino da Firenze († 1459). Secondo tale versione, un prete tedesco che si era recato in pellegrinaggio a Roma, stava celebrando la Messa nella chiesa di S. Cristina nella cittadina umbra di Bolsena; egli era assalito da gravi dubbi sulla transustanziazione del pane e del vino, che furono subito fugati alla visione del sangue che colava dalle specie consacrate e che imbeveva il corporale[11]. Presto si sparse per tutto il villaggio la voce del miracolo e subito si formò una processione per portare il corporale macchiato di sangue a Urbano IV, che si trovava allora a Orvieto, a pochissima distanza da Bolsena. È opinione universale che risalga a quell'epoca la decisione di Urbano di estendere in tutto il mondo la festa del Corpus Domini.

L'unica data che ci resta del miracolo, riprodotto in uno dei dipinti di Raffaello conservato in Vaticano, è il 1264. L'11 agosto 1264, Urbano promulgava la bolla Transiturus,in cui decretava che la festa doveva essere istituita nella Chiesa universale e che bisognava disporre di una nuova liturgia[12]. Per quella data, la nuova «liturgia romana» era certamente pronta per essere distribuita, anche perché Urbano voleva senz'altro che la nuova celebrazione fosse resa obbligatoria in tutto il mondo cristiano. Quello stesso giorno, Urbano inviò un'altra bolla, simile a quella che aveva appena firmato, al patriarca di Gerusalemme, insieme col testo liturgico contenente «nove lezioni, con il responsorio, i versetti, le antifone, i salmi, gli inni e preghiere speciali adatte per quella festività»[13].

L'8 settembre 1264 Urbano inviò a Liegi una lettera personale a Eva, la reclusa di Saint-Martin, in cui le riferiva l'inaugurazione di questa festa alla corte papale. Accompagnava la lettera un «quaternum» contenente il testo della liturgia romana[14]. Si tratta di un documento straordinario che ci dà un'idea del tipo di relazione che legava Urbano ai suoi amici di Liegi. La celebrazione della nuova festività ebbe luogo probabilmente tra l'11 agosto, data in cui fu istituita la nuova forma liturgica, e l'8 settembre, quando Urbano inviò a Eva di Saint-Martin la lettera con la descrizione della cerimonia.

La festa romana non si svolse quindi nel giorno fissato per il Corpus Domini, e cioè il primo giovedì successivo all'ottava di Pentecoste, che nel 1264 avrebbe avuto come data il 19 giugno; venne invece celebrata a Orvieto tra l'11 agosto e l'8 settembre. Quello che conta è che il formulario liturgico per la messa e l'ufficio per la festa e per l'ottava era pronto per l'11 agosto, quando ne furono distribuite le copie.

La nuova liturgia fu detta «romana» per distinguerla dalle precedenti, di tipo diocesano, nazionale (come nel caso della Germania) e cistercense, ed è la stessa che fu attribuita a Tommaso. La liturgia romana comprendeva la messa e l'ufficio per la festa e per l'intera ottava; la messa (Cibavit eos)non ha subito, a quanto pare, particolari modifiche in seguito alle riforme liturgiche operate da Pio V e Pio X. Le antifone, le orazioni e la sequenza sono senz'altro ancora quelle originali. La sequenza della messa è veramente straordinaria, tanto da non poter neppure essere paragonabile con i canti o gli inni precedenti. Il canto del Lauda Sion è infatti notevole non solo per la poesia che lo pervade ma anche per il suo contenuto teologico; le singole strofe seguono da vicino la dottrina sull'eucaristia esposta da Tommaso nella terza parte della Summa Theologiae.La sequenza riecheggia antichi motivi, nessuno dei quali può però vantare la stessa bellezza e profondità.

La parte che risentì maggiormente degli effetti delle riforme liturgiche fu l'ufficio notturno, il mattutino, in quanto furono sostituite le nove lezioni originali; ad esempio le letture del secondo notturno come appare oggi sono tratte da una predica spuria sull'Eucaristia, che fu attribuita a S. Tommaso[15].

I tre stupendi inni che fanno parte dell'ufficio si differenziano da tutti gli inni che siano mai stati scritti prima. L'inno per i primi e secondi vespri è il Pange lingua, che si canta nelle processioni del giovedì santo e termina con il notissimo Tantum ergo,da secoli il canto che accompagna la benedizione con il Santissimo Sacramento. Nel mattutino, si recita il Sacris Solemniis,che è molto simile per certi aspetti agli antichi inni ambrosiani e termina con il famoso Panis angelicus,che è entrato nel repertorio concertistico moderno. L'inno per le lodi, il Verbum supernum prodiens,presenta molte analogie con un canto della liturgia cistercense per la festa del Corpus Domini, ma tra i due non vi è assolutamente identità[16]. Al termine dell'inno troviamo un altro distico che veniva cantato un tempo durante la benedizione, O salutaris hostia.Per concludere, possiamo dire che tutti gli inni citati trovano riscontro in liturgie precedenti, ma compaiono per intero solo nell'ufficio romano del Corpus Domini, e quindi sono stati rielaborati dalla stessa persona che si occupò della composizione dell'intera liturgia.

L'orazione che veniva usata nell'ufficio e durante la messa presenta caratteri di particolare bellezza, sia nella struttura poetica sia per la profondità teologica della concezione:

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione.

Questa preghiera abbraccia contemporaneamente tre verità, in quanto considera il passato, il presente e il futuro del dono eucaristico. È insieme memoriale della passione e morte di Cristo, venerazione del Corpo e Sangue di Cristo presenti nell'Eucaristia, pegno infine dei frutti che riceviamo ora e per sempre.

La separazione del pane e del vino è simbolo sacramentale della separazione del Corpo e del Sangue, in quanto il sacramento è per sua natura un «segno». Tuttavia dopo la consacrazione, ognuna delle due specie contiene Cristo per intero in corpo, sangue, anima e divinità; la realtà rappresentata dalle specie è il vero Dio che ora veneriamo e adoriamo. Ma essa è anche simbolo della grazia e della gloria che ci vengono donate, come «frutti» della redenzione di Cristo. Tutti e tre questi aspetti furono oggetto di studio da parte dei teologi del dodicesimo secolo, i quali usavano una terminologia speciale per esaminare i sacramenti: sacramentum tantum, res et sacramentum e res tantum.

Per sua natura intrinseca, il sacramento è un simbolo, un segno di qualche cosa che è interno al sacramento. Nel Battesimo il sacramentum tantum è l'atto stesso di versare l'acqua e il significato delle parole che vengono pronunciate per indicare la purificazione interiore dell'anima; il carattere del sacramento del Battesimo è la res et sacramentum;la realtà ultima (res tantum) è la vita divina, la grazia che l'anima riceve in dono. Lo stesso avviene nell'Eucaristia. Il sacramentum tantum sono le specie visibili che attraverso le parole della consacrazione stanno a significare la separazione tra Corpo e Sangue; una volta consacrati, il pane e il vino rappresentano il Corpo separato dal Sangue e il Sangue separato dal Corpo. Tale separazione sacramentale è Cristo stesso che è morto sul Calvario (Christus passus)e quindi memoria del passato. Il Cristo vivente, tutto e intero in ciascuna specie, è invece il Dio che adoriamo qui e in questo momento, e questo corrisponde alla res et sacramentum,in quanto realtà non solo significata dal sacramento (res)ma anche simbolo a sua volta di qualche cosa d'altro (et sacramentum).La res tantum sono la grazia e la gloria che ci sono elargite dall'autore di ogni grazia. Nel sacrificio eucaristico sono così presenti il passato, il presente e il futuro, tre aspetti che Tommaso tiene ben presenti durante tutta la trattazione che egli fa dell'Eucaristia nella terza parte della Summa Theologiae.

Il Lambot e il Delaissé, le due maggiori autorità in materia, pur riconoscendo l'esistenza di una liturgia romana specifica per la festa del Corpus Domini, sono piuttosto restii ad attribuirne a Tommaso la paternità, soprattutto a motivo del ritardo con cui essa fu adottata dai domenicani. Ecco il loro ragionamento: se Tommaso fosse stato l'autore della liturgia, l'Ordine domenicano se ne sarebbe servito immediatamente invece di aspettare altri cinquantaquattro anni. L'Ordine non prese nessuna iniziativa fino alle nuove disposizioni impartite dalla Santa Sede nel 1317. Tommaso non poteva quindi essere stato l'autore della liturgia romana. L'indugio e l'indifferenza dimostrati dai domenicani corrispondono a verità, ma non lo ritengo un elemento determinante a sfavore della paternità di Tommaso.

La bolla Transiturus fu promulgata l'11 settembre 1264 e le prime celebrazioni solenni si tennero a Orvieto fra l'11 agosto e l'8 settembre. Il 2 ottobre di quello stesso anno moriva però Urbano IV e della bolla non si sentì più parlare. Il Concilio di Vienne si svolse dal 16 ottobre 1311 al 6 maggio 1312, sotto la guida di Clemente V; questi aveva deciso di far riunire in un'unica Costituzione,nota fin da allora con l'appellativo di «Clementine», tutti i decreti della Chiesa, a partire da quelli promulgati da Gregorio IX, non ancora codificati. Durante il Concilio papa Clemente V presentò anche la bolla Transiturus di Urbano IV che risultò praticamente sconosciuta a tutti gli ordini e diocesi ivi rappresentati[17]. Essendo la morte di Clemente v avvenuta prima che egli potesse condurre a termine il suo progetto, la Costituzione fu promulgata da Giovanni XXII nel 1317. Da allora in poi la festa del Corpus Domini fu estesa alla Chiesa universale.

Fu solo durante il capitolo generale dell'ordine domenicano riunito a Lione nel 1318 che si decretò che «in ogni convento dell'Ordine la festa del Corpus Domini fosse celebrata il giovedì dell'ottava della festa delia Santissima Trinità, come decretato dal Concilio di Vienne; al maestro dell'ordine spetta il compito di procurare il testo dell'ufficio»[18]. Nel capitolo generale del 1322, che si tenne a Vienna, la festa fu adottata ufficialmente dall'Ordine:

Poiché il nostro ordine ha il dovere di conformarsi nell'ufficiatura divina, per quanto possibile, alla Santa Romana Chiesa, e in modo particolare nell'ufficiatura che è un prodotto del nostro ordine su istanza apostolica, vogliamo ora che l'ufficiatura del Corpus Domini, composta, come si afferma (ut asseritur), dal venerabile dottore Tommaso d'Aquino, sia usata da tutto l'ordine nel giovedì dopo la festa della Trinità e durante l'ottava inclusa e che tale ufficiatura venga iscritta nell'Ordinarium, al suo proprio posto[19].

Nel 1322 i padri riuniti in capitolo erano certamente disposti a riconoscere tre cose: 1) che un membro dell'Ordine domenicano aveva composto un ufficio del Corpus Domini («un prodotto del nostro ordine») su richiesta di Urbano IV; 2) che l'ordine era stato negligente nel non avere subito inserito la festa nell'Ordinarium domenicano; 3) che l'autore dell'«ufficio romano» era Tommaso d'Aquino. L'espressione «come si afferma» (ut asseritur)non si riferisce a voci o dicerie, come qualcuno sostiene, ma deve essere interpretata alla luce delle parole che la precedono, «un prodotto del nostro ordine», riferite a fra Tommaso d'Aquino. Nel 1322 il processo per la canonizzazione di Tommaso era già a buon punto, tanto che Giovanni XXII era pronto a canonizzarlo l'anno seguente. Ai padri capitolari, ad alcuni almeno, erano forse note le dichiarazioni fatte da Tolomeo da Lucca e da Guglielmo di Tocco, e l'ordinanza emessa dal capitolo del 1322 costituisce implicitamente, a mio parere, una presentazione di scuse per avere trascurato la bolla Transiturus del 1264[20]. Il capitolo generale del 1265 avrebbe dovuto ottemperare ai desideri di Urbano IV e introdurre nel proprio calendario la festa e la sua ottava, indipendentemente dall'autore della liturgia. Verrebbe da chiedersi che cosa pensasse Tommaso di tale negligenza. L'unica scusa valida è data dal fatto che così tanti altri ordini, diocesi e nazioni avevano ignorato la bolla.

Urbano IV morì a Perugia il 2 ottobre 1264, e fu sepolto nella chiesa cattedrale. Sei giorni dopo Guido Falco di Saint-Giles, un altro francese, fu creato papa con il nome di Clemente IV; la sua consacrazione avvenne il 15 febbraio 1265 a Perugia. Il cardinale Ugo di Saint-Cher era morto a Orvieto il 19 marzo 1263, dove fu sepolto[21]. Umberto di Romans, maestro generale dell'Ordine per dieci anni, si ritirò il 14 luglio di quello stesso anno. Il capitolo generale riunito a Parigi nel 1264 elesse come successore di Umberto Giovanni da Vercelli, il quale resse l'Ordine per diciannove anni, compresi gli ultimi dieci anni in cui visse Tommaso.

Dopo la morte di Urbano IV, Tommaso continuò nel proprio ufficio di lettore del convento domenicano di San Domenico a Orvieto fino al 1265, quando venne incaricato dal capitolo provinciale di Anagni di aprire uno studium a Roma. Nell'intervallo tra la morte di Urbano, avvenuta nell'ottobre, e il nuovo incarico affidatogli nel settembre dell'anno successivo, Tommaso non solo continuò a tenere lezioni per la comunità domenicana di Orvieto, come aveva fatto prima, ma si occupò anche della raccolta di glosse per la sua Catena su San Marco. Fu per lui un anno tranquillo, dedicato all'insegnamento, alla ricerca e all'attività letteraria.

2/ Il soggiorno a Orvieto di san Tommaso d’Aquino e l'Ufficio del Corpus Christi, di J.-P. Torrell

Riprendiamo da Torrell J.-P., Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna, 2006,pp. 167-169; 183-192, un brano relativo alla presenza ad Orvieto di san Tommaso d’Aquino e alla redazione dell’Ufficio del Corpus Domini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2015)

pp. 167-169

Il soggiorno a Orvieto (1261-1263)

Anche se ammettiamo che Tommaso abbia goduto di qualche mese di relativa libertà per redigere la Somma contro i Gentili, da ciò non possiamo concludere che non avesse altri impegni. La sua nuova qualità di predicatore generale lo rendeva membro di diritto dei capitoli provinciali e gli imponeva l'obbligo di partecipare alle sedute capitolari. Grazie agli atti dei capitoli della provincia romana, che ci sono stati tramandati e che talvolta riportano il suo nome, possiamo ricostruire con relativa certezza i suoi spostamenti annuali e abbozzare il quadro cronologico nel quale si collocano le attività di questi anni trascorsi a Orvieto e poi a Roma.

È così che il 14 settembre 1261, per la festa dell'Esaltazione della santa Croce, Tommaso era a Orvieto insieme ai priori e ai delegati di ogni convento della provincia. Il 6 luglio 1262, per l'ottava dei santi Pietro e Paolo, si trovava sempre con loro a Perugia. Nel settembre (?) 1263 è a Roma. Il 29 settembre, festa di san Michele, a Viterbo. L'8 settembre 1265, festa della Natività della Vergine Maria, ad Anagni. Il 5 agosto 1266, festa di san Domenico, a Todi. Nel luglio (?) 1267 a Lucca. E il 27 maggio 1268, Pentecoste, a Viterbo[22].

Secondo quanto dice Guglielmo di Tocco, Tommaso, che preferiva dedicarsi nella contemplazione, non amava molto viaggiare e se obbediva prontamente era perché sapeva che la madre di tutte le virtù è l'obbedienza unita all'umiltà che da quella è ispirata[23]. Possiamo immaginare facilmente le ragioni della sua avversione: oltre alla sua mole, che non doveva facilitargli molto le cose, il tempo speso in questi spostamenti doveva sembrargli sciupato a danno di altre attività, come lo scrivere e l'insegnare, altrettanto importanti per lui. Tommaso doveva innanzitutto completare la redazione del Contra Gentiles, ma molte altre attività non avrebbero tardato a impegnarlo.

Lettore conventuale a Orvieto

Dal 14 settembre 1261, cioè dal primo capitolo provinciale al quale partecipò, Tommaso fu nominato lettore nel convento di Orvieto: pro lectore in conventu Urbevetano[24]. Sottolineiamolo velocemente: contrariamente a quanto un tempo scrisse Mandonnet[25], Tommaso non è stato insegnante presso lo studium fondato nel 1244-1245 da Innocenzo IV e annesso alla Curia pontificia, ma piuttosto nel convento domenicano. Le formule di lector, o di prior, o anche di conventus romanae curiae, che si trovano in quest'epoca negli Ordini mendicanti, significano soltanto lettore o priore del convento della città nella quale risiedeva la curia romana. Dopo gli studi documentati consacrati a questo tema[26] non è più possibile alcun dubbio e non si dovrebbe più continuare a ripetere quest'errore[27].

L'ufficio di lettore conventuale doveva essere esercitato in ogni convento domenicano per assicurarvi ciò che oggi sarebbe chiamata la «formazione permanente», secondo le raccomandazioni del capitolo generale di Valenciennes di due anni prima. Tommaso allora dovette dedicarsi a un insegnamento regolare rivolto a quelli che erano chiamati fratres communes, cioè tutti coloro che non avevano potuto studiare negli studia generalia o anche provincialia - il che era il caso di nove frati su dieci - per prepararli nel miglior modo possibile alle due missioni principali affidate ai Domenicani da papa Onorio III: la predicazione e la confessione. Grazie agli studi di Leonard Boyle conosciamo molto bene in cosa consisteva quest'insegnamento[28]. […]

pp. 183-192

L'Ufficio del Corpus Christi

Sempre durante questo periodo di Orvieto, decisamente molto fecondo, bisogna collocare la composizione dell'Ufficio del Santissimo Sacramento. Un tempo contestata dai Bollandisti in ragione della sua attestazione piuttosto tardiva, l'autenticità tommasiana di quest'opera faceva ancora problema poco tempo fa ad alcuni autori come Lambot o Delaissé. È vero che per sentirne parlare bisogna attendere Tolomeo[29], che poi sarà seguito da Guglielmo di Tocco[30]. Tuttavia dopo gli studi di padre Pierre-Marie Gy l'attribuzione a san Tommaso non può più essere messa ragionevolmente in dubbio[31].

Come si sa, l'ufficio della liturgia romana del Corpus Christi è stato preceduto da un ufficio liturgico della diocesi di Liegi (Animarum cibus), poiché, proprio sotto l'impulso di santa Giuliana di Mont-Cornillon, intorno al 1240 si iniziò a celebrare questa festa.

Esistono due modelli dell'ufficio romano, identici in alcune parti. Il manoscritto sulla base del quale padre Gy ha preparato l'edizione critica del testo per la Commissione leonina (Paris B. N. lat. 1143) ha la particolarità di provenire dalla biblioteca di Bonifacio VIII e, secondo le indicazioni che esso contiene, sembra essere stato il libretto originale usato per la festa.

Confrontando il suo testo con quelli precedentemente pubblicati da Dom Lambot, Gy concorda con l'opinione di quest'ultimo secondo il quale quest'ufficio, designato con il nome di Sapientia, ha conosciuto una redazione provvisoria che è stata utilizzata in una prima celebrazione della festa nel 1264 e che contiene già alcuni elementi del secondo ufficio, Sacerdos in aeternum. Quest'ultimo, accompagnato dalla messa Cibavit, è quello che è poi passato alla posterità, anche se sia la messa che l'Ufficio non corrispondono al testo tramandatoci dai breviari e dai messali attuali. L'Ufficio fu promulgato l'11 agosto 1264 dal papa Urbano IV con la bolla Transiturus che istituiva questa festa per la Chiesa universale.

Oltre ai dati esterni, dei quali non è possibile parlare qui, una serie di argomenti interni permettono al padre Gy di sostenere l'attribuzione a san Tommaso come una conclusione molto probabile. Poiché la cosa sembrava dubbia, sarà utile ricordare questi argomenti interni con una certa ampiezza. Il primo argomento è tratto dall'omissione nel Sacerdos di Mt 28,20: Ecco io sono con voi fino alla fine dei tempi. I contemporanei di Tommaso vi vedevano abitualmente una promessa della presenza di Cristo nell'Eucaristia, e anche la bolla Transiturus ne fa quest'applicazione. Tommaso invece non usa mai questo versetto in tal senso: ci sono quindi delle forti probabilità che la sua assenza dall'Ufficio sia una conseguenza di una volontà deliberata.

Ugualmente si nota in quest'ufficio l'assenza della nozione di praesentia corporalis. Mentre era ben presente nel primo ufficio di Liegi, Animarum cibus, e nei contemporanei come Bonaventura e Pietro di Tarantasia, così come anche nella bolla Transiturus, è invece evitata con cura nella lettura del Mattutino (la Legenda «Immensa divinae largitatis beneficia», scritta dopo la bolla), la quale vi allude solo sotto forma di glossa e parla piuttosto di «modo ineffabile della presenza divina nel sacramento visibile». Questa espressione corrisponde bene all'uso di Tommaso che, in una prima fase del suo pensiero, preferisce evitare di parlare di una presenza «corporea» di Cristo nel sacramento, perché gli sembra che sia legata a una «localizzazione», ora la presenza in loco compete solo agli accidenti. Soltanto nella Tertia Pars, qualche anno più tardi, Tommaso accetterà di parlare di presenza corporea ma, come vedremo, in un senso tutto diverso[32].

La seconda lettura del mattutino fornisce un argomento ancora più chiaro se ci si ricorda del dibattito teologico contemporaneo: «Accidentia enim sin e subiecto in eodem existunt, ut fides locum habeat dum visibile invisibiliter sumitur, aliena specie occultatum, et sensus a deceptione immunes reddantur; qui de accidentibus iudicant sibi notis». L'intero passo appare certamente un po' incongruo in una celebrazione liturgica, ma in effetti appare come l'equivalente di una firma. Le parole in corsivo, che evidenziano il giudizio dei sensi a proposito degli accidenti eucaristici, esprimono una presa di posizione che ritorna cinque volte nel contesto di questa Legenda. Senza che ci sia un punto di vista che gli sia esclusivamente proprio, la sua rigorosa prospettiva aristotelica fa sì che Tommaso sia probabilmente l'unico dei suoi contemporanei a pensare di usarla in un simile contesto, perché è il solo ad attribuirle una simile importanza[33].

L'Adoro Te

Mentre l'ufficio del Santissimo Sacramento propriamente detto non pone più dei problemi di autenticità, non è così per l'Adoro Te. In uno studio che è rimasto un punto di riferimento, Dom André Wilmart aveva esposto i problemi particolari che pone la tradizione del testo[34]. Senza concludere in senso proprio, egli era molto incline a escludere questo testo dall'eredità letteraria di san Tommaso. D'altronde si sa anche che l'errore dei sensi circa gli accidenti eucaristici di cui parla l'inno è sospetto da molto tempo agli occhi dei tomisti[35]. Quest'errore appare in tutta la sua incongruità nel contesto appena ricordato e il padre Gy lo ha sottolineato con
vigore: «Né l'emozione poetica, né la devozione hanno potuto far scrivere a san Tommaso: Visus, gustus, tactus / in te fallitur. Sed solus auditus / tute creditur»[36].

Dal punto di vista della critica esterna, l'argomento tratto dal silenzio relativo dei manoscritti non aveva convinto tutti i ricercatori,[37] perché è molto significativo che i manoscritti attribuiscano la paternità di questo testo soltanto a san Tommaso. Tuttavia, oggi si aggiunge un elemento nuovo, perché nella quarta versione di Tocco è presente quest'inno nella sua interezza[38]. Se questa quarta versione è autentica, come pensa chi ne ha curato l'edizione critica, si tratta della più antica testimonianza diretta dell'Adoro Te, e ciò è sufficiente a invalidare l'argomentazione di Wilmart. D'altro canto quest'ultimo sottolineava molto onestamente che si poteva risalire per congettura a un manoscritto dell'inizio del XIV secolo che faceva pronunciare questa preghiera a frate Tommaso sul suo letto di morte[39]. Ma Wilmart vedeva un'obiezione insormontabile a questa precisione nel fatto che Tocco non dicesse nulla di questa ultima preghiera[40]. Ora, nella quarta versione troviamo precisamente proprio questa attestazione di Tocco.

Sempre da questo punto di vista della critica esterna, è stata scoperta un'altra attestazione dell'Adoro Te, indiretta ma chiara, in Jacopone da Todi, morto la vigilia di Natale del 1306. In uno dei suoi componimenti, databili tra il 1280 e il 1294, si trovano questi versi, nei quali indichiamo in corsivo le parole più significative: «Li quattro sensi dicono / Questo si è vero pane / Solo audito resistelo / Ciascun de lor fuore remane / So' cueste visibil forme / Cristo occultato ce stane / Cusì a l'alma se dane / En questa misteriata»[41]. L'espressione solo audito di questo testo è un'evidente allusione al solus auditus del poema eucaristico latino e, per poter essere compresa, era necessario che questo inno fosse già diffuso.

Questo testo di Jacopone contiene un altro particolare altrettanto rivelatore: la parola forme. Uno dei risultati più interessanti del lavoro di Dom Wilmart era stato quello di riportare il testo originale dei primi due versetti dell'Adoro Te, che devono essere letti così: «Adoro deuote, latens ueritas / Te qui sub his formis uere latitas». Ora, formis è anche il testo della quarta versione di Tocco, al posto di figuris del testo corrente, ed è evidentemente ciò che viene tradotto dalle forme del testo di Jacopone. Meno di vent'anni dopo la morte di Tommaso il testo dell'Adoro Te si trova, dunque, attestato in un modo che non ci si sarebbe aspettati dopo le ricerche di Wilmart, ma del tutto credibile. Se si può ancora dubitare che Tommaso lo abbia composto sul letto di morte, non è più irragionevole attribuirlo a lui.

Quanto ai problemi di critica interna, cioè i dubbi sollevati dall'errore dei sensi, ci si può domandare se l'obiezione è così forte come si crede di primo acchito. È vero che, secondo l'insegnamento comune, all'epoca di Tommaso i sensi non si ingannano quanto al loro oggetto proprio: «Sensus...propriorum semper uerus est»[42]. Ma possiamo forse ragionevolmente aspettare di trovare in una preghiera, che è per di più scritta in versi, tutto il rigore di un trattato di teologia? Anche in un vero trattato constatiamo che Tommaso non esita a dire che l'eucaristia spinge la fede al suo culmine perché conduce il credente a dare la sua adesione «non solo al di là della ragione, ma anche contro il senso»[43]. Eccettuato il «sembra» (ut videtur), che attenua l'espressione del testo delle Sentenze, qui siamo molto vicini all'Adoro Te[44].

Merita di essere menzionato un altro argomento di critica interna. Ricordiamo che la sesta strofa dell'Adoro Te celebra il prezioso sangue di Cristo, una sola goccia del quale «sarebbe sufficiente a salvare tutto il mondo»[45]. Ora, questa è un'espressione che Tommaso usa altre due volte attribuendola a san Bernardo: «una gutta sanguinis Christi fuit sufficiens pretium nostre redemptionis»[46]. Sebbene ogni volta compaia sotto una forma concessiva, perché la passione di Cristo è ben più espressiva dell'amore di Dio, Tommaso non esita a dire che grazie alla dignità della persona di Cristo una sola goccia del suo sangue sarebbe stata sufficiente per la salvezza del mondo intero. Esiste quindi un parallelo dottrinale, che, unito agli altri argomenti di critica interna ed esterna, non solo non ci spinge ad avere troppi dubbi sull'autenticità tommasiana dell'Adoro Te, ma al contrario ci invita anche a essere favorevoli ad essa[47].

Il banchetto escatologico

Per ritornare all'Ufficio del Santissimo Sacramento sembra proprio che per Tommaso sia stato un momento decisivo della sua evoluzione spirituale[48]. Egli ha centrato la celebrazione sul mistero di Cristo, vero Dio e perfetto uomo, interamente contenuto nel sacramento, a tal punto che non dice: ricevere il corpo e il sangue di Cristo, ma piuttosto: ricevere Cristo (Christus sumitur e anche Deus sumitur). La nozione di presenza comincia anch'essa ad affinarsi e si intuisce già quale sarà poi la formulazione definitiva della Somma: Cristo non si rende presente a noi (concezione «localizzante» che Tommaso continua a escludere), ma siamo noi che Cristo rende presenti a sé:

«Poiché è sommamente proprio dell'amicizia vivere insieme ai propri amici (convivere amicis) [...] [Cristo] ci ha promesso la sua presenza corporea come ricompensa [...]. Tuttavia, nel frattempo non ci ha voluto privare di questa presenza corporea durante il nostro pellegrinaggio terreno, ma mediante la verità del suo corpo e del suo sangue ci unisce a sé in questo sacramento (nos sibi coniungit in hoc sacramento) [...]. Perciò questo sacramento è segno della carità più grande e conforto della nostra speranza in forza di un'unione così intima di Cristo con noi»[49].

Quest'evocazione della speranza in rapporto con l'eucaristia non è casuale: la celebrazione, impregnata del memoriale della Passione, è anche tutta rivolta verso il compimento escatologico poiché è il pegno (pignus) della gloria futura[50]. Secondo padre Gy, che è ancora una volta molto convincente, questo spostamento della teologia eucaristica di Tommaso verso l'escatologia di cui l'Ufficio del Corpus Christi presenta parecchi indizi e di cui «non si troverebbe alcun equivalente presso i teologi coevi» è del tutto nella linea della sua «personalità teologica e spirituale», così profondamente segnata da una «tensione verso la visione di Dio»[51].

Sempre qui possiamo constatare una nuova considerazione dell'elemento affettivo nella comunione eucaristica. Mentre ciò non è molto evidenziato nelle Sentenze, le parole suavitas o dulcedo ritornano nelle lezioni del Sacerdos, e nella Somma Tommaso sottolineerà che, sebbene i peccati veniali o la distrazione non impediscano una ricezione fruttuosa dell'eucaristia, colui che si comunica in questo stato si priva però della dolcezza di un certo «ristoro spirituale»[52]. Secondo questa prospettiva, i racconti dei biografi circa la devozione eucaristica di Tommaso non appaiono più incredibili. Senza arrivare a garantire che siano racconti autentici, essi ricevono da questa teologia un marchio di verosimiglianza che non ha più nulla di sorprendente[53].

3/ Lauda Sion (Sequenza della Messa del Corpus Domini)

Sion, loda il Salvatore, 
la tua guida, il tuo pastore 
con inni e cantici. 

Lauda Sion Salvatorem,
lauda ducem et pastorem,
in hymnis et canticis.

Impegna tutto il tuo fervore: 
egli supera ogni lode, 
non vi è canto che sia degno.  

Quantum potes, tantum aude:
quia major omni laude,
nec laudare sufficis,

Pane vivo, che dà vita: 
questo è tema del tuo canto, 
oggetto della lode.  

laudis thema specialis,
panis vivus et vitalis
hodie proponitur.

Veramente fu donato 
agli apostoli riuniti 
in fraterna e sacra cena.  

Quem in sacræ mensæ coenæ,
turbæ fractrum duodenæ
datum non ambigitur.

Lode piena e risonante, 
gioia nobile e serena 
sgorghi oggi dallo spirito.  

Sit laus plena, sit sonora,
sit jucunda, sit decora
mentis jubilatio. 

Questa è la festa solenne 
nella quale celebriamo 
la prima sacra cena.

Dies enim solemnis agitur,
in qua mensæ prima recolitur
Hujus institutio.

E il banchetto del nuovo Re, 
nuova, Pasqua, nuova legge; 
e l'antico è giunto a termine.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis,
phase vetus terminat.

Cede al nuovo il rito antico, 
la realtà disperde l'ombra: 
luce, non più tenebra. 

Vetustatem novitas,
umbram fugat veritas,
noctem lux eliminat.

Cristo lascia in sua memoria 
ciò che ha fatto nella cena: 
noi lo rinnoviamo,

Quod in coena Christus gessit,
faciendum hoc expressit
in sui memoriam.

Obbedienti al suo comando, 
consacriamo il pane e il vino, 
ostia di salvezza.

Docti sacris institutis,
panem, vinum in salutis
consecramus hostiam.

È certezza a noi cristiani: 
si trasforma il pane in carne, 
si fa sangue il vino.

Dogma datur christianis,
Quod in carnem transit panis,
Et vinum in sanguinem.

Tu non vedi, non comprendi, 
ma la fede ti conferma, 
oltre la natura. 

Quod non capis, quod non vides,
animosa firmat fides,
Præter rerum ordinem.

È un segno ciò che appare: 
nasconde nel mistero 
realtà sublimi.

Sub diversis speciebus,
signis tantum, et non rebus,
latent res eximiæ.

Mangi carne, bevi sangue; 
ma rimane Cristo intero 
in ciascuna specie.  

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utraque specie.

Chi ne mangia non lo spezza, 
né separa, né divide: 
intatto lo riceve. 

A sumente non concisus,
non confractus, non divisus:
integer accipitur.

Siano uno, siano mille, 
ugualmente lo ricevono: 
mai è consumato.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
Nec sumptus consumitur. 

Vanno i buoni, vanno gli empi; 
ma diversa ne è la sorte: 
vita o morte provoca.  

Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquali,
vitæ vel interitus.

Vita ai buoni, morte agli empi: 
nella stessa comunione 
ben diverso è l'esito!  

Mors est malis, vita bonis:
Vide paris sumptionis
quam sit dispar exitus.

Quando spezzi il sacramento 
non temere, ma ricorda: 
Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell'intero. 

Fracto demum sacramento,
ne vacille, sed memento
tantum esse sub fragmento,

È diviso solo il segno 
non si tocca la sostanza; 
nulla è diminuito 
della sua persona.

Quantum tot tegitur.
Nulla rei fit scissura:
Signi tantum fit fractura,
qua nec status, nec statura
signati minuitur.

Ecco il pane degli angeli, 
pane dei pellegrini, 
vero pane dei figli: 
non dev'essere gettato. 

Ecce Panis Angelorum,
factus cibus viatorum:
vere panis flliorum,
non mittendus canibus.

Con i simboli è annunziato, 
in Isacco dato a morte, 
nell'agnello della Pasqua, 
nella manna data ai padri. 

In figuris præsignatur,
cum Isaac immolatur,
Agnus Paschæ deputatur,
datur manna patribus. 

Buon pastore, vero pane, 
o Gesù, pietà di noi: 
nutrici e difendici, 
portaci ai beni eterni 
nella terra dei viventi.  

Bone pastor, panis vere,
Jesu, nostri miserere:
Tu nos pasce, nos tuere,
tu nos bona fac videre
in terra viventium.

Tu che tutto sai e puoi, 
che ci nutri sulla terra, 
conduci i tuoi fratelli 
alla tavola del cielo 
nella gioia dei tuoi santi.

Tu qui cuncta seis et vales,
qui nos pascis hic mortales:
Tuos ibi commensales,
coheredes et sodales
fac sanctorum civium.

Amen. (Alleluia).

4/ Pange lingua (Inno per i primi e secondi vespri)

Pange, lingua, gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinisque pretiosi,
Quem in mundi pretium
Fructus ventris generosi
Rex effudit gentium.

Nobis datus, nobis natus
Ex intacta Virgine,
Et in mundo conversatus,
Sparso verbi semine,
Sui moras incolatus
Miro clausit ordine.

In supremae nocte cenae
recumbens cum fratribus,
observata lege plene
cibis in legalibus
Cibum turbae duodenae
se dat suis manibus.

Verbum caro, panem verum
verbo carnem efficit:
fitque sanguis Christi merum,
et si sensus deficit,
ad firmandum cor sincerum
sola fides sufficit.

Tantum ergo sacramentum
veneremur cernui,
et antiquum documentum
novo cedat ritui;
praestet fides supplementum
sensuum defectui.

Genitori Genitoque
laus et iubilatio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedictio;
Procedenti ab utroque
compar sit laudatio.

Amen.                 

Canta, o lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'Ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran Sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.

Amen

5/ Sacris solemniis (Per il mattutino)

Sacris solemniis juncta sint gaudia,
Et ex præcordiis sonent præconia;
Recedant vetera, nova sint omnia,
Corda, voces, et opera.

Noctis recolitur cœna novissima,
Qua Christus creditur agnum et azyma
Dedisse fratribus, juxta legitima
Priscis indulta patribus.

Post agnum typicum, expletis epulis,
Corpus Dominicum datum discipulis,
Sic totum omnibus, quod totum singulis,
Ejus fatemur manibus.

Dedit fragilibus corporis ferculum,
Dedit et tristibus sanguinis poculum,
Dicens: accipite quod trado vasculum;
Omnes ex eo bibite.

Sic sacrificium istud instituit,
Cujus officium committi voluit
Solis presbyteris, quibus sic congruit,
Ut sumant, et dent ceteris.

Panis angelicus fit panis hominum;
Dat panis cœlicus figuris terminum;
O res mirabilis: manducat Dominum
Pauper, servus et humilis.

Te, trina Deitas unaque, poscimus:
Sic nos tu visita, sicut te colimus;
Per tuas semitas duc nos quo tendimus,
Ad lucem, quam inhabitas.

In italiano (traduzione da don Giuseppe Riva)

Ai riti solenni la gloria risponda;
si esterni quel gaudio che il cuore ci innonda
del patto vetusto non più si favelli,
sol cantisi il metro dei riti novelli;
Sia nuova ogni cosa nel labbro, nel cuore,
nell’opra che spieghi dell’alma il fervore.

La notte ricordasi dell’ultima cena,
lorquando con fronte tra mesta e serena,
coll’azzimo pane, Dio fatto mortale
mangiò co’suoi fidi l’agnello pasquale,
secondo la legge già data a Israele,
quand’era in Egitto suo servo fedele.

Compiuta la cena col tipico agnello,
Diè Cristo ai discepoli un Agno novello
Nel divo suo corpo, che ombrato dal pane,
spartito anche in fustoli intatto rimane,
e ognun lo riceve sì inter, sì grazioso
qual è su nel ciel Dio-Uomo glorioso.

Diè Cristo il suo corpo qual cibo ai suoi cari,
e il sacro suo Sangue lo porse del pari,
qual bibita in tazza, dicendo, bevete
voi tutti del vino che quivi vedete,
e in mia rimembranza poi fate altrettanto
piamente rimembrando tali giorni di pianto.

Così il sacrificio si vide istituito,
quel sol che all’Altissimo tornar può gradito
e ai soli Presbiteri fidossi l’uffizio
di poi rinnovare sì gran benefizio,
perché sen giovassero i primi suoi unti,
poi quanti lor fossero per fede congiunti.

Il pane degli angioli è fatto alimento
D’ogni uom che partecipa al gran Sacramento
Col pane celeste la fine si assegna
Ad ogni figura di Dio non più degna,
stupendo prodigio! A un vil servitore
sé stesso da in pascolo l’eterno Signore.

Dio unico e Trino che umil t’adora
Di ambita e perpetua tua visita onora,
sicché le tue vie, battendo costante,
la meta raggiunga cui sempre è anelante,
e quella gran gloria in cui in ciel ti circonda
su ognun de’tuoi servi sempre si effonda.

6/ Verbum supérnum pródiens (Inno per le lodi)

Verbum supérnum pródiens
nec Patris linquens déxteram,
ad opus suum éxiens
venit ad vitæ vésperam.

In mortem a discípulo
suis tradéndus æ´mulis,
prius in vitae férculo
se trádidit discípulis. 

Quibus sub bina spécie
carnem dedit et sánguinem,
ut dúplicis substántiae
totum cibáret hóminem. 

Se nascens dedit sócium,
convéscens in edúlium,
se móriens in prétium,
se regnans dat in prǽmium.

O salutáris hóstia,
quæ caeli pandis óstium,
bella premunt hostília:
da robur, fer auxílium. 

Uni trinóque Dómino
sit sempitérna glória,
qui vitam sine término
nobis donet in pátria. Amen.

Traduzione italiana

O Verbo divino, procedente
dal seno del Padre eterno,
Tu che, nascendo, vieni in aiuto al mondo
allo scadere del corso del tempo (=al tempo stabilito).

Ora illumina i cuori
e del tuo amore accendil[li];
di modo che il diletto del cielo [cæli volúptas],
lasciando perdere le cose caduche [cadúca déserens]
riempia il cuore [cor ... impleat].

Cosicché, quando tribunale del Giudice
condannerà al fuoco i colpevoli,
e una voce favorevole
chiamerà i pii al cielo meritato [debitum];

[Allora] non siamo - alimento delle fiamme -
sballottati (volvamur) tra neri turbini,
ma, compartecipi del volto di Dio
usufruiamo dei gaudi del cielo

Al Padre, e al pari al Figlio
e a Te, o Santo Spirito,
come fu [per il passato], sia sempre
per tutti i secoli gloria. Amen

7/ Adoro Te devote (per il ringraziamento al termine della Messa e per l’adorazione eucaristica)

Adóro te devóte, látens Déitas,
Quæ sub his figúris, vere látitas:
Tibi se cor meum totum súbjicit,
Quia, te contémplans, totum déficit.

Visus, tactus, gustus, in te fállitur,
Sed audítu solo tuto créditur:
Credo quidquid díxit Dei Fílius;
Nil hoc verbo veritátis vérius.

In cruce latébat sola Déitas,
At hic látet simul et humánitas:
Ambo támen crédens átque cónfitens,
Peto quod petívit latro pœnitens.

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum támen meum te confíteor.
Fac me tibi sémper mágis crédere,
In te spem habére, te dilígere.

O memoriále mortis Dómini,
Panis vivus, vitam præstans hómini,
Præsta meæ menti de te vívere,
Et te illi semper dulce sápere.

Pie pellicáne, Jesu Dómine,
Me immúndum munda tuo sánguine,
Cujus una stilla salvum fácere,
Totum mundum quit ab ómni scélere.

Jesu, quem velátum nunc aspício,
Oro fíat illud, quod tam sítio:
Ut, te reveláta cernens fácie,
Visu sim beátus tuæ glóriæ. Amen.

Traduzione italiana

Adoro Te devotamente, oh Deità che Ti nascondi,
Che sotto queste apparenze Ti celi veramente:
A te tutto il mio cuore si abbandona,
Perché, contemplandoTi, tutto vien meno.

La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano
Ma solo con l'udito si crede con sicurezza:
Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio,
Nulla è più vero di questa parola di verità.

Sulla croce era nascosta la sola divinità,
Ma qui è celata anche l'umanità:
Eppure credendo e confessando entrambe,
Chiedo ciò che domandò il ladrone penitente.

Le piaghe, come Tommaso, non veggo,
Tuttavia confesso Te mio Dio.
Fammi credere sempre più in Te,
Che in Te io abbia speranza, che io Ti ami.

Oh memoriale della morte del Signore,
Pane vivo, che dai vita all'uomo,
Concedi al mio spirito di vivere di Te,
E di gustarTi in questo modo sempre dolcemente.

Oh pio Pellicano, Signore Gesù,
Purifica me, immondo, col tuo sangue,
Del quale una sola goccia può salvare
Il mondo intero da ogni peccato.

Oh Gesù, che velato ora ammiro,
Prego che avvenga ciò che tanto bramo,
Che, contemplandoTi col volto rivelato,
A tal visione io sia beato della tua gloria. Così sia.

Note al testo

[1] Foster, p. 142, nota 17.

[2] Il primo scritto citato da Tolomeo fra quelli ordinati da Urbano è la Catena aurea […], mentre non vi è alcun accenno al Contra errores Graecorum.

[3] Tolomeo, Hist. Eccl.,l. 22, cap. 24, col. 1154 (Ferrua, p. 359).

[4] Tocco, Hystoria,cap. 17 (Fontes,p. 88).

[5] Eschmann, Catalogue,n. 76, p. 424; per una bibliografia più completa sull'argomento prima del 1949, cfr. Grabmann, Die Werke,pp. 365-72.

[6] F. Callaey, Origine e sviluppo della festa del «Corpus Domini», in Eucastistia,a cura di A. Piolanti, Desclée, Roma 1957, pp. 907-32.

[7] P. Browe (ed.), Textus antiqui de festa Corporis Christi,in Opuscula et Textus,Aschendorff, Münster 1934, 4, pp. 21-23.

[8] C. Lambot, L'Ufficio del S.mo Sacramento,in Eucaristia,cit., p. 827.

[9] Browe, op. cit., pp. 23-26.

[10] Ibid.,pp. 26-27.

[11] Oxford Dictionary of the Christian Church,ed. F. L. Cross, London 1958, pp. 183b-184a; B. Pesci, Il Miracolo di Bolsena,in Eucaristia,cit., pp. 1025-33. Sulla questione del miracolo di Bolsena, cfr. A. Lazzarini, Il miracolo di Bolsena,Roma 1952. Sembra si possano fare quattro rilievi: 1) La prima testimonianza scritta della storia del miracolo sono le didascaliae che accompagnano gli affreschi di Ugolino d'lIario nella cattedrale di Orvieto scritte nel 1362. 2) Le prime raffigurazioni sono rappresentate dai pannelli smaltati del reliquario eseguiti da Ugolino da Siena nel 1338 (o 1337?) dove appare chiaramente un papa nell'atto di esporre solennemente un lino sacro nell'unico pannello riprodotto dal Lazzarini. 3) Insieme con le reliquie vi sono due frammenti di pergamena recanti delle iscrizioni della seconda metà del XIII secolo (o dell'inizio del XIV) che accennano al sangue di Cristo. 4) Esistono, a partire dal XIII secolo in poi, parecchie testimonianze di una speciale devozione all'Eucaristia ad Orvieto (ma questo si può spiegare anche solo per il fatto della Transiturus).Nel XIV secolo è testimoniata l'esistenza di sacrae repraesentationes con dialoghi in volgare che si rifanno molto chiaramente all'episodio di Bolsena. Anche la costruzione del Duomo di Bolsena è molto probabilmente collegata a tale devozione. Non penso che si possa dedurre nulla dalle due iscrizioni di Bolsena ed Orvieto in quanto recano evidenti tracce di falsificazione: un testo del 1263 non può assolutamente parlare di Tommaso come del «doctori eximio beato Thome de Aquino».

[12] «Transiturus de mundo», in Bullarium Romanum, III, P. I (Roma 1740), pp. 414b-416b. Qui manca la data di promulgazione, ma la si può reperire facilmente altrove: A. Potthast, Reg. Pont. Roman. (Berlino 1875), n. 18998, II, p. 1538. Il testo completo compare nel Corpus iuris canonici, ed. E. Friedberg (Leipzig 1879-81), II, col. 1174-77.

[13] C. Lambot, op. cit.,p. 828. Il testo completo si trova in Browe, op. cit.,pp. 27-33.

[14] C. Lambot, La Bulte d'Urbain IV à Eve de Sainte-Martin sur l'institution de la Féte-Dieu,in «Scriptorium» 2 (1948), pp. 69-77; Browe, op. cit.,pp. 34-35.

[15] Opusculum 59 dell'Edizione Piana delle opere di Tommaso; 52 dell'Edizione di Parma.

[16] Cfr. G. Morin, L'Office cistercien pour la Féte-Dieu comparé avec celui de saint Thomas d'Aquin,in «Revue Bénédictine» 27 (1910), pp. 236-246.

[17] Clementinarum lib. III,tit. 16, cap. unico, in Corpus iuris canonici, ed. cit., II, col. 1174-77.

[18] moph 4, p. 109.

[19] moph 4, p. 138; questa ordinanza fu ripetuta con le stesse parole l'anno seguente a Barcellona (moph 4, p. 144).

[20] Tutto il problema concernente l'Officium,è studiato dal Padre Gy, il quale ha identificato il testo ufficiale allegato alla Transiturus;cfr. in appendice il catalogo delle opere, n. 84.

[21] Walz, p. 109.

[22] Cf. moph, 20, pp. 25-35; WN, pp. 117-118.

[23] Ystoria [=C. Le Brun-Gouanvic, Edition critique de l’Ystoria sancti Thomae de Aquino de Guillaume de Tocco],25, p. 282 (Tocco, 25, p. 98).

[24] Documenta,30, p. 582.

[25] P. Mandonnet, Thomas d'Aquin lecteur à la curie romaine. Chronologie du séjour (1259-1268), in Xenia thomistica,III, pp. 9-40.

[26] Cf. R. Creytens, Le Studium Romanae Curiae et le Maître du Sacré Palais, in AFP 12 (1942), pp. 5-83; R. Loenertz, Saint Dominique écriuan, maitre en théologie, professeur à Rome et Maitre du Sacré Palais d'aprés quelques auteurs du XIV et XV siècle,in Ibid.,pp. 84-97, studi ripresi con alcuni adattamenti da Weisheipl, pp. 176-187.

[27] Gli studi di Creytens e di Loenertz sono stati confermati e completati da E. Panella, Il «lector romanae curiae» nelle cronache conventuali domenicane del XIII-XIV secolo,in CIVICIMA 5 (1992), pp. 130-139, il quale stabilisce che chi insegna nello studium annesso alla curia papale ha il titolo distinto di lector sacri palatii o in sacro palatio (a partire dal papato avignonese) e che nessun domenicano da sant'Alberto fino a questo periodo ha occupato questo posto.

[28] L. Boyle, Notes on the Education of the Fratres communes in the Dominican Order in the Thirteenth Century, in Xenia…Käppeli,pp. 249-267 (ripreso in Pastoral Care). Ricordiamo che l'insieme degli studi che Boyle ha dedicato a Tommaso è raccolto in Facing History: A Different Thomas Aquinas,with an introduction of J.-P. Torrell (Textes et études du Moyen Age 13), Louvain-La-Neuve 2000. Segnaliamo inoltre che le sue ricerche sulla formazione dei Frati Predicatori sono stati brillantemente continuati dai suoi discepoli, tra i quali bisogna assegnare un posto privilegiato a M.-M. Mulchahey, «First the Bow is Bent in Study…», Dominican Education before 1350 (Studies and Texts 132), P.I.M.S., Toronto 1998. Sotto questo titolo un po' enigmatico (si tratta di una citazione di Ugo di Sant-Cher: «Si inizia con il tendere l'arco dello studio, e poi si lancia la freccia della predicazione»), l'autore ha redatto una vera «somma» che raccoglie l'essenziale di tutto ciò che è attualmente conosciuto sul tema, ma talvolta ne ricava delle conclusioni che vanno al di là di quanto le fonti consentono. Si vedrà la presentazione che ne fa S.-Th. Bonino (in RT 100 (2000), pp. 663-666), ma si terrà soprattutto conto delle critiche puntuali di L.J. Bataillon, in RSPT 84 (2000), pp. 357-359.

[29] Vale la pena di riportare il testo di Tolomeo (XXII, 24, ed. Dondaine, p. 151), in quanto egli attira l'attenzione sulla magnifica unità di quest'ufficio liturgico, soprattutto sulle sue letture dell'Antico Testamento, che effettivamente sono una delle sue originalità: «Officium etiam de corpore Christi fecit ex mandato Urbani, quod est secundum quod fecit ad petitionem Urbani. Hoc autem fecit complete er quantum ad lectiones et quantum ad totum officium tam diurnum quam nocturnum quam etiam ad missam et quidquid illa die cantatur; in qua historia, si attendimus ad verba scribentis, quasi omnes figure Veteris Testamenti in hoc officio videntur contineri, luculento et proprio stylo adaptata ad Eucharistie sacramentum».

[30] Ystoria, 18, p. 252 (Tocco 17, p. 88).

[31] P.-M. Gy, L'Office du Corpus Christi et S. Thomas d'Aquin. Etat d'une recherche,in RSPT 64 (1980), pp. 491-507 (ripreso di nuovo recentemente in ID., La Liturgie dans l'histoire,Paris 1990, pp. 223-245. Il titolo che dichiara «L'office du "Corpus Christi", oeuvre de S. Thomas d'Aquin» e la conclusione di questo nuovo studio, che omette il «probabilmente» che compariva nel primo, mostrano chiaramente che l'A. non ha più alcun dubbio. Cf. anche ID., L'Office du Corpus Christi et la théologie des accidents eucharistiques,in RSPT 66 (1982), pp. 81-86. Ringraziamo il padre Gy che ha avuto l'amabilità di farci conoscere in anteprima il testo che ha determinato per l'edizione critica (le prime tre lezioni sono state pubblicate dopo nella «ripresa» indicata poco oltre, pp. 144-145). Aggiungiamo che l'argomentazione a favore dell'autenticità è stata confermata attraverso un'altra via da R. Zawilla, The Biblical Sources of the Historiae Corporis Christi Attributed to Thomas Aquinas,Diss., Toronto 1985; dello stesso autore si veda anche: Saint Thomas d'Aquin et la théologie biblique de l'eucbaristie du XI au XIII siècle,comunicazione inedita tenuta alla «Journée thomiste de Saint Jacques», Paris, 24 novembre 1987.

[32] Cf. P.-M. Gy, L'office, p. 506, che rinvia soprattutto a In 4 Sent., d. 10, a. 1, ad 4 e Resp. de 36 art.,proposizione 33: «Corpus Christi non est in sacramento ut in loco»; 5. Th.,III, q. 75, a. 1, che citeremo più avanti.

[33] Il padre Gy fa notare che la formula «Et si sensus deficit» del Pange lingua,anteriore a quella della Legenda,non significa che il senso si sbagli, ma piuttosto che è incapace di andare al di là del suo oggetto proprio.

[34] A. Wilmart, La tradition littéraire et textuelle de l'«Adoro Te devote»,in Auteurs spirituels et textes dévots du moyen âge latin,Paris 1932, pp. 361-414 (inizialmente pubblicato in RTAM, 1 (1929), pp. 21-40; 149-176): l'Adoro Te non è attestato che molto tardivamente dalla tradizione manoscritta; solo tre testimoni risalgono al XIV secolo (circa 50 anni dopo la morte di Tommaso), mentre gli altri sono tutti del XV secolo.

[35] Cf. E. Hugueny, L'Adoro Te est-il de saint Thomas?,in AFP 4 (1934), pp. 221-225, il quale ricorda alcuni testi rigorosamente contrari: In 4 Sent.,d. 11, q. l, a. l, qla 2, ad l «In hoc sacramento non est aliqua deceptio neque fictio»; S. Th.,III, q. 75, a. 5, ad 2: «In hoc sacramento nulla est deceptio». Altrove scartando l'idea che là ci sarebbero soltanto delle apparenze come nella magia, Tommaso sottolinea: «Veritatis sacramento nulla fictio decet» (De razionibus fidei,8, Leon., t. 40, pp. B 68-69).

[36] L'office...et la théologic,p. 83; prove alla mano, l'A. nota ugualmente che il velatum (Iesu quem velatum nunc aspicio),così frequente nei teologi dell'epoca, non appartiene molto al vocabolario di Tommaso in questo contesto.

[37] Così Grabmann, Werke,pp. 368-369, con una serie di studiosi per i quali l'autenticità non comporta nessun dubbio.

[38] Ystoria,58, pp. 380-381. Chi ha curato l'edizione critica non dà qui alcuna indicazione che lasci sospettare che i ms. siano stati interpolati. Bisognerebbe supporre che l'interpolazione si sia prodotta al livello dell'intermediario da cui dipendono ambedue (così come due dei ms. del XIV secolo citati da Wilmart, perché essi alludono alle stesse circostanze di composizione ricordate da Tocco). Non si vede perché d'altro canto bisognerebbe sospettare più di questa pagina rispetto agli altri rimaneggiamenti della quarta versione.

[39] Frater,et non sanctus;e ciò potrebbe rinviare a prima del 1323. Ma non si può insistere molto su questo punto, in quanto la definizione frater ha continuato ad essere usata anche dopo la canonizzazione.

[40] Wilmart, pp. 404 e 389-390.

[41] Cf. F. J. E. Raby, The Date and Authorship 01 the Poem Adoro Te Deuote, in «Speculum» 20 (1945), pp. 236-238, dal quale ricaviamo questo testo e gli altri dati di questo paragrafo.

[42] Aristotele, De anima,427 b11-12; 428 b18-20; Nemesio, De natura hominis,trad. di Burgundio (ed. Verbeke-Moncho, p. 78,3-4): «Visus enim in propriis sensibilibus non fallitur: colorem enim et formam nouit». Devo queste due citazioni, come anche altri suggerimenti che qui riporto, alla gentilezza di padre Gauthier.

[43] In 4 Sent.,d. 10, q. l, a. l: «[...] et maxime meritum fidei in hoc quod creduntur multa in hoc sacramento quae non solum praeter rationem sunt, sed etiam contra sensum, ut videtur». A. Dondaine, in BT 5 (1937-1939), pp. 111-112, aveva già menzionato questo testo per esprimere i suoi dubbi a proposito della tesi di Wilmart. Per coloro che hanno familiarità con il difficile aspetto della psicologia tomista della conoscenza sensitiva si può ancora evidenziare la seguente argomentazione: il testo dell'Adoro Te non dice che tutti i sensi si sbagliano, ma al contrario precisa che l'auditus non si sbaglia; questo forse potrebbe essere sufficiente per salvare la verità del giudizio sensitivo, in quanto
questo appartiene al sensus communis,in cui si incontrano i cinque sensi; cf. Q. De anima,a. 13; S. Th.,q. 78, a. 4.

[44] D'altronde ci si può domandare se «fallitur» ha qui il senso forte che noi siamo abituati a dargli. Stando ai dizionari (Littré, nota etimologica finale su faillir;F. Godefroy, Dictionnaire de l'ancienne langue française,su faillir, o défaillir) fallor assume facilmente il senso attenuato di «fallire», «far difetto», «essere incapace di», e noi avremmo allora un caso simile a quello del sensus deficit del Pange lingua,di cui il padre Gy ha così bene riportato il senso esatto. E proprio questo è stato conservato nella traduzione greca dell'inno compiuta da Andrea Sclenghias tra il 1450 e il 1460: cf. J. P. Cavarnos, Greek translations of the «Adoro Te devote» and the «Ave verum»,in «Traditio» 8 (1952), pp. 418-423.

[45] «Me immundum munda tuo sanguine / Cujus una stilla salvum lacere / Totum mundum posset ab omni scelere» (Ystoria, 58, p. 380).

[46] In 3 Sent.,d. 20, a. 3, arg. 4 e ad 4; cf. Quodl.,II, q. 1, a. 2 [2], sed. c., sotto una forma più forte: minima gutta.Per l'attribuzione a san Bernardo padre Gauthier, nell'Edizione leonina del Quodlibet,di cui ci ha trasmesso il testo in anticipo, rinvia prudentemente al Super Cantica, Sermo 22, III,7, dal quale si potrebbe inferire ciò. Segnala anche che Enrico di Susa, l'Hostiensis (Summa Aurea,c. 5, De remissionibus,Lyon 1556, fol. 430a), che Tommaso ha sicuramente letto, aveva già usato questa espressione e questo concetto.

[47] La documentazione sull'Adoro Te si è arricchita di uno studio decisivo di R. Wielockx, Poetry and Theology in the Adoro Te deuote: Thomas Aquinas on the Eucharistic and Christ's Uniqueness, in K. Emery and J. Wawrykow (ed.), Christ Among the Medieval Dominicans. Representations of Christ in the Texts and Images of Order of Preachers,U.N.D.Press, Notre Dame IN 1998, pp. 157-174. Il confronto dell'insieme della tradizione manoscritta (48 testimonianze) e l'attento esame dei paralleli interni all'opera di Tommaso portano l'autore ad affermarne senza riserve l'autenticità (egli pubblica anche una nuova edizione del testo). Cf. anche J.-P. Torrell, «Adoro Te». La plus belle prière de saint Thomas, in «La vie spirituelle» t. 152 (1998), pp. 28-36 (= Recherches thomasiennes,pp. 367-375) con il testo messo a punto da Wielockx e una nuova traduzione.

[48] Sono ancora debitore di padre Gy per queste osservazioni fondamentali. Cf. il suo studio: La relation au Christ dans l'Eucharistie selon S. Bonaventure et S. Thomas d'Aquin,in J. Dore (ed.), Sacrements de Jésus-Christ, Paris 1983, pp. 69-106; ripreso in Gv, La liturgie dans l'histoire,pp. 247-283. Si veda anche lo studio più tecnico dello stesso autore che permette di verificare questa centralità dell'Ufficio del Santissimo Sacramento nel pensiero di Tommaso: Le texte original de la Tertia Pars de la Somme Théologique de S. Thomas d'Aquin dans l'apparat critique de l'Edition Leonine: le cas de l'Eucaristie,in RSPT 65 (1961), pp. 608-616.

[49] S. Th.,III, q. 75, a.l.

[50] Ognuno si ricorda della celebre antifona, un vero concentrato di teologia eucaristica: «O sacrum convivium in quo Christo sumitur, recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur».

[51] Tra gli indizi di questa tensione verso la visione di Dio, che è tipica dell'intellettualismo di Tommaso, consideriamo la finale, piuttosto inattesa dal punto di vista liturgico, ma chiara secondo l'inno Sacris solemnis:«Così come tu ci visiti, noi ti adoriamo / Per i tuoi sentieri conducici laddove noi tendiamo (duc nos quo tendimus)/ alla luce che tu abiti». Cf. da ultimo I. Biffi, L'Eucaristia e la divinizzazione nella «Lectura super Joannem» di san Tommaso,in DT 108 (2005), n. 42, pp. 111-146.

[52] S. Th.,III, q. 79, a. 8: «quaedam actualis refectio spiritualis dulcedinis».

[53] Richiamiamo semplicemente la confessione di fede eucaristica che Tommaso avrebbe pronunciato sul suo letto di morte secondo Bartolomeo di Capua: «Io ti ricevo, prezzo della redenzione della mia anima, io ti ricevo viatico del mio pellegrinaggio, per amore tuo ho studiato, vegliato, lavorato, predicato, insegnato...» (Napoli,80, p. 379).