Elogio della lentezza: solo con ritmi normali il cervello torna a creare. Una recensione a Elogio della lentezza di Lamberto Maffei, di Antonio Galdo
Riprendiamo da Il Messaggero dell’11/9/2014 una recensione scritta da Antonio Galdo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Educazione e media nella sezione Catechesi, famiglia e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (7/6/2015)
Chi può consentirsi il lusso della lentezza in un mondo dove tutti sembriamo costretti a correre? Nessuno, o quasi nessuno. Eppure il cervello che regola i nostri comportamenti ci è stato donato proprio come una macchina lenta, che ha bisogno dei suoi tempi e di una sequenza nella sua azione.
Noi invece facciamo il contrario, e viviamo nell’incubo della lentezza che associamo alla perdita di tempo o, peggio, a una menomazione fisica e mentale. In un denso libriccino (Elogio della lentezza, edizioni Il Mulino), in libreria in questi giorni, il professore Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei ed ex direttore dell’Istituto di Neuroscienza del Cnr, prova a richiamarci all’ordine.
Ci guida nell’esplorazione dei meccanismi cerebrali che inducono all’eccesiva velocità e ci rappresenta, con una certa dose di nostalgico pessimismo, i vantaggi del pensiero lento, di un pensiero che assecondi i tempi naturali della macchina, il cervello appunto. «Il desiderio di emulare le macchine rapide create da noi stessi, a differenza del cervello che invece è una macchina lenta, diventa fonte di angoscia e di frustrazione» scrive Maffei.
E aggiunge: «La netta prevalenza del pensiero rapido, a partire da quello che esprimiamo attraverso l’uso degli strumenti digitali, può comportare soluzioni sbagliate, danni all’educazione e perfino al vivere civile». Immaginate una corsa di mezzofondisti. All’improvviso tutti accelerano all’impazzata, come se potessero immediatamente tagliare il traguardo, e uno solo resta indietro, isolato nel suo sgomento: quelli che corrono senza freni siamo noi, con la nostra velocità fuori dalla portata del nostro organismo umano; chi finisce in fondo è il cervello, che continua a funzionare con i suoi tempi.
Dunque la riscoperta delle lentezza, seguendo il ragionamento di Maffei, potrebbe essere una buona terapia contro gli effetti dello stress digitale, dove tutto viene comunicato in tempi record attraverso e-mail, sms, tweet. È come se una macchina naturale, il cervello, riuscisse a fare da argine alle macchine artificiali, quelle che gonfiano la potenza del web.
E considerando che soltanto nell’ultimo anno, per stare dietro al pressante uso di questi strumenti, abbiamo perso un’ora di sonno, forse è utile ricordarci che l’uomo non è programmato per essere troppo veloce.
Anzi. Se il corpo, come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha bisogno di almeno 5mila passi, lenti, al giorno, la mente rischia il buio nel sovrapporsi di decisioni troppo rapide e noi rischiamo di fare le scelte sbagliate. Ricordate il vecchio proverbio popolare? Respira, prima di parlare. E nell’attimo del respiro c’è il riconoscimento del valore della lentezza che, allo stesso tempo, riesce a farci ascoltare le ragioni degli altri prima di esporre le nostre. Solo questo ritmo, non sottoposto alla pressione di continui strappi, porta al vero dialogo ed a una vera ricerca di reciproca conoscenza.
La lentezza espressa attraverso l’uso fisiologico di una macchina lenta, il cervello, sviluppa la creatività. Si potrebbe sfogliare a lungo l’interminabile album di geni del pensiero, dagli scienziati ai letterati, immersi, anche con la loro apparente, precaria fisicità, nel vigore propulsivo del pensiero lento. Lo scrittore Luis Sepùlveda, autore di una straordinaria favola intitolata Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, arriva perfino ad attribuire alla lentezza il valore di un comportamento di rottura, di un gesto rivoluzionario. «È una nuova forma di resistenza, in un mondo dove tutto è troppo veloce. E dove il potere più grande è quello di decidere che cosa fare del proprio tempo» dice Sepùlveda.
Forse proprio per il fatto di essere diventata merce rara, la lentezza negli ultimi anni ha sollecitato diversi libri, dibattiti, incontri. Esiste la giornata mondiale della lentezza, 13 maggio, ed è molto attiva in Italia l’associazione Vivere con lentezza (www.vivereconlentezza.it) che promuove questo stile di vita in contrapposizione con i ritmi frenetici della nostra agenda quotidiana. È stata creata da Bruno Contigiani, un personaggio singolare per formazione e storia professionale: ha studiato in uno dei templi della velocità in versione accademica (la Bocconi), ha lavorato in aziende dove certo la lentezza non è prevista (dall’Ibm alla Telecom), e poi ha deciso di dedicarsi alla sua nuova missione. Diffondere il piacere, il senso della lentezza.
Tra le cose di cui parla l’associazione ci sono anche alcuni comandamenti che possono essere utili nel tentativo di affrontare, con piccoli gesti, la battaglia del gigante Davide (la velocità) contro Golia. Per esempio: se fate la fila, in un supermercato, davanti a uno sportello di banca, in un locale pubblico, non cedete alla tentazione della rabbiosa insofferenza, e approfittatene piuttosto per fare una nuova conoscenza, o ascoltare una storia. Non inzeppate l’agenda di impegni, così come non provate a fare sempre più cose contemporaneamente. E non dite mai: Non ho tempo. Anche perché non è vero, e la lentezza è molto più di una possibilità come ci ricorda il funzionamento del nostro cervello. Lento dalla nascita.