1/ Il terremoto in Nepal svela un traffico di bambini verso Israele, di Arthur Herlin 2/ Madri invisibili. Il caso delle povere donne nepalesi , di Assuntina Morresi
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1/ Il terremoto in Nepal svela un traffico di bambini verso Israele, di Arthur Herlin
Riprendiamo dal sito Aleteia un articolo di Arthur Herlin pubblicato il 29/4/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Nuove schiavitù nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (22/6/2015)
È l'esempio perfetto dello sfruttamento su scala mondiale della miseria di alcuni per il piacere di altri, come denunciano quanti si oppongono alla maternità surrogata. Il violento terremoto che ha sconvolto il Nepal ha sollevato un velo su un traffico di bambini – sordido ma legale.
Attualmente a Kathmandu ci sono 25 bambini nati da donne che hanno portato avanti una gravidanza per conto di israeliani che sono andati a recuperarli in Nepal, ha spiegato il Ministro degli Esteri israeliano.
Si tratta di oltre 50 “clienti”, tutti israeliani, che in questo momento aspettano nel Paese sconvolto dal terremoto e che verranno evacuati in modo prioritario con i loro bambini. Considerazioni mediche o ragioni legali nepalesi potrebbero tuttavia ritardare la loro partenza, ha reso noto il Ministero.
Bebè a richiesta
Dei 25 bambini coinvolti, 15 sono nati su incarico dell'impresa israeliana Tammuz. La maggior parte dei suoi clienti è costituita da coppie di uomini omosessuali, ha spiegato il suo responsabile commerciale, Roy Youldous.
La legge israeliana stabilisce che nel suo territorio solo le coppie eterosessuali hanno il diritto di adottare bambini nati da uteri in affitto. Gli omosessuali eludono la legge ricorrendo alla maternità surrogata in Paesi in via di sviluppo, ha aggiunto Youldous.
In Israele, il prezzo e le procedure scoraggiano anche le coppie eterosessuali, per cui il Nepal sembra essere una delle destinazioni privilegiate.
Madri indiane che affittano il proprio utero
Quattro dei bambini destinati ad essere venduti sono prematuri e hanno bisogno di cure mediche che potrebbero non trovare dopo il terremoto, ha informato il Ministero degli Esteri israeliano.
In Nepal, 80 donne, tutte indiane, aspettano un bambino per conto dell'impresa Tammuz. La legge esige infatti che nessuna madre portatrice sia nepalese. Roy Youldous assicura che ciascuna di loro è seguita da un assistente sociale.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
2/ Madri invisibili. Il caso delle povere donne nepalesi , di Assuntina Morresi
Riprendiamo da Avvenire del 30/4/2015 un articolo di Assuntina Morresi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Nuove schiavitù nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (22/6/2015)
Voli speciali stanno portando in Israele decine di neonati, figli di “madri surrogate” nepalesi e commissionati da coppie omosessuali israeliane, evacuandoli dalle zone terremotate. Finora sono arrivati tre bambini, con le rispettive coppie gay che risultano loro genitori “legali”. Se ne aspettano più di venti nelle prossime ore, e il numero potrebbe aumentare di molto: in Israele l’utero in affitto è accessibile solo a coppie eterosessuali, e gli omosessuali che vogliono farlo se ne vanno all’estero.
Il Nepal è una delle mete preferite (non solo per Israele, e non solo per omosessuali) perché la grande e diffusa povertà della popolazione ha fatto della maternità surrogata una “produzione low cost”: si può avere un figlio con appena seimila dollari, contro qualche decina di migliaia dell’India e più di centomila, ormai, negli Stati Uniti. È emblematico che il caso emerga definitivamente dalla polvere di dolore e morte del sisma che ha scosso il tetto del mondo proprio nel giorno in cui il Papa chiama credenti e persone di buona volontà a «difendere» le donne da sfruttamento, sottovalutazione, mercificazione.
Seimila miserabili dollari per convincere una donna povera a portare avanti una gravidanza conto terzi e partorire un figlio che dovrà abbandonare appena nato, cedendolo a coppie o single, ricchi a sufficienza per poter pagare una cifra relativamente modesta. Sorpresi dal terremoto, coppie omosessuali e single israeliani che erano in Nepal per prelevare i neonati commissionati se ne stanno tornando in patria con i bambini già nati e, in alcuni casi – almeno quattro – con le madri surrogate che li portano ancora in grembo, in attesa di partorire.
Se ci fossero ancora dubbi sull’umiliante mercato dell’utero in affitto e sull’ignobile sfruttamento delle donne coinvolte, queste brevi cronache sono in grado di fugarli tutti: non sappiamo niente delle madri surrogate di quei piccoli. Non un nome, una storia, un racconto. Gli articoli sinora pubblicati in giro per il mondo non le nominano, le coppie omosessuali appena sbarcate dagli aerei non ne parlano, quelle coppie che pure dovrebbero sapere chi sono quelle giovani donne, visto che ne hanno commissionato e pagato le gravidanze, e che hanno ottenuto l’oggetto del contratto, il tanto atteso “bimbo in braccio”.
Che cosa ne è stato di chi ha appena partorito? Sono sopravvissute al terremoto? In quali condizioni sono restate nel loro Paese? Non sappiamo, non si sa, a nessuno sembra importare niente: per le cronache semplicemente queste madri non esistono, perché hanno già svolto il “lavoro” per cui sono state retribuite, e devono solo essere dimenticate. Per il mondo non sono madri, esseri umani come ciascuno di noi, ma solo incubatori a pagamento. I “genitori” dei piccoli sono quelli che hanno stipulato il contratto di maternità conto terzi, nella piena legalità conferita dalle leggi e da quei seimila miserabili dollari. Una cifra superiore cambierebbe comunque poco: il giogo della schiavitù non ha prezzo.
Ma l’esiguità della somma dà la misura della miseria estrema di queste persone, per le quali solo poche migliaia di dollari significano la sopravvivenza personale e delle loro famiglie.
Il volo verso la salvezza dal terremoto – in Israele – è stato consentito solo a quelle madri surrogate “fortunate” che ancora devono partorire, cioè che aspettano di terminare il “lavoro” e onorare l’impegno stipulato nel contratto. Sopravvissute al sisma, devono ancora cedere il proprio bambino: per questo possono e, soprattutto, devono essere portate via e seguire i committenti, con un permesso speciale del governo israeliano. E c’è chi continua parlare di «dono» e di «diritti»…
Chissà chi quelle donne hanno lasciato in Nepal: genitori, fratelli, parenti, sicuramente qualcuno a cui badare, qualcuno da mantenere, vista la loro disponibilità ad affittare il proprio grembo. Ma, a quanto pare, se ne sono venute via da sole, senza familiari o conoscenti. Chissà cosa ne sarà di loro una volta svolto il compito, consegnati i propri figli alle coppie acquirenti. Probabilmente un volo di ritorno in Nepal, in quel che resta delle loro case dopo il terremoto, avendo intanto assaporato qualche settimana di benessere. Certamente, di nuovo invisibili.