La donna dell’Apocalisse e l’anticristo, di Ignace de la Potterie
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Riprendiamo dal sito della rivista 30Giorni un articolo di Ignace de la Potterie pubblicato nel numero 10, 1995. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sull'Apocalisse e per altri testi di Ignace de la Potterie, cfr. la sezione Sacra Scrittura (e la sotto-sezione Apocalisse).
Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2015)
La bestia che sale dal mare, una delle scene
dell’Apocalisse affrescata da Giusto de’ Menabuoi
nell’abside del Battistero di Padova
Due spunti ci offrono l’occasione per continuare la riflessione sull’Apocalisse iniziata nel numero scorso[1]: il diciannovesimo centenario della composizione dell’ultimo libro della Bibbia, celebrato nell’isola greca di Patmos su iniziativa del patriarcato ecumenico di Costantinopoli; ma soprattutto il fatto che l’Apocalisse sia stata al centro dell’interesse di due grandi esegeti oggi messi da parte dall’establishment accademico e che 30Giorni ha giustamente riproposto ai suoi lettori negli ultimi numeri: Erik Peterson (1890-1960)[2] e Heinrich Schlier (1900-1978)[3].
Per i due teologi tedeschi, entrambi convertiti dal protestantesimo, le visioni narrate nell’Apocalisse raffigurano la battaglia terribile e insieme reale in corso nella storia tra il Redentore e il suo nemico escatologico. I due esegeti considerano l’anticristo come un attore dell’Apocalisse, rappresentato nei simboli del drago e delle due bestie. Peterson, nel suo studio del 1938 sull’Apocalisse, parlando della bestia che viene dalla terra la identifica con «il falso profeta che si può anche chiamare il teologo dell’anticristo».
Schlier più di vent’anni dopo scrive tutto un articolo sull’anticristo concentrandosi unicamente sul capitolo 13 dell’Apocalisse, nel quale egli scopre tutta la simbologia del culto imperiale. L’anticristo nella sua lettura si identifica con l’Impero romano e, più in generale, con le potenze mondane che perseguitano la Chiesa.
A una lettura esclusivamente politica dei segni dell’Apocalisse sono ricorsi in molti nel corso dei secoli, dentro e fuori la Chiesa. Tutti i persecutori e tutti i protagonisti tragici e negativi della storia, fino a Hitler e Stalin, sono stati identificati di volta in volta come personificazioni dell’anticristo. Lutero ha attribuito le caratteristiche dell’anticristo addirittura al papa di Roma.
Una tale inflazione di anticristi rischia di generare equivoci. Per questo sembra opportuno riscoprire cosa è veramente l’anticristo per Giovanni, il discepolo che ne ha parlato.
Innanzitutto c’è da notare che, anche se molti commenti mettono in relazione anticristo e Apocalisse, l’espressione “anticristo” non compare mai esplicitamente nel libro scritto da Giovanni a Patmos. Ci sono, è vero, le figure terribili delle due bestie e del drago. Ma anche qui, se da una parte la bestia che viene dal mare si identifica con Roma e i regni mondani, l’altra bestia, quella che viene dalla terra, rappresenta il potere religioso incarnato dalla casta sacerdotale giudaica (la prostituta), come ha messo bene in rilievo Eugenio Corsini nel suo volume Apocalisse prima e dopo (Sei, Torino 1980). La bestia religiosa è pericolosa in quanto strumento del maligno così come lo sono i grandi poteri mondani.
Se poi vogliamo sapere cosa sia per Giovanni l’anticristo, più che all’Apocalisse dobbiamo guardare alle sue prime due lettere. È qui che il termine anti-cristo, coniato da Giovanni, compare per la prima volta; esso significa: “Colui che è contro Cristo” ossia «colui che nega che Gesù è il Cristo» (1Gv 2, 22). Il brano fondamentale sta un po’ prima: «Figlioli, è l’ultima ora, e avete udito che un anticristo deve venire, ma ora molti anticristi sono apparsi; da ciò riconosciamo che è l’ultima ora. Di mezzo a noi sono usciti, ma non erano di noi; se fossero stati di noi, sarebbero rimasti con noi; ma doveva essere reso manifesto che loro, tutti quanti, non sono di noi» (1Gv 2, 18-19).
Ecco, dunque, la prima caratteristica dell’avvento dell’anticristo: si tratta di un evento ecclesiale, prima che politico. L’anticristo come figura misteriosa, ancora non precisata, la cui venuta viene descritta anche da Paolo (2Ts 2, 7-8) come uno dei segni degli ultimi tempi, assume nelle lettere di Giovanni dei connotati storici precisi. Coincide con il manifestarsi della prima dolorosa frattura nel seno della comunità cristiana.
Gli anticristi sono i primi eretici, come gli gnostici, coloro cioè che hanno rotto l’unità della comunità attorno a Cristo. Il loro è il delitto più grave, quello che Giovanni chiama «peccato d’iniquità»: essere contro Gesù Cristo. Non riconoscere Gesù venuto nella carne, e quindi, come spiega anche la seconda lettera, voler andare oltre: «Chi va oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio» (2Gv 9).
Nella prima lettera, la figura dell’anticristo viene menzionata insieme agli altri due antagonisti dei cristiani: il maligno («Ve lo scrivo, giovani: avete vinto il maligno», 1Gv 2, 13) e il mondo («Non amate il mondo, né ciò che è nel mondo», 1Gv 2, 15). Tra questi tre soggetti c’è un legame stretto: le singole persone, definite anticristi, che rinnegando Gesù Cristo hanno provocato la divisione della comunità, rappresentano un potere collettivo, il mondo, che si è chiuso all’amore del Padre ma che è ispirato dal potere del maligno. In questo senso l’anticristo, in quanto ispirato dal maligno, cioè satana, svela la sua dimensione essenziale, escatologica, che ci riconduce all’Apocalisse.
L’evento ecclesiale dello scisma per eresia viene svelato nella sua drammaticità di evento escatologico: dietro il delitto degli anticristi c’è l’azione del maligno nella sua lotta contro il regno messianico. Un’opposizione destinata alla sconfitta, perché il maligno sa che il Signore ha già vinto. Ma proprio l’approssimarsi del rivelarsi definitivo della vittoria rende il diavolo più rabbioso nella persecuzione dei discepoli di Gesù lungo la storia: «Esultate dunque, o cieli, e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo» (Ap 12, 12).
La donna vestita di sole e il drago che tenta
di divorarne il bambino, una delle scene dell’Apocalisse
affrescata da Giusto de’ Menabuoi nell’abside
del Battistero di Padova [© Archivi Alinari, Firenze]
Tutta la seconda parte dell’Apocalisse (capitoli 12-22) è consacrata al destino di persecuzione della Chiesa nel corso del tempo fino alla vittoria finale nella nuova Gerusalemme che scende dal cielo. All’inizio di questa sezione la Chiesa perseguitata è descritta nel simbolo della lotta tra la donna e il drago.
Proprio per la figura della donna, oltre alla interpretazione che già nei commenti dei Padri vedeva in essa un’immagine della Chiesa, è stata proposta a partire dal Medioevo una chiave di lettura mariana, che ha influenzato largamente la tradizione iconografica e liturgica. In effetti i primi cristiani e in particolare la comunità giovannea, considerato il rapporto filiale di Giovanni con Maria iniziato sul Calvario, non potevano non riferire l’immagine della donna dell’Apocalisse alla donna concreta di cui parla il Vangelo, la madre di Gesù che egli stesso chiama «donna» prima alle nozze di Cana (Gv 2, 4) e poi quando ella è sotto la croce, insieme a Giovanni («Donna, ecco tuo figlio [...]. Ecco tua madre», Gv 19, 26-27).
Si possono fare varie considerazioni che confermano la legittimità della duplice lettura. La donna è vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi. Grida per le doglie del parto e il figlio maschio che partorisce viene insidiato come lei dal drago. Tutti simboli e immagini attribuibili sia a Maria che alla Chiesa. Ad esempio il parto doloroso, che non può essere un riferimento alla natività di Gesù da Maria (lì il parto fu verginale e senza dolore: l’enciclica di Pio XII Mediator Dei, riassumendo tutta la Tradizione, lo ha definito «felice parto»), simboleggia invece l’evento pasquale, con la nascita della Chiesa. Evento che accade proprio ai piedi della croce: Maria e Giovanni ai piedi del Redentore crocifisso sono la Chiesa nascente. Ed è lì che la madre di Gesù diventa madre di tutti i discepoli. Quei discepoli su cui, come dice ancora l’Apocalisse, si riverserà la collera del drago: «Allora, per placare la sua collera contro la donna, il drago se ne andò a guerreggiare con il resto dei suoi figli, cioè quelli che obbediscono agli ordini di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù» (Ap 12, 17).
Se è dunque lecita la lettura mariana della donna dell’Apocalisse, ci interessa qui cogliere proprio il senso della lotta tra la donna Maria e il drago. Ossia la contrapposizione tra Maria e quel simbolo del male escatologico che, come abbiamo visto, per Giovanni emerge storicamente nella fuoriuscita dalla Chiesa dei primi eretici. C’è una bellissima antifona, che s’incontrava nelle feste mariane del passato e che la riforma liturgica ha eliminato sia dal breviario che dal messale: «Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses tu sola interemisti in universo mundo» (Rallegrati, Vergine Maria, tu sola hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero).
Non è che Maria abbia fatto nella sua vita qualcosa contro le eresie. Ma certo il riconoscimento di Maria nei dogmi mariani è sintomo e baluardo della saldezza della fede. Anche il cardinale Ratzinger, nel suo libro-intervista con Vittorio Messori[4], sottolinea che «Maria trionfa su tutte le eresie»: se si accorda a Maria il posto che le conviene nella Tradizione e nel dogma, ci si trova già veramente al centro della cristologia della Chiesa. I primi dogmi, riguardanti la verginità perpetua e la maternità divina, ma anche gli ultimi (immacolata concezione e assunzione corporale nella gloria celeste), sono la base sicura per la fede cristiana nell’incarnazione del Figlio di Dio.
Ma anche la fede nel Dio vivente, che può intervenire nel mondo e nella materia, così come la fede circa le realtà ultime (risurrezione nella carne, e quindi trasfigurazione dello stesso mondo materiale) è confessata implicitamente nel riconoscimento dei dogmi mariani. Anche per questo si spera che verrà realizzato il progetto di reintrodurre, magari nella festa dell’Assunzione corporea di Maria al cielo, il 15 agosto, la bella antifona accantonata dalla riforma liturgica.
L’angelo che abbatte la bestia con un masso grande
come una macina da mulino, una delle scene
dell’Apocalisse affrescata da Giusto de’ Menabuoi
nell’abside del Battistero di Padova
Note al testo
[1] Cfr. I. de la Potterie, L’Apocalisse è già accaduta, in 30Giorni, n. 9, settembre 1995, pp. 62-63.
[2] Cfr. L. Cappelletti, Teologo senza patria, in 30Giorni, n. 7/8, luglio/agosto 1995, pp. 62-65; Come agnelli tra i lupi, a cura di L. Cappelletti, ibid., pp. 65-67; I. de la Potterie, L’Israele di Dio, in 30Giorni, n. 11, novembre 1995, pp. 64-67; L’elezione rimane sempre una grazia, a cura di G. Valente, ibid., pp. 68-72.
[3] Cfr. L. Cappelletti, Apocalisse, una storia attuale, in 30Giorni, n. 6, giugno 1995, pp. 64-66; Christus vincit, a cura di L. Cappelletti, ibid., pp. 67-70.
[4] V. Messori – J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 1985.