1/ «Come un giorno scelse Mosè affinché, in suo nome, guidasse il suo popolo, così Dio continua a suscitare Pastori secondo il suo cuore, che pascolino con scienza e prudenza il suo gregge. Monsignor Romero ha costruito la pace con la forza dell’amore». Lettera di Papa Francesco in occasione della Beatificazione di Monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez 2/ Mons. Oscar Romero, sacerdote beato del popolo per amore a Gesù e alla sua Chiesa. Nel suo esempio si riscatta la fede di milioni di latinoamericani che continuarono a credere contro ogni speranza, di Luis Badilla

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /05 /2015 - 23:21 pm | Permalink | Homepage
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1/ «Come un giorno scelse Mosè affinché, in suo nome, guidasse il suo popolo, così Dio continua a suscitare Pastori secondo il suo cuore, che pascolino con scienza e prudenza il suo gregge. Monsignor Romero ha costruito la pace con la forza dell’amore». Lettera di Papa Francesco in occasione della Beatificazione di Monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez

Riprendiamo sul nostro sito la Lettera del Santo Padre Francesco all'Arcivescovo di San Salvador in occasione della Beatificazione di Monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez, il 23/5/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2015)

Eccellentissimo Monsignor José Luis Escobar Alas
Arcivescovo di San Salvador
Presidente della Conferenza Episcopale di El Salvador

Caro Fratello,

La beatificazione di monsignor Óscar Arnulfo Romero Galdámez, che è stato Pastore della sua amata Arcidiocesi, è motivo di grande gioia per i salvadoregni e per noi che beneficiamo dell’esempio dei migliori figli della Chiesa. Monsignor Romero, che ha costruito la pace con la forza dell’amore, ha reso testimonianza della fede con la sua vita dedita fino all’estremo.

Il Signore non abbandona mai il suo popolo nelle difficoltà, e si mostra sempre sollecito verso i suoi bisogni. Egli vede l’oppressione, ode le grida di dolore dei suoi figli, e va in loro aiuto per liberarli dall’oppressione e per condurli in una terra nuova, fertile e spaziosa, dove «scorre latte e miele» (cfr. Es 3, 7-8). Come un giorno scelse Mosè affinché, in suo nome, guidasse il suo popolo, così continua a suscitare Pastori secondo il suo cuore, che pascolino con scienza e prudenza il suo gregge (cfr. Ger 3, 15).

In questo bel Paese centroamericano, bagnato dall’Oceano Pacifico, il Signore ha concesso alla sua Chiesa un Vescovo zelante che, amando Dio e servendo i fratelli, è diventato l’immagine di Cristo Buon Pastore. In tempi di difficile convivenza, monsignor Romero ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, restando fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa. Il suo ministero si è distinto per una particolare attenzione ai più poveri e agli emarginati. E al momento della sua morte, mentre celebrava il Santo Sacrificio dell’amore e della riconciliazione, ha ricevuto la grazia d’identificarsi pienamente con Colui che diede la vita per le sue pecore.

In questo giorno di festa per la Nazione salvadoregna, e anche per i Paesi fratelli latinoamericani, rendiamo grazie a Dio perché ha concesso al Vescovo martire la capacità di vedere e di udire la sofferenza del suo popolo ed ha plasmato il suo cuore affinché, in suo nome, lo orientasse e lo illuminasse, fino a fare del suo agire un esercizio pieno di carità cristiana.

La voce del nuovo Beato continua a risuonare oggi per ricordarci che la Chiesa, convocazione di fratelli attorno al loro Signore, è famiglia di Dio, dove non ci può essere alcuna divisione. La fede in Gesù Cristo, correttamente intesa e assunta fino alle sue ultime conseguenze, genera comunità artefici di pace e di solidarietà. A questo è chiamata oggi la Chiesa a El Salvador, in America e nel mondo intero: a essere ricca di misericordia, a divenire lievito di riconciliazione per la società.

Monsignor Romero c’invita al buon senso e alla riflessione, al rispetto per la vita e alla concordia. È necessario rinunciare alla «violenza della spada, quella dell’odio» e vivere «la violenza dell’amore, quella che lasciò Cristo inchiodato a una croce, quella che si fa ognuno per vincere i propri egoismi e affinché non ci siano disuguaglianze tanto crudeli tra noi». Egli ha saputo vedere e ha sperimentato nella sua stessa carne «l’egoismo che si nasconde in quanti non vogliono cedere ciò che è loro perché raggiunga gli altri». E, con cuore di padre, si è preoccupato delle “maggioranze povere”, chiedendo ai potenti di trasformare «le armi in falci per il lavoro».

Quanti hanno monsignor Romero come amico nella fede, quanti lo invocano come protettore e intercessore, quanti ammirano la sua figura, trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il Regno di Dio e impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno.

È il momento favorevole per una vera e propria riconciliazione nazionale dinanzi alle sfide che si affrontano oggi. Il Papa partecipa alle sue speranze, si unisce alle sue preghiere, affinché germogli il seme del martirio e si rafforzino negli autentici cammini i figli e le figlie di questa Nazione, che si gloria di portare il nome del divino Salvatore del mondo.

Caro fratello, ti chiedo, per favore, di pregare e di far pregare per me, mentre imparto la Benedizione Apostolica a tutti coloro che si uniscono in modi diversi alla celebrazione del nuovo Beato.

Fraternamente,

Francesco

Dal Vaticano, 23 maggio 2015

2/ Mons. Oscar Romero, sacerdote beato del popolo per amore a Gesù e alla sua Chiesa. Nel suo esempio si riscatta la fede di milioni di latinoamericani che continuarono a credere contro ogni speranza, di Luis Badilla

Riprendiamo dal sito Il sismografo un articolo di Luis Badilla pubblicato il 21/5/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2015)

Forse a molti sfugge la fondamentale importanza che ha per i popoli latinoamericani la beatificazione, il prossimo 23 maggio, dell'arcivescovo di San Salvador, mons. Oscar Romero, trucidato barbaramente il 24 marzo 1980. Se i santi e i beati della Chiesa Cattolica sono una proposta di un "modello di vita", non è facile certamente accettare il modello del martirio, del dono della propria vita per gli altri; dono della vita proposto appunto con l'elevazione agli altari del presule salvadoregno. Eppure, in questa difficile questione c'è tutto mons. Romero e soprattutto c'è il "perché" il suo esempio, la sua testimonianza e il suo supremo sacrificio siano ormai, a 35 anni di distanza, parte dell'anima dei popoli dell'America Latina.

Ormai fra lui - la sua vita e la sua eredità - e l'anima profondamente cattolica della stragrande maggioranza dei popoli latinoamericani si è stabilita una simbiosi spirituale-religiosa inscindibile. Oscar Romero incarna dolorosamente una parte terribile, lacerante, aliena da ogni oblio, di ciò che fu la vita umana in America Latina della seconda parte del secolo scorso. Lui è dolore immenso, ma anche memoria imperitura. Lui è esempio e speranza. Lui è monito: mai più, mai più!!

Mons. Romero è, e resterà, il paradigma di milioni di latinoamericani, chiese e associazioni della società civile, che tra il 1964 e il 1989 furono inghiottiti dalla ferocia dell'ondata militarista che colpì chiunque e ovunque. Furono gli anni, orrendamente lunghi, devastanti dell'animo e dei cuori, in cui chiunque non fosse d'accordo con i generali e i colonnelli al potere era definito, considerato e trattato come "nemico interno" (ovviamente connivente e complice del cosiddetto "nemico esterno": i comunisti dell'URSS o addirittura della Cina di Mao). Bastava poco o nulla per essere ritenuto "nemico interno" e mons. Romero più di una volta fu definito tale e coloro che lo uccisero - ancora non sappiamo chi: autori e mandanti - il giorno del crimine sono andati a letto a dormire tranquilli. 

Perché? Perché si sentivano in guerra contro questi “nemici”; guerra sporca, vile e ripugnante, perché era stata dichiarata da loro, senza motivo, senza causa, senza onore, solo per dare sfogo ad una follia ideologica e un'ingordigia finanziario-economica dove non mancarono anche gravi patologie psichiatriche. La guerra dell'odio gratuito contro i popoli, misere pedine nello scacchiere della guerra fredda dove "le superpotenze davano le armi e i popoli i morti" (Mons. Arturo Rivera y Damas, successore di mons. Romero).

Per questi guerrieri dell'odio contro il proprio popolo Gesù stesso, e naturalmente la Chiesa Cattolica, anzi, le chiese cristiane, era un "qualcosa" di scomodo al punto che non veniva mai nominato e tutte le volte, tante, in cui i dittatori al potere si volevano ammantare di spirito evangelico parlavano genericamente di "radici cristiane del mondo occidentale".

Temevano il  nome stesso di Gesù e temevano la gerarchia che su questo Gesù parlava. Il massimo che questi militari si concedevano era il tradizionale "Dio, patria e famiglia", concetti tutti nobili e delicati, ma da loro usati solo in modo strumentale e pretestuoso, per convincere la parte anticomunista dell'opinione pubblica internazionale che loro e i loro crimini erano "effetti collaterali" nella guerra per difendere la libertà. Molti ci cascarono dando sostegno a questa barbarie che poi, alla fin fine, aveva una sola vera ragione di essere: il potere economico che i potenti dell'emisfero americano non volevano farsi sfuggire, ragion per cui strinsero alleanze con caste militari, tutte corrotte, e con settori sociali locali dichiarati guardie pretoriane dei loro interessi dall'Alaska alla Patagonia.

Mons. Romero morì come un martire della fede. Il suo non era una magistero politico o ideologico e non si onora la grandezza della sua memoria e della sua testimonianza se per distrazione, superficialità o malafede, lo si presenta come un attivista politico. Affermare e difendere questa verità non significa però ignorare o sminuire il fatto che proprio la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, ragioni per le quali entrò in conflitto con il militarismo pagano mascherato di difensore della "civiltà cristiana occidentale", ha testimoniato - anche con il prezzo del proprio sangue - che il messaggio dei Vangeli non aveva niente a che fare con l'orgia del potere che per decenni seminò dolore e umiliazione per milioni di latinoamericani tra morti, torturati, scomparsi, esiliati, affamati e impoveriti. 

Noi stessi siamo stati testimoni di quest'orrendo olocausto d'innocenti vissuto in decine di Nazioni dal Centro America fino alla Patagonia. In Cile, tra il 11 e il 30 settembre 1973, abbiamo perso 13 cari amici, compagni di Università, in particolare medici che lavoravano nelle baraccopoli. Furono sequestrati, torturati e poi uccisi. Così, senza motivo, perché erano medici che lavoravano con i più poveri. Di sette di loro tuttora non esiste una tomba dove inginocchiarsi a pregare o portare un fiore. Abbiamo due amiche, ormai sessantenne, che ancora cercano il figlio che fecero nascere mentre erano in carceri clandestine, accusate di ogni nefandezza, e che non ebbero neanche la possibilità di baciare il loro dolcissimo volto.

Quanti cristiani in quegli anni si sono chiesti: da quale parte sta Gesù e da quale parte sta il Vangelo?

Allora non sempre era facile avere una risposta e a volte le risposte non apparivano molto convincenti. Non erano anni in cui era facile credere e soprattutto continuare a credere. Molti se ne sono andati: smisero di credere. Altri caddero nell'indifferenza o addirittura nell'aggressività anticattolica. Non pochi abbracciarono le armi convinti che la violenza poteva sconfiggere la violenza, ingigantendo così una spirale di odio, di luti e di disintegrazione del tessuto sociale. La stragrande maggioranza, proprio e grazie alla testimonianza di cristiani e sacerdoti come Romero, e ce ne furono tanti, resistete trovando nella fede sballottata dalla storia la forza per continuare a credere. Mons. Romero come martire della fede è stato anche, ed è, un custode della fede e con il suo sangue ha nutrito l'amore per Cristo di milioni di latinoamericani.

In quegli anni la disperazione e il disorientamento erano tali che la domanda su Gesù e il Vangelo non veniva percepita come un interrogativo sbagliato. Perché le domande, e lo diceva mons. Romero, erano altre, quelle che Papa Francesco si è posto e ha posto nel Memoriale dello Yad Vashem.

E' una preghiera per mons. Romero e per migliaia di altri "romero" anonimi e sconosciuti.

“Adamo, dove sei?” (cfr Gen 3,9).
Dove sei, uomo? Dove sei finito?
Uomo, chi sei? Non ti riconosco più.
Chi sei, uomo? Chi sei diventato?
Di quale orrore sei stato capace?
Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?
No, questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato?
Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male?
Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio  a te stesso, perché ti sei eretto a dio. Oggi torniamo ad ascoltare qui la voce di Dio: “Adamo, dove sei?”.
Dal suolo si leva un gemito sommesso: Pietà di noi, Signore!
A te, Signore nostro Dio, la giustizia, a noi il disonore sul volto, la vergogna (cfr Bar 1,15).
Ci è venuto addosso un male quale mai era avvenuto sotto la volta del cielo (cfrBar 2,2).
Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita.
Mai più, Signore, mai più!
“Adamo, dove sei?”.
Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare.
Ricordati di noi nella tua misericordia
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