Blog dei redattori de Gli scritti (maggio 2015)
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1/ Che l’uomo sia diverso dagli altri animali – e dalla scimmia in particolare – si vede dal tempo che richiede l’educazione di un cucciolo d’uomo (di A.L.)
La natura spirituale e non istintuale dell’uomo traspare in maniera chiarissima dal tempo che richiede l’educazione di un cucciolo d’uomo. Un bambino impiega tantissimo tempo non solo a camminare, ma soprattutto a parlare, a scrivere, ad esprimersi, a capire i segni di un'altra persona, proprio perché è un essere che ha bisogno di senso, che è autocosciente, che conosce la noia e la tristezza, che ha bisogno di Dio.
Andrea Moro, un neuro-linguista, afferma a ragione che l’uomo è l’unico essere che sa fare un uso infinito di quei segni finiti che sono le parole. Molte creature sono in grado di comunicare con segni elementari, ma non sanno riferire quei segni all’infinito, modulandoli e correlandoli in maniera sempre nuova. Ecco perché l’educazione umana è lunghissima rispetto a quella di qualsiasi altra creatura. Proprio l’educazione così differente dell’uomo indica la sua natura spirituale.
2/ Lo studio della teologia, esercizio di povertà e di assesi, cammino di maturità affettiva e di paternità (di A.L.)
Non ha senso disgiungere la maturità affettiva dallo studio della teologia e da una appropriazione culturale della fede. Una persona – anche un seminarista – che non abbia niente da dire di chiaro e di solido agli altri, perché la sua fede è emotiva e non fondata, cercherà compensi affettivi altrove. Solo chi è consapevole di avere un dono da dare al mondo può sostenere il tempo presente.
Ridicolizzare lo studio della teologia è creare personalità fragili, che saranno in balia di ricatti affettivi.
Lo stesso avviene dei genitori del nostro tempo quando non hanno chiaro cosa sia il bene e cosa sia la verità: si attenderanno una ricompensa affettiva dai loro figli e non sapranno sostenere il loro pianto e la loro critica.
Il nostro tempo con le sue periferie esistenziali, ha un disperato bisogno di “padri” e di persone che conoscano il Vangelo per aiutare i ragazzi ad essere liberi dai richiami degli specchietti per allodole del nostro tempo. Non appena trovano qualcuno che ha una visione chiarificatrice della vita, lo rincorrono e sentono la benedizione della sua presenza.
Se, invece, trovano cristiani – e preti – che non sanno chiarire cosa sia il peccato, se la fede sia necessaria, se sia meraviglioso essere cristiani o meno, come affrontare le critiche rivolte nella storia al cristianesimo, se ne allontanano, perché ritengono quella persona inutile e immatura.
Non esiste una maturità senza una maturità culturale. La cultura non è propria degli intellettuali, ma è la caratteristica di ogni persona adulta. Senza una conoscenza adeguata dei punti di riferimento decisivi per la vita, delle certezze semplici e vive su cui si basa la vita, non esiste personalità matura.
Anche i contenuti sono necessari perché una persona sia matura. Alberto Monticone ha giustamente sottolineato alcuni anni fa che una persona di cultura non è una persona che conosce tutto, ma piuttosto una persona che conosce quali autori e libri meritano davvero di essere approfonditi e questo è oggi ancora più decisivo dinanzi all’accrescersi infinito dei dati che il web rende possibile.
3/ Da un manicheismo all’altro: se il male non è nel mondo, allora lo si cerca a priori nella Chiesa, perché senza il male non si può creare il chiaroscuro (di G.M.)
Giustamente il Concilio ricorda che la Chiesa impara dal mondo, è arricchita dal pensiero e dalla vita dei non credenti e che, quindi, ciò che è fuori dalla Chiesa non può essere dipinto come il “male”.
Una banalizzazione delle affermazioni conciliari può portare, però, alla conclusione che il mondo è allora buono. Ma da dove viene il male, allora, se non viene dal “mondo”? Alcuni deducono da quanto sopra affermato che il male è quindi nella Chiesa e che, se il mondo è tout court buono, è esso che deve “evangelizzare” la Chiesa. Ne consegue una visione manichea, uguale e contraria a quella integralista stigmatizzata dal Concilio: la dottrina e la prassi della Chiesa, a parte i primi secoli e gli anni recenti, vengono stigmatizzate come “male” ed il pensiero moderno insieme alle altre religioni visti come le realtà chiamate a redimere la Chiesa. Il ruolo di Salvatori viene così assegnato a chi, invece, ha bisogno, a sua volta, di salvezza, perché toccato dal male, pur non essendo “male”.
Una visione chiara del duplice significato di “mondo” è qui necessaria: Gesù, nel Vangelo di Giovanni – lo stesso si può dire di Paolo e di tutti gli altri scritti neotestamentari, perché tale è la visione di Gesù - riconosce la bontà del mondo creato, ma insieme che il mondo, a causa del peccato, si oppone all’annunzio di Cristo, pur avendo di Lui bisogno.
La Chiesa, comunque, non è salvata dal mondo, ma dal Signore, che si serve anche del mondo per convertirla sempre più a Lui. Ed il mondo, che essendo creato riceve da Dio e non da se stesso la sua bellezza, nondimeno ha bisogno di essere salvato ed evangelizzato, perché se non si apre a Cristo, la sua bellezza è sempre a rischio di perdersi.
Mi è sempre più evidente che una questione come questa qui esposta non è meramente teorica, ma determina il modo di vedere la storia della Chiesa e la catechesi.
Se la Chiesa deve essere salvata dal mondo, ecco che il catecheta o lo storico della Chiesa affermerà che la catechesi della Chiesa è stata tenebra, fino a che il mondo non l’ha illuminata, che la vita della Chiesa nei secoli è stata oppressione, finché il pensiero moderno non l’ha illuminata e “salvata”.
Parimenti il catecheta e lo storico integralista dirà invece sic et simpliciter che il male è tutto fuori della Chiesa e che tutto dipende dal fatto che il mondo si è chiuso all’annunzio della Chiesa.
Una visione cristiana e conciliare della Chiesa riconoscerà invece che la Chiesa è lumen gentium, sempre e comunque, e che questo appare anche dal suo essere guidata dallo Spirito ad apprezzare il bene che è al di fuori di essa, camminando insieme a tutti gli uomini, ma sempre consapevole di avere un dono che è stato fatto solo a lei per la salvezza del mondo.
Una visione manichea della storia della Chiesa e della catechesi, insomma, corrisponde alla convinzione errata che la Chiesa non abbia da dare al mondo qualcosa che esso non possiede già e che pure gli è necessario: il Vangelo.
4/ Pena di morte e carcere: il paradosso di chi ne ha fatto uso e ne denuncia l’illegittimità (di L.d.Q.)
È paradossale che esponenti delle Brigate Rosse o di gruppi similari lottino contro il carcere, dopo che hanno incarcerato i loro prigionieri, tenendoli in detenzione.
Lo stesso dicasi della pena di morre: in un’Italia contraria alla pena di morte l’onorevole Aldo Moro è stato “condannato a morte” – così recitava il Comunicato delle BR di allora.
5/ Chi pretende che un genitore non dia una sberla ad un figlio, ha mai visto una lite fra fratelli? (di A.L.)
Vedo per strada una lite fra fratellini in un parco pubblico e mi ricordo delle liti furibonde che nascevamo in casa fra noi, quattro figli e fratelli. Fratelli non eccessivamente rissosi, ma pure in lite perenne come sempre avviene fra fratelli. Senza un intervento “fisico”, d’autorità, quelle liti non si sarebbero mai arrestate. Si vede chiaramente che chi vorrebbe dei genitori che educhino solo con parole suadenti e senza mai dare una sberla, non ha mai vissuto in una famiglia reale e non sa cosa voglia dire dover gestire il rapporto conflittuale che c’è fra fratelli!
Dinanzi a nazioni che pretenderebbero di imporre all’Europa intera la loro errata prassi educativa, si vede come in quei popoli la realtà familiare si sia talmente indebolita da essere ormai aerea, astratta, non più bisognosa nemmeno di un contatto fisico!
Se un figlio sa di essere amato, non gli fa alcun problema che un genitore intervenga d’autorità: è peggio la freddezza di un rapporto, piuttosto che una vicinanza che una volta all’anno portano un genitore a dare una sberla.
6/ L’IS e l’assenza di Dio in occidente (di L.d.Q.)
È evidente a chiunque non si chiuda gli occhi che l’IS contesta un occidente vuoto di sete di Dio e carente di un ideale che infiammi il cuore dei giovani. Nella sua crudeltà e follia la proposta islamista si inserisce in un vuoto a cui il consumismo occidentale non è in grado di dare risposta, poiché ne è la causa stessa. Solo un’appassionata ricerca di Dio e del Dio di Gesù Cristo, solo un’Europa appassionata di valori come la ragione, la verità, la carità, l’amore, la ricerca di Dio è in grado di generare una sete di vivere nel cuore dei giovani d’Europa e di attrarre le giovani generazioni musulmane che restano scandalizzate sia dall’Islamic State sia dal vuoto di valori che caratterizza l’occidente.
I giovani non possono vivere senza qualcuno che aiuti loro a trovare motivi per far nascere bambini, a vivere in maniera bella il rapporto fra l’uomo ella donna, il servizio ai poveri, la libertà nella ricerca intellettuale.
7/ Cantanti che hanno fatto outing eppure continuano a fare canzoni d’amore con video in cui gli innamorati sono maschi e femmine (di G.M.)
E’ interessante che anche in cantanti dichiaratamente omosessuali, i video delle loro canzoni d’amore, tranne rare eccezioni, riguardano maschi e femmine (così, ad esempio, Tiziano Ferro, vedi Incanto), perché altrimenti non venderebbero, perché sanno bene che la maggior parte degli amori sono fra maschi e femmine (non certo per omofobia, altrimenti l’outing avrebbe fatto crollare le vendite dei loro dischi!).
8/ Il dilemma fra scienza e fede? Basta vedere le icone sull’ISS per capire che è un falso problema! (di L.d.Q.)
A chi ritiene che scienza e fede seguano percorsi incompatibili, basta mostrare le immagini dell’interno della ISS. La sezione russa è piena di crocifissi ed icone della Madonna ortodossi (dopo 70 anni di comunismo!), un’astronauta statunitense induista aveva portato sulla ISS la statuetta di Ganpati, una delle divinità indù, mentre uno statunitense islamico aveva fatto preparare per lo Shuttle una bussola che si dirigeva di volta in volta alla Mecca per poter pregare durante la missione.
9/ Se la catechesi non si apre alla cultura il rischio del bigottismo è sempre alle porte (di G.M.)
Festa di Ognissanti. Mi si perdoni, ma quanto è stucchevole vedere immagini pittoriche - spesso brutte – di un santo o di un altro. Il discorso si potrebbe prolungare con riferimento ad un certo modo di parlare di Halloween.
Ma ecco un amico posta su FB I santi, in versione live, di Angelo Branduardi. Sorrido e respiro. Ecco qualcosa di originale, ecco un riferimento fuori dalle “mura” della Chiesa, ecco l’attenzione a ciò che si pensa dei santi “fuori” della Chiesa. FB non è il luogo di una catechesi sui Santi, bensì è il luogo di incontri e dialoghi. E ci aiuta chi ci fa respirare.
Da qui il pensiero va ad ogni ambito della catechesi e dell’annunzio. Se la catechesi non si apre alla cultura il rischio del bigottismo è sempre alle porte.
10/ Sant’Egidio testimone dell’importanza della cultura come CL, l’Opus Dei e tanti altri, grazie a Dio (di L.d.Q.)
Grazie a Dio, due assi portanti, oltre a quello liturgico, caratterizzano la Comunità di Sant’Egidio: da un lato l’attenzione ai poveri, dall’altro il lavoro culturale scientifico in università e nelle pubblicazioni.
Si pensi a quanti membri della comunità di Sant’Egidio sono diventati professori universitari e a quanti volumi di storia vengano prodotti dagli stessi. Il lavoro è duplice, carità e cultura. Fra l’altro la presenza di docenti qualificati permette di instaurare quel rapporto con le istituzioni che è necessario per reperire fondi per aiutare i poveri.
Sarebbe bello che fosse più dichiarato il grande amore che c’è per la cultura nella Comunità di Sant’Egidio perché ciò permetterebbe di motivare maggiormente i giovani a capire che ricerca intellettuale e carità non si oppongono. È buffo invece che raramente nei discorsi pubblici venga sottolineata la dimensione non solo culturale, ma anzi di una cultura accademica e di insegnamento universitario tipica degli appartenenti a Sant’Egidio.
11/ Il suicidio non è un atto personale, bensì sociale (di A.L.)
Chiunque ha un parente che si è suicidato sa bene che quel gesto ha rattristato la vita del figlio della persona che si è ucciso, sa bene che la scomparsa di quella persona ha spento entusiasmo e speranza di parenti e ragazzi. Da un punto di vista psicologico, ogni terapeuta non avrà difficoltà a mostrare che in alcuni suicidi c’è come una rivendicazione, un narcisismo, un volersi mettere al centro che appare con evidenza dal modo in cui si pensa la modalità del ritrovamento del priori copro e così via.
Il senso di colpa dei parenti, i problemi economici derivanti dalla morte, le conseguenze anche fisiche del doversi occupare della sepoltura e della memoria, e così via, coinvolgono tutti i parenti e le generazioni successive.
Con splendidi versi John Donne scrisse parole che poi Ernst Hemingway rese famose riprendendo il verso “Per chi suona la campana”, mostrando che quella campana a morto ci coinvolge tutti. È un fatto sociale e non semplicemente personale
John Donne, Meditazione XVII: “Nessun uomo è un’isola
Nessun uomo è un’isola
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una nuvola
venisse lavata via dal mare,
l’Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona per te.
12/ L’enormità dei numeri rende illusoria l’idea dell’accoglienza (di G.M.)
Accogliere vuol dire conoscere, ascoltare, integrare, creare relazione. Ma quando si tratta di accogliere 350.000 persone ci si accorge subito che tutto questo è illusorio. Una politica sensata deve dire cosa pensa di questa questione non per chiudere le frontiere, ma per essere realista, per avere chiaro realisticamente quale integrazione avverrà e quali problemi resteranno sul tappeto irrisolti, in maniera da preparare la popolazione ai problemi futuri che sorgeranno.
Dovrà poi appoggiarsi a quelle realtà che concretamente compiono un’opera di integrazione, impegnandosi a valorizzare il loro ruolo e non a creargli difficoltà, perché almeno ciò che è possibile venga fatto.
13/ Non ci si rede conto che si è a rischio della scomparsa del volontariato (di L.d.Q.)
Si parla spesso di crisi nel reclutamento e nella formazione dei catechisti, dimenticandosi che esiste un contesto più ampio sul quale bisogna lavorare. Chi lavora nell’ambito del volontariato sociale – ad esempio, gli animatori delle diverse Caritas - ripete da tempo che i volontari sono sempre più anziani e non favoriscono innovazioni e inserimento dei giovani. Molti degli operatori sono ormai stipendiati e il servizio sociale è il loro lavoro. Molti degli operatori vivono - giustamente - con stipendi che dipendono dai fondi forniti dallo Stato o dai Comuni che riconosce il loro servizio come necessario al benessere cittadino.
Alcuni dei giovani che si avvicinano oggi alle organizzazioni di impegno sociale lo fanno in vista di attestati utili per i loro curricula o nella speranza di ottenere lì un impego. Questo è sacrosanto, ma resta la domanda: come proporre oggi un volontariato totalmente gratuito? Come far maturare nei giovani la disponibilità ad un servizio di carità continuato ed impegnativo, senza alcun tornaconto?
14/ La Mappa concettuale, cioè l’importanza dei contenuti e della sintesi nel presentarli (di A.L.)
Una docente esperta di disabilità spiega cosa è una mappa concettuale, come sia necessario evidenziare dei punti chiari e decisivi, che vengono posti in successione, per facilitare la comprensione di persone che hanno difficoltà di apprendimento.
Ebbene questo è proprio il ruolo delle sintesi.
Il paradosso è che mentre si afferma che le sintesi del passato non sono utili, perché tutto deve essere narrato, si giunge poi a recuperare la necessità della sintesi a partire dalla difficoltà di apprendimento: si pretende di creare ex novo delle sintesi, delle “mappe”, rigettando quelle che secoli di esperienza hanno prodotto.
Non sarebbe più saggio, mentre si arricchisce la tradizione di “mappe concettuali” nuove, attingere a quelle che già sono state prodotte?
Solo per fare un esempio, la triade “fede, speranza, carità” non ha più niente da dire all’uomo di oggi? Non è una mappa concettuale interessantissima?
15/ La donna vuole salvare, l’uomo vuole difendere (di L.d.Q.)
Una persona dice in una battuta qualcosa che potrebbe essere vero nella comprensione del maschile e del femminile: la donna tende a salvare, il maschio tende a difendere.
16/ Senza sussidiarietà non è possibile la solidarietà (di A.L.)
Senza sussidiarietà (e conseguentemente identità della famiglia) non è possibile la solidarietà!
Se si vuole servire gli anziani non si può che lavorare sulle famiglie perché figli e nipoti riscoprano l’amore per i genitori ed i nonni. Lo Stato non potrà mai sostenere gli anziani e la loro povertà, senza il tempo, la presenza fisica e l’affetto della loro discendenza. Aiutare i poveri, vuol dire sostenere le famiglie perché possano occuparsene. Questa è la sussidiarietà, la convinzione che lo Stato è sussidiario di altre realtà vitali che nascono spontaneamente nella società come la famiglia. Non è la famiglia ad essere sussidiaria dello Stato, è lo Stato ad essere sussidiario della famiglia perché per primi sono i discendenti a poter amare e sostenere i loro anziani, mentre lo Stato li aiuta nel loro compito. Se non esistesse la sussidiarietà, vorrebbe dire che lo Stato deve trovare i soldi ed il personale per accompagnare tutti gli anziani della società intera, il che sarebbe ovviamente impossibile.
Ovviamente lo stesso vale per i figli. Lo Stato sostiene la famiglia nell’educare i figli, lo Stato è sussidiario della famiglia e non il contrario. Se fosse vero il contrario, sarebbe lo Stato a dover pagare le pappe per tutti i bambini così come i pannolini, invece lo Stato riconosce che questo è compio dei genitori che hanno un ruolo più importante di quello dello Stato stesso perché a loro spetta educare i figli, sono figli delle famiglie e non dello Stato.
17/ La Francia illuminista spinge i suoi turisti a visitare opere del re Luigi XIV e di Napoleone, esaltando le loro vite (di L.d.Q.)
È, come sempre, un paradosso, ma la monarchia francese, tanto bistrattata dagli storici, e Napoleone, giustamente disprezzato per la sua tirannide, sono esaltati dal turismo di Francia e venerati dagli stessi storici che li disprezzano.
In Francia non c’è un odio per la propria storia come c’è in Italia.