[Genocidio degli armeni, degli assiri, dei caldei, dei siriaci ] 1915, il calvario dei cristiani, del cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli
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Riprendiamo da Avvenire del 23/4/2015 un articolo di Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/4/2015)
Il 24 aprile è la Giornata della memoria del genocidio armeno. La data è legata alla notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 quando vennero compiuti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli, dando vita a una persecuzione che coinvolse 1.200.000 persone. Nelle regioni orientali dell’Impero ottomano assieme agli armeni furono trucidati anche assiri, caldei, siri... Per i “Giovani Turchi” erano tutti «nemici interni».
Chi si ricorderà del genocidio assiro-caldeo-siriaco del 1915? L’interrogativo sembra far eco a quello attribuito a Hitler: «Chi parla ancora, oggi, del massacro degli armeni?». E non poche sono le somiglianze storiche. Nell’irredentismo che scuoteva l’antico Impero ottomano, tra il XIX ed il XX secolo, i cristiani da secoli vivevano in uno stato di sottomissione ed i loro diritti erano affidati più alle garanzie occidentali (di Francia e Gran Bretagna) che al diritto comune dei popoli. La Grande Guerra portò con sé serie conseguenze anche in Medio Oriente dove si inserì il principio del protettorato sulle nuove entità geo-politiche nate da accordi internazionali.
La Francia laica, che nel 1904 aveva denunciato il concordato con la Santa Sede, separò Stato e Chiesa; se la Sede Apostolica conseguì la libertà nella nomina dei vescovi in Francia, nel Vicino Levante i cristiani dell’Impero ottomano perdettero un potente tutore, anche se dal 1856 (dopo la guerra di Crimea) la Sublime Porta li aveva equiparati civilmente agli islamici. I diritti civili acquisiti, però, non li avevano garantiti contro vari eccidi sanguinosi – come nel caso degli armeni ad opera del sultano Abdul-Hamid II (1894-96) e dei “Giovani Turchi” (1909). Fu, però, tra il 1915 e il 1918 che fu posta in atto un vera strage: centinaia di migliaia di armeni vennero crudelmente massacrati, anche con la complicità di bande curde, o morirono di fame e di stenti durante la loro forzata deportazione, o in fuga, insieme a decine di migliaia di assiri, caldei, siri e di altre confessioni. Cinque vescovi subirono il martirio; tre morirono in esilio. Di sedici diocesi, ne rimasero in vita tre; dei 250 sacerdoti, circa 126 furono uccisi insieme a numerose religiose. Nell’estate del 1915 sette suore Caterinettes, fondate appena trentacinque anni prima, vennero trucidate, tra cui le due fondatrici della congregazione.
I turchi, come scrisse in un resoconto del tempo il domenicano François-Marie Dominique Berré, ritenevano giunto «il momento di liberare la Turchia dai suoi nemici interni, che sono i cristiani». Si riteneva che, come per i massacri del 1894-1896, le potenze europee non sarebbero intervenute per vendicare la loro morte; e commentavano: «Del resto, i nostri alleati, i germanici, sono là per sostenerci». Berré parlò della morte di uomini, donne e bambini, mentre falsità e delazioni furono prese a pretesto per la loro eliminazione, come nel caso della Congregazione di San Francesco d’Assisi, che la polizia esibì come setta segreta francese a prova del tradimento dei cristiani di Mardin. Nel 1914 padre Berré era stato deportato da Mosul a Mardin e rinchiuso, insieme ai confratelli Jacques Rhétiré e Hyacinthe Simon, nell’arcivescovado siro-cattolico. Vi rimase per due anni e per tale ragione i tre furono testimoni di numerosi eventi ed in particolare dei massacri di Mardin orditi contro i cristiani. Come missionario, egli era arrivato a Mosul nel 1884 e aveva svolto mansioni di professore nel seminario inter-rituale di St. Jean; in seguito divenne superiore della stessa missione domenicana. In tale veste, durante la guerra, fu confinato a Mardin, prima di essere espulso in Francia, dove continuò ugualmente ad interessarsi della missione domenicana; a guerra conclusa, riavviò la missione, che trovò quasi completamente distrutta. Nel dicembre del 1921 Benedetto XV, poco prima della morte, lo nominò arcivescovo di Baghdad dei Latini, e poco dopo, il 19 settembre del 1922, Pio XI gli affidò anche l’ufficio di delegato apostolico di Mesopotamia, Kurdistan e Armenia Minore.
Mardin, nel 1914, era una cittadina di 42mila abitanti, c’erano 25mila musulmani e 17mila e 700 cristiani. Il Berré, in un rapporto del 15 gennaio 1919, conservato nel Fondo della nunziatura apostolica in Iraq e conservato nell’Archivio segreto vaticano, riporta delle cifre approssimative dei cristiani uccisi a Mardin e zone limitrofe: 18mila caldei, 2.700 siro-cattolici, 100mila siro-ortodossi, 7mila armeni. Precisa, poi, di non aver potuto valutare il numero degli armeni massacrati nei villaggi delle regioni vicine, quanto al numero dei siro-ortodossi, invece, afferma che si tratta di una cifra «comme un minimum». A proposito dei caldei, Berré rileva di non aver incluso i nestoriani, anch’essi sterminati in gran numero. Poi commenta: la cifra di un milione di morti, riportata da numerose pubblicazioni, non è esagerata.
Questi massacri, si domanda Berré, erano rappresaglie? Gli armeni erano colpevoli? Perché eliminare tutti i cristiani che nella zona di Mardin erano almeno 120mila? Pur riconoscendo che il Comitato rivoluzionario armeno cercava l’autonomia a livello internazionale, ciò non fu a causa dei massacri turchi tra il 1895 e il 1896? Ed aggiunge: nonostante ciò, si deve considerare responsabile tutta la nazione armena? E che dire degli armeni cattolici che non partecipavano ai Comitati rivoluzionari, eppure crudelmente colpiti, a cominciare dall’arcivescovo (armeno-cattolico) Malayan di Mardin, che mai ha avuto a che fare con i rivoltosi? Quindi Berré commenta: le autorità ottomane conoscevano perfettamente ciò, sapevano chi erano i rivoltosi.
Allora, perché non li hanno condotti in tribunale? E quando questo è accaduto, perché li hanno liberati? La ragione – scrive Berré – fu addotta dal generale Djaber Pacha, governatore del distretto di Van, ossia, «che si sarebbe gridato in Europa se li avessimo detenuti»; così si creò il pretesto per sterminare tutta la nazione armena. Si domanda ancora Berré: perché prendersela con donne e bambini? Perché si sono andati a cercare i cristiani lontano dalle zone di guerra, come Urfa, Mardin, Séert, Djézireh? Il presule termina rilevando che i responsabili dei massacri sono il governo ottomano e il comitato “Unione e progresso”; ma anche i germanici, il cui governo fu almeno complice. Il futuro arcivescovo di Baghdad, in conclusione, si augurava che la coscienza delle nazioni civili potesse un giorno mettere in funzione delle commissioni d’inchiesta per rendere giustizia alle innumerevoli vittime.