L’identità fragile dei cristiani, di Ernesto Galli della Loggia
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 5/4/2015 un articolo scritto da Ernesto Galli della Loggia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (19/4/2015)
Cristiana la nostra identità? Ma quando mai! Innanzi tutto non ce lo permette forse neppure la nostra Costituzione; sicuramente poi ce lo vieta l’Europa e ancor più sicuramente ce lo vieta il pensiero dominante. Secondo il quale tutto ciò che ci distingue, infatti, a cominciare dallo stesso termine identità, è sospetto: allude a possibili discriminazioni, esclusioni, persecuzioni.
Se vogliamo essere dei bravi democratici (come vogliamo), possiamo avere quindi solo identità cosmopolite, universali, fruibili e condivisibili senza distinzioni da chiunque, sanzionate da diritti altrettanto universali.
E poiché ognuno di noi deve sentirsi libero di essere qualunque cosa, ne segue che come collettività, come insieme, non possiamo essere nulla, consistere in nulla, identificarci in nulla di storicamente o culturalmente determinato. Neppure lontanamente possiamo pensare, ad esempio, di avere «radici» (ambiguo termine biologico che, come è stato denunciato, solo per questo già sa di razzismo), radici in una storia, in una tradizione, in una cultura. Figuriamoci poi in una religione.
Ancora ancora, grazie al ricordo della Shoah, avvertiamo un leggero soprassalto se ammazzano qualche ebreo in un supermercato parigino o in un museo di Bruxelles. Ma se in una contrada d’Africa o d’Asia da anni abbattono croci e incendiano chiese a decine, fanno schiave e violentano donne solo perché cristiane, se per la stessa ragione decapitano o freddano con un colpo alla nuca chiunque non preghi Allah, non riusciamo a scomporci più di tanto.
Ci trattiene per l’appunto quanto dicevo sopra: quel discorso divenuto obbligatorio con le sue false verità che ci siamo costruiti (o che altri ha costruito per noi) su noi stessi e sul mondo, e nel quale siamo immersi senza scampo.
E del resto, se anche non lo fossimo che cosa fare in pratica contro la caccia al cristiano? Contro chi con il pretesto della religione alimenta un odio instancabile verso tutto quanto sa di Occidente (in cui tra l’altro siamo i primi a non voler essere identificati, un Occidente il quale paradossalmente esiste ormai solo per i suoi nemici)?
Che cosa fare? La sola risposta è il silenzio. Al massimo riusciamo a immaginare vaghi propositi di alleanze mondiali benedette dall’Onu contro lo Stato islamico. Propositi non solo vaghi, ma resi ancora più improbabili da quello che è divenuto un altro principio cardine del nostro bon ton sociale, del discorso pubblico autorizzato: la guerra mai.
Cosicché, anche se invochiamo «mobilitazioni», anche se deprechiamo silenzi e complicità, poi in realtà non sappiamo mai come continuare il discorso, che cosa dire: perché non sappiamo che cosa fare. Perché siamo consapevoli che quando si arriva al dunque, quando si tratta di mettere piede sul sottile crinale che divide la vita dalla morte, specie noi europei — noi dell’Unione Europea voglio dire — siamo paralizzati dal ricordo del nostro passato, la nostra opinione pubblica è trattenuta da mille scrupoli religiosi, da mille cautele filantropiche, da mille obiezioni legalistiche, da mille timori circa le conseguenze politiche. La disumanità avversaria, insomma, può sempre contare sulla nostra coscienziosa umanità; la barbarie anticristiana farsi forte dell’incivilimento cristiano: almeno oggi.
Chi si prende la briga di commentare questo genere di cose su un giornale non può dire di più. Non può andare oltre l’illustrazione di quelli che gli sembrano i termini della questione senza correre il rischio della mosca cocchiera, dell’«armiamoci e partite». Tanto più parlando da questa piccola parte del mondo che è l’Italia. Ma proprio come italiano mi domando: con l’operazione Mare Nostrum abbiamo speso centinaia di milioni per soccorrere, com’era giusto, chi rischiava la vita per raggiungere le nostre coste. Ma non saremmo tenuti allora a mostrare oggi una generosità almeno eguale verso le decine di migliaia di profughi cristiani che si affollano in condizioni disperate nei tanti campi per rifugiati del Medio Oriente?
Non dovremmo loro un aiuto altrettanto sollecito ad esempio per costruire ospedali, scuole, abitazioni? Perché dunque il governo italiano non si fa iniziatore a questo scopo di una grande iniziativa, di una sottoscrizione nazionale tra tutti gli italiani, tra tutte le istituzioni pubbliche e private del Paese, per raccogliere i fondi necessari a un cospicuo invio di aiuti? Ci pensi, presidente Renzi: anche se l’idea non è sua, il grande merito di realizzarla può esserlo. E alla fine è questo ciò che conta: non solo in politica ma anche — mi pare — presso Colui di cui oggi il mondo cristiano celebra la resurrezione.
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