Brani di difficile interpretazione della Bibbia, XXVI. Il cuore del faraone s'indurì, come aveva predetto il Signore (Es 7,13). Le piaghe d’Egitto e la morte dei primogeniti, a partire da una meditazione di don Divo Barsotti
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Riprendiamo da Divo Barsotti, Meditazione sull’Esodo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2008, alcuni brani che commentano le piaghe d’Egitto. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi di difficile interpretazione della Bibbia vedi la sezione Brani di difficile interpretazione della Bibbia. Per ulteriori approfondimenti vedi la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (22/3/2015)
N.B. Tutti brani sono tratti da Divo Barsotti, Meditazione sull’Esodo, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2008.
pp. 85-87
Mosè ed Aronne vanno dal faraone: la missione che essi hanno ricevuto non provoca il peccato del faraone, manifesta però gli oscuri pensieri del suo cuore.
Molte volte ci sembra che Dio ci metta al cimento; e ci mette veramente al cimento; ma non è egli la causa delle nostre cadute, è lui, piuttosto, che ci chiarifica a noi stessi e fa sì che quello che interiormente noi siamo si manifesti anche all'esterno.
Basta che Mosè si presenti in nome di Dio, perché il faraone manifesti tutto l'orgoglio satanico di cui è ripieno. Si dice in altro testo dell'Esodo che il cuore del faraone s'indurì, come aveva predetto il Signore (Es 7,13); ma non si possono prendere alla lettera certe espressioni: nel linguaggio semitico l'espressione vuol dire soltanto che Dio manifestò la durezza di questo cuore, che egli provocò la manifestazione di questa durezza.
Quel che il faraone era prima lo sarà anche da ultimo: è peccatore all'inizio, come è peccatore alla fine; ma Dio vuole precisamente che quello che l'anima nasconde, si riveli anche agli altri. Egli permise che si indurisse il cuore del faraone: molti commentatori pensano così. Ma difficilmente si può riconoscere nella storia del faraone un indurimento progressivo: la sua storia manifesta piuttosto una posizione sempre più ferma, un'opposizione sempre più feroce; ma un'opposizione che non dimostra un cambiamento in peggio del cuore; dimostra piuttosto la furiosa volontà di un uomo che vuole mantenersi fermo nella sua posizione, che non vuol esser vinto, che non vuol esser travolto dalla volontà di Dio. Fin dall'inizio il faraone si oppone a Dio nel modo più pieno; egli non conosce altro Dio all'infuori di sé. Chi è il Signore perché io debba obbedire alla sua voce? (Es 5,2). Egli conosce soltanto se stesso: di fronte alla sua potenza anche Dio deve piegarsi; egli non accetta ordini dall'alto, egli è dio a se stesso.
La durezza del faraone
Difficilmente potrebbe pensarsi un orgoglio più grande: gli avvenimenti che seguiranno non faranno che manifestare i frutti di questo orgoglio, frutti spaventosi di morte, per l'anima del faraone e per il suo medesimo popolo. Questo è il faraone: fin dall'inizio noi lo vediamo, e l'ha visto tutta l'esegesi antica, come l'immagine del demonio, dell'avversario di Dio. Nelle prime parole che dice, riecheggia la rivolta dei primi angeli. Il faraone è la potenza del mondo che si erge contro la potenza di un Dio sconosciuto, di un Dio che è, in fondo, il Dio di un popolo schiavo, di un popolo nomade. - Chi è mai questo Dio di fronte alla mia potenza, di fronte alla mia grandezza? È Dio che deve piegarsi -.
La missione di Mosè è come la missione del Cristo: chiarifica i cuori. Nel Vangelo di Luca, del piccolo Gesù che vien presentato al tempio si dice che egli svelerà quello che è nel cuore degli uomini. Segno di contraddizione: proprio la sua presenza farà più palese l'avversario di Dio. Fintanto che Dio non entra nel mondo con l'incarnazione del Verbo, non è così chiara la presenza operante di Satana nelle nazioni, nel mondo. Ma se aprite il Vangelo lo vedrete pieno di queste manifestazioni sataniche, demoniache.
pp. 91-92
Dobbiamo ora meditare non un breve testo del libro ispirato, ma quasi quattro capitoli dell'Esodo, quelli che riguardano le piaghe che colpirono l'Egitto. D'altra parte non possiamo nemmeno dividere la meditazione di questa narrazione: non possiamo, perché, in fondo, l'insegnamento è unico e anche perché il racconto delle dieci piaghe che colpiscono l'Egitto inaugura, nella letteratura sacra, un genere tutto particolare proprio dei semiti: l'apocalisse. Non che queste pagine siano proprio apocalittiche, ma le apocalissi, che poi si moltiplicheranno nell'imminente vigilia dell'avvento del Cristo, non faranno che ispirarsi a queste pagine divine.
L'era messianica è una liberazione e ripeterà di fatto la liberazione d'Israele dall'Egitto. L'era messianica è anche una nuova creazione. Sia che la si consideri come nuova creazione, sia che la si consideri come liberazione, come salvezza, l'era messianica dovrà essere preceduta da una fine, dovrà essere preceduta da uno sconquasso, dal crollo di un mondo ostile a Dio, di un mondo nemico di Dio. L'alleanza che Dio stringe con tutta l'umanità, dopo la cacciata di Adamo dal paradiso terrestre, è preceduta da un diluvio che sembra precipitare la creazione nel nulla, nel caos. Come un giorno le acque del caos coprivano tutte le cose, così le acque debbono ora ricoprire la terra: non ci sarà più distinzione, divisione di cose, tutto sarà avvolto dalla tenebra.
E da questa tenebra Dio suscita nuovamente la vita, nella salvezza di Noè. Ora non si tratta più di tutta l'umanità salvata in un nuovo Adamo che è Noè: si tratta invece della salvezza di un popolo intero, che però non sarà operata da Dio che attraverso un precipitare nelle tenebre e nella morte di quei popoli, che osteggiano i divini disegni.
La prima volta, dopo la cacciata di Adamo, il precipitare della creazione nel nulla viene compiuto dal diluvio, dalle acque; ora viene realizzato dalle dieci piaghe, ma in modo particolare dalla penultima: le tenebre.
La Genesi narra che al principio le tenebre coprivano l'abisso: sono queste medesime tenebre che ora avvolgono e ricoprono l'Egitto quasi a cancellarlo dalla vita, quasi a cancellare questo popolo e questa nazione dalla creazione divina.
Le piaghe che successivamente Jhwh manda agli egiziani non sono altro che il giudizio e la condanna onde Dio si fa riconoscere veramente come dominatore. Tutta la storia altro non è che il giudizio continuo di Dio sugli avvenimenti umani. Sembra che egli lasci libera azione al male, a Satana, al faraone. Di fatto, la libertà che egli lascia non impedisce però un giudizio cui segue una condanna di morte: può il faraone cercare di opporsi ai divini disegni, ma tutta l'azione che egli eserciterà per contrastare la volontà divina non avrà altro risultato che la rovina, la distruzione, la morte per tutta la nazione, per l'intero paese.
p. 94
Tutta l'umanità non vive perennemente che in clima di apocalisse: i nostri tempi, come i tempi che furono, sono tempi di apocalisse: un giudizio di Dio si opera costantemente per ogni generazione umana, e questo giudizio è la morte. La morte per chi si rifiuta di credere a colui che parla in nome di Dio, la salvezza invece per colui che a questa Parola si affida. Il popolo d'Israele che segue Mosè nel deserto è salvato dalla Parola, invece il popolo egiziano, nella persona del faraone, è condannato alla morte, alla rovina, alla distruzione, ed è schiacciato dalla forza della Parola che il faraone rifiuta.
Tutta la storia dell'umanità non fa che ripetere questo dramma: Dio e Satana che lottano insieme, e il risultato della lotta è sempre la morte ed è la vita. La vita per chi si schiera con Dio, la morte per chi si oppone a lui. E nell'esercito divino tu non t'ingaggi che mediante la fede, la fede prestata a una Parola, a Mosè che parla come messaggero di Dio; e a Satana non ti unisci che rifiutando precisamente questa Parola che Dio ti dice.
pp. 95-96
È castigo quello che per l'uomo dovrebbe essere principio, mezzo, alimento di vita: la creazione, la vita delle cose, le creature, che dovrebbero servire all'uomo, si fanno invece strumento della sua distruzione: le rane, le mosche, le zanzare, le cavallette. La creazione stessa insorge contro l'uomo: le tenebre, poi l'uragano. La creazione e la vita, tutto contro di te; mentre tutto doveva servirti, non soltanto ora tutto ti ostacola, ma tutto è per te strumento di morte.
L'umanità va in rovina proprio per le medesime vie, con i medesimi mezzi che dovevano servire alla sua vita: infatti, stando alla Genesi, tutto doveva servire all'uomo; egli, re del creato, doveva valersi del servizio della creazione intera al suo progresso; ora invece la creazione si rivolta contro di lui.
L'ultima piaga sono le tenebre: con le tenebre il castigo si può dire totale, pieno. Come un giorno il diluvio ha sommerso tutte le cose riducendole quasi nel nulla, nel caos primitivo, così la tenebra confonde le cose, toglie loro ogni forma, come se nulla più fosse: le tenebre sono il simbolo della morte, il simbolo del nulla; di un nulla, di un caos che nuovamente riassorbe e la vita e la creazione divina.
E proprio da questa tenebra uscirà ora Israele per camminare verso Dio. Israele fuggendo dall'Egitto fugge dalla morte, va verso la terra promessa da Dio. Una creazione precipita nel vuoto, nel nulla: l'Egitto; una creazione sorge dalle tenebre e dalle acque del mar Rosso: Israele.
La liberazione d'Israele dall'Egitto è come una nuova creazione divina, dopo questa distruzione e questo annullamento che le tenebre e la morte dei primogeniti non soltanto avevano annunciato, ma avevano in qualche modo profeticamente compiuto.
p. 97
Il Signore disse a Mosè che alla mezzanotte sarebbe passato dall'Egitto per colpire con la morte tutti i primogeniti degli egiziani, ma Israele sarebbe rimasto separato, sarebbe stato salvato dal castigo per il sangue dell'agnello che avrebbe segnato le case d'Israele.
Il passaggio del Signore è dunque da una parte un giudizio di morte, dall'altra salvezza e vita. Questa duplice interpretazione noi la ritroveremo a proposito della morte di Cristo nel quarto Vangelo.
Gesù è l'agnello pasquale che toglie i peccati del mondo, l'agnello che viene ucciso per dare agli uomini la vita. Ma la morte dell'agnello è anche l'atto nel quale, secondo quanto dice Gesù nel quarto Vangelo, il principe di questo mondo vien cacciato fuori. Ora il giudizio si compie - dice Gesù alla vigilia della passione - ora il principe di questo mondo è cacciato fuori (Gv 12,31). Morte e vita, morte e risurrezione: il mistero cristiano è prefigurato in questa pagina dell'Esodo.
p. 98
Il tema dell'agnello, come il tema della morte di un primogenito, già si annunzia nella Genesi. Nei libri successivi all'Esodo noi troveremo ugualmente questi motivi. Il tema dell'agnello lo ritroveremo non più in quanto si riferisce a un rito soltanto commemorativo dell'avvenimento che l'Esodo narra, ma in quanto è anche annuncio profetico di un altro sacrificio che si sarebbe compiuto, nella morte di un uomo, di un inviato, di un profeta. L'agnello è Geremia; sarà poi, in modo ancor più trasparente, il servo di Jhwh (cfr. Is 52,13ss) che si caricherà dei peccati del mondo e sarà immolato in sacrificio di espiazione, per distruggere nella sua morte questi stessi peccati. Finalmente sarà il Cristo medesimo.
Tutto il quarto Vangelo non fa che orchestrare questo tema fin dai primi capitoli. Già il Battista lo presenta: Ecco l'agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo (Gv 1,29), dice indicando Gesù ai discepoli; ed è precisamente nel momento in cui vien consumata dagli ebrei la cena dell'agnello pasquale che l'evangelista narra la passione e l'immolazione di Cristo sul Calvario. Dell'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo parla Pietro nella sua prima lettera, e ne parla Paolo: Pasqua nostra fu immolato Gesù Cristo (1Pt 1,19; 1Cor 5,7).