L'esperienza di Dio è “molto più autistica che neurotipica”. Un ragazzo autistico racconta il suo cammino di fede (da Federico De Rosa)
Riprendiamo dal sito Aleteia un testo tratto dal libro di Federico De Rosa, Quello che non ho mai detto. Io, il mio autismo e ciò in cui credo, Edizioni San Paolo, 2014, pubblicato il 15/3/2015. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Catechesi e disabilità nella sezione Catechesi, famiglia e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (17/3/2015)
La mia riflessione esistenziale, con gli anni, è diventata anche filosofica e religiosa. Immagino che nei miei coetanei neurotipici la riflessione esistenziale sul significato non tanto della vita umana in generale ma della propria vita, il che è infinitamente più coinvolgente, sia iniziata in età più avanzata rispetto a quanto accaduto per me. Loro da bambini la vita potevano viverla, cercando di esplorarla e di goderla. A me tale dimensione era quasi totalmente preclusa.
Penso, in generale, di essere una persona molto incline alla vita interiore, ossia al privilegiare il dentro di me, dove incontro riflessione, percezione e un sottile ma importante rimettere ordine nel proprio vissuto e nelle proprie emozioni. Sicuramente il non essere capace di parlare ha avuto il suo peso in tale mia inclinazione.
Fin da bambino mi trovai di fronte alla terribile domanda del perché mi fosse toccata la sorte dell’autismo, facendo di me uno straniero così diverso da tutti voi. Più grande, passavo molto tempo da solo, cosicché mi fu naturale entrare dentro di me e riflettere su tante cose.
Intorno ai tredici anni mi accorsi che mio padre e i miei fratelli tornavano dalla messa domenicale come trasformati, in meglio. La mia incapacità di parlare mi portava a concentrarmi sull’interiorità dell’altro e avvertivo che dentro di loro qualcosa era mutato. La mia riflessione interiore e solitaria sulla vita si aprì alla dimensione religiosa e, in uno dei miei colloqui al computer con mio padre, gli comunicai che anch’io credevo in Dio e che mi sarebbe piaciuto realizzare un mio percorso di preparazione alla prima comunione.
A mio avviso, ogni essere umano conduce un suo personalissimo percorso di vita, unico e irripetibile come ciascuno di noi. In questo cammino ognuno è portato a interrogarsi sul significato ultimo della propria nascita, della propria vita e della propria morte, sperimentando l’impossibilità della scienza di dare risposte esaustive, perché la scienza si occupa di ciò che è fenomenologico e quindi, in ultima istanza, della materia e delle sue trasformazioni. Le domande ultime della vita umana vanno oltre tale dimensione e solo il cuore può aiutarci nel tentativo di sondarne almeno un po’ i profondi abissi.
Credo che la fede e l’ateismo siano due misteri complementari della vita umana. Ma credenti o atei, siamo tutti in cammino lungo il sentiero della vita. Il fatto che ciascuno abbia il proprio personale e unico percorso da fare non impone che non ci si possa sentire compagni di viaggio, anche tra atei e credenti, nella solidarietà ma anche nel pieno rispetto delle convinzioni degli altri.
Vorrei lanciare un invito. Nessuno pensi che ciò che io scrivo sia giusto o sbagliato, sarebbe troppo facile e troppo sterile. La mia vita non può essere né giusta né sbagliata per voi. Vi invito a fare lo sforzo di lasciare sospeso il giudizio e di lasciar semplicemente scendere nel vostro cuore ciò che vi narrerò e mi auguro che in ciascuno di voi lettori possa nascere dentro anche solo una riflessione totalmente propria e quindi utile per l’unicità del proprio cammino. Papà mi fece conoscere don Ben, un sacerdote veramente cattolico. Siccome “cattolico” vuol dire “universale”, don Ben era serenamente convinto che il messaggio di Gesù fosse davvero rivolto a ogni essere umano e, quindi, agli autistici esattamente come ai neurotipici.
L’entrare in contatto con una realtà che non mi discriminava neanche un po’ fu per me una piacevole sorpresa. Ben organizzò per me una preparazione alla prima comunione che, in termini scolastici, direi “da privatista”. Il mio catechista, Jacopo, veniva a casa mia e si sedeva con me davanti al computer per dialogare delle realtà cui iniziavo ad aprire il mio cuore.
Arrivò così il giorno della mia prima comunione, in una chiesa quasi vuota per la messa pomeridiana, e fu uno dei più bei momenti di unità della mia famiglia che io ricordi.
Poco dopo scrissi che volevo prepararmi per la cresima e recuperare così i miei coetanei che erano impegnati nello stesso percorso. Papà e mamma si misero in contatto con don Ben che stavolta mi trovò un gruppo di preparazione alla cresima costituito da ragazzi e ragazze più o meno della mia età.
I miei genitori incontrarono con don Ben questi ragazzi per spiegare loro l’autismo e tutte le strane forme del mio comportamento, in modo che avessero le conoscenze e gli strumenti per entrare in contatto con me. Così la mia ricerca esistenziale smise di essere solo interiore e ogni settimana mi ritrovavo con un gruppo di coetanei a discutere di temi profondi, loro a voce e io per iscritto con il mio pc.
In fondo a questo libro ho raccolto alcuni scritti, e tra questi ne troverete uno che riporta un breve diario della mia esperienza in questo gruppo, con alcune delle cose che ho “detto” durante i dibattiti negli incontri.
Nel gruppo di preparazione alla cresima ho conosciuto degli eroi del quotidiano, ragazze e ragazzi che non si sono mai lasciati toccare dal timore per gli aspetti più inquietanti del mio autismo ma sono rimasti fedeli alla percezione profonda della mia umanità bisognosa d’aiuto. Ecco una cosa in cui i ragazzi sono stati più bravi e capaci degli adulti. Si pensa sempre che chi è molto giovane debba imparare da chi è adulto. Nella capacità di integrarmi è stato l’esatto contrario. Lo dico a tutti gli adulti: state attenti. Arrivano i momenti in cui i giovani e perfino i vostri figli possono insegnarvi qualcosa di importante e rischiate di non accorgervene. Il fatto che tante volte siate voi a insegnare, non vuol dire che sia sempre così.
Nel Gruppo Cresima ho trovato tanti veri e grandi amici. Non solo Gabriele ma anche Francesca, detta “la mia voce” perché durante gli incontri leggeva a tutti ciò che io scrivevo. Poi c’era Riccardo, che ancora oggi suona con me le percussioni alla messa dei giovani. E poi ancora l’altra Francesca detta “Pizia” e Andrea detto “Feffe”, Maria Carlotta, Enrico. Insomma, non posso citarli tutti perché saranno una quarantina ma vi prego di credere che ciascuno di loro, qui citato o no, mi ha amato, cercato, aiutato. Discutendo, suonando, mangiando, facendo viaggi insieme abbiamo vissuto la piena integrazione. Ricordo con grandissimo affetto anche i vari catechisti che si sono alternati nel seguirci e che sempre hanno cercato una relazione con me.
Io l’ho vissuto.
Non esiste al mondo persona esclusa che non possa essere recuperata a una dimensione di integrazione. Basta crederci e darsi da fare, i mezzi si trovano.
In concreto, è stato molto importante per me avere un appuntamento fisso ogni settimana: uscivo di casa con papà e con il mio computer portatile per andare in parrocchia a confrontarmi con i miei coetanei, non come esperienza occasionale ma essendo integrato stabilmente in un percorso di crescita insieme che prevedeva anche uscite, la partecipazione alla messa domenicale insieme e tante altre attività. Neurotipici loro e autistico io, siamo stati una piccola comunità senza distinzioni.
Dopo la Cresima il gruppo ha proseguito le sue attività con regolarità. L’esperienza più bella che abbiamo fatto insieme è stata la settimana passata presso la Comunità Monastica di Bose. Proiettato in quella realtà, ho potuto sperimentare l’incontro tra il mio autismo e la vita monastica che lì si condivide. Devo dire che per alcuni versi è una vita faticosa per un autistico, perché quasi ogni istante è pieno di un’esperienza esistenziale così intensa che si rasenta a volte la crisi. I miei ritmi sono diversi dai vostri ma soprattutto, mentre appaio assente e magari parlotto tra me, avverto interiormente e in modo forte, direi senza difese, l’esperienza che si sta vivendo.
E' come se fossi incapace di rifugiarmi un istante nella superficialità a riprendere fiato, meccanismo che invece a voi neurotipici vedo scattare in modo così efficace. Vi dà flessibilità, vi consente di allentare un attimo quando serve, per poi riprendere.
A Bose, però, ho anche fatto esperienze bellissime, innanzitutto di forte relazione con Dio. E' una relazione senza parole udibili, in cui si comunica con gli stati del cuore e direi quindi un’esperienza molto più autistica che neurotipica.
Ci sono luoghi, secondo me, in cui la forte concentrazione di persone che con dedizione e metodo cercano Dio rende il cielo come più sottile, più facile l’incontro di un’anima con Dio, cosicché alla partenza dopo un soggiorno quasi tutti esprimono di aver vissuto giornate non solo molto belle ma anche spiritualmente significative.
E' come se lì, in virtù del tanto e continuo cercare Dio, lo Spirito fosse all’opera in modo particolare. Bose, secondo me, è uno di questi luoghi. E' anche un posto in cui una persona diversa come me può essere accolta e sperimentare un’integrazione compiuta, l’essere trattati come tutti gli altri pur nella coscienza della diversità. Vi consiglio vivamente di passare qualche giornata a Bose e, se ci andate, salutatemi tanto Luciano, Marco, Alessia, Lara, Chiara, Silvie, Mathias e tutte le amiche e gli amici di quella comunità.