L'analogia “Dio è un elefante”. Una risposta cattolica all'argomentazione dei ciechi e dell'elefante, di Garrett Johnson
Riprendiamo dal sito Aleteia un articolo di Garrett Johnson pubblicato il 3/3/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Dialogo fra le religioni all'interno della sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (8/3/2015)
Argomentazione: Quattro ciechi inciampano su un elefante. Ognuno di loro inizia a tastarlo per capire cosa sia esattamente: un uomo esamina la coda, un altro la proboscide, un altro ancora una zampa anteriore... Dopo un po', raggiungono delle conclusioni e iniziano a descrivere le reciproche impressioni. Quello che ha esaminato la coda dice che si tratta di un serpente, quello che ha esaminato la zampa anteriore dice che è il tronco di un albero e così via. Evidentemente ogni uomo dà una risposta diversa, tuttavia ciascuno a modo suo è piuttosto accurato e corretto, almeno da una prospettiva limitata.
Questa analogia è una di quelle preferite da coloro che cercano di “democratizzare” le varie religioni del mondo, livellandole come se ciascuna fosse preziosa o “accurata” tanto quanto un'altra, perché aiuta l'uomo ad arrivare a Dio. Ciascuno parla in modo diverso e sostiene uno stile di vita, una forma di adorazione, delle pratiche... Anche quando le conclusioni sono radicalmente divergenti, tuttavia, ogni uomo sta facendo onestamente del suo meglio per descrivere lo stesso elefante, o – per analogia – lo stesso Dio. Questa argomentazione cerca di mettere tutte le religioni sullo stesso piano e di giudicarle ritenendo che ciascuna sia “vera”.
Risposta:
1. Iniziamo dai fatti. L'elefante è un fatto, e lo stesso vale per Dio. Alla domanda “L'elefante esiste?”, ci sono una risposta giusta e una risposta sbagliata. Lo stesso si può dire sulla domanda relativa all'esistenza di Dio. Sarebbe assurdo se uno dei ciechi dicesse “A mio avviso non c'è alcun elefante” (l'ha appena esaminato! È ovvio che ci sia un elefante!) Di conseguenza, non tutte le opinioni sono “uguali” o “vere”.
2. La nostra conoscenza di Dio è limitata. Da un certo punto di vista, l'argomentazione è interessante perché sottolinea la grandezza di Dio, la sua natura infinita. Essendo creature finite, evidentemente siamo incapaci di cogliere o di esaurire chi sia Dio con le nostre idee e le nostre convinzioni religiose. Ad esempio, quando parliamo di Dio, che è di una sola natura e allo stesso tempo tre persone (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo), non possiamo fare a meno di rimanere stupiti dalla grandezza del mistero. Possiamo avvicinarci e accennare a Dio nel nostro linguaggio e nei nostri concetti umani, ma riconosciamo che non sono sufficienti.
3. Purtroppo i ciechi non sono solo limitati, perché sbagliano. Se l'argomentazione prova qualcosa, più che provare che tutte le religioni sono corrette prova che sono tutte ugualmente sbagliate. L'elefante non è sicuramente un serpente o il tronco di un albero, eccetera. C'è una pienezza non identificabile da una prospettiva limitata, o con l'impressione inattendibile di un cieco, o perfino con un insieme di quattro impressioni diverse e limitate.
4. I ciechi sono esattamente questo, ciechi. Cosa succederebbe se arrivasse un quinto uomo, che non è cieco come gli altri quattro? L'argomentazione ignora completamente la possibilità della Rivelazione. Come cattolici, crediamo che Dio si riveli in realtà create (CCC 54), attraverso le alleanze (CCC 56-64) e infine in Cristo Gesù, “mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione” (CCC 65-67).
Crediamo che, “disceso dal cielo” (Gv 3,13), Cristo sia venuto a rivelare realtà sulla natura di Dio che noi uomini, nella nostra cecità, non avremmo potuto conoscere se non grazie all'aiuto di un evento così straordinario. Era davvero l'ultima rivelazione fisica di chi è Dio.
La storia stessa (e non solo quella che abbiamo grazie agli storici cristiani) ci informa in modo affidabile che un uomo di nome Gesù ha insegnato e predicato in Palestina e nella Giudea. Gesù è diventato un elemento talmente scomodo per i poteri ebraico e romano da essere stato torturato e messo a morte.
Se accettiamo la premessa fattuale che Gesù sia vissuto davvero (dopo tutto, questo è concesso dagli atei e dai credenti in religioni non cristiane), allora ci troviamo di fronte a tre opzioni relative a chi fosse, una delle quali deve essere vera. O era un pazzo o un bugiardo o era davvero chi diceva di essere: Dio.
Ciascuno di noi è chiamato a scegliere, ma vivendo dopo Cristo non possiamo più parlare di verità equamente parziali quando c'è stato qualcuno che ha detto:
“Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]