Un’insegnante di Corano racconta la sua battaglia «contro l’odio che dilaga nelle moschee italiane», di Benedetta Frigerio
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Benedetta Frigerio pubblicato il 28/2/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Islam, nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (6/3/2015)
Stringe gli occhi neri e si sistema il velo colorato con una mano, mentre con l’altra gesticola con piglio deciso, infiammandosi mentre spiega che «io devo combattere, per me, i miei figli e le mie alunne per salvarci dal fondamentalismo che si è infilato dentro l’islam». Per A. S., musulmana marocchina in Italia da oltre dieci anni, insegnante di Corano nella moschea della città in cui vive, il fondamentalismo «è una bestemmia contro Dio, che dura da troppi secoli. Un’interpretazione fuorviante che d’altronde lo stesso Profeta aveva previsto».
Lei quando si è accorta che la situazione all’interno del mondo islamico era così grave?
Lo so da sempre, ma dopo l’attentato di Parigi mi sono davvero spaventata. Ho sentito le ragazze della mia classe, che sono circa una trentina, piene di odio verso il mondo occidentale, dirsi pronte a sostenere quei terroristi. Erano sicure che la colpa di quanto successo fosse “vostra”, di tutto il vostro mondo. «Se lo meritano», ripetevano. So che si sentono emarginate e so anche perché: quella “tolleranza” che in realtà serve solo a tenersi a distanza gli uni dagli altri, la conosco per averla provata sulla mia pelle. Ma sentire le ragazze parlare in quel modo mi ha scioccata ugualmente, mi chiedo che fine faranno da adulte se non cambieranno concezione. Purtroppo è sotto i miei occhi: l’ateismo dell’Occidente, unito al vuoto di un islam che ha ridotto la fede a rituale, sta lasciano campo libero all’interpretazione fondamentalista che oggi va per la maggiore anche nelle moschee italiane.
Ma lei cosa ha risposto quando le sue studentesse hanno preso le parti dei terroristi?
Le ho spronate a scrivere su un quaderno tutto quello che pensavano, mentre io sono tornata a casa e ho lavorato tutta notte sul testo del Corano, in versione italiana perché le ragazze sono cresciute qui. Ho messo insieme tutti i versetti in cui si spiega cosa deve fare un musulmano quando il Profeta o Dio vengono insultati: «Quando sentite che vengono smentiti o sbeffeggiati i segni di Allah, non sedetevi con coloro che fanno ciò, fino a che non scelgano un altro argomento. (…) Che facciate il bene pubblicamente o segretamente o perdoniate un male, Allah è indulgente, onnipotente». Poi ho chiesto loro: «Sapete chi è “il fallito” secondo il Profeta?». Ovviamente non lo sapevano, quindi ho letto loro questo passaggio: «Il fallito della mia Comunità è colui che viene nel giorno del Giudizio con al suo attivo l’osservanza della preghiera, il digiuno, la zakat (l’elemosina per i bisognosi), ma viene portando anche odiose opere nei confronti degli altri: insulto, maltrattamento, furto, violenza e omicidio. Così, le sue buone azioni andranno in compenso a coloro ai quali ha fatto torto. Quando le buone azioni sono esaurite senza che abbia saldato il conto, gli tocca prendere le cattive opere altrui ed aggiungerle alle proprie ed in ultimo, viene gettato nell’inferno». Quando ho finito di leggere non potevano credere alle loro orecchie e si sono scatenate con le domande. Poi ho ricordato loro che le seguo da due anni e so che tante di loro non pregano né leggono il Corano: per questo sono schiave di chi lo interpreta senza tener conto del momento storico (anche di guerra) in cui è stato scritto, ben 1.400 anni fa. Poi ho chiesto: «Credete che Dio sia più contento se alimentate l’odio che già c’è o se lo invocate e fate del bene in suo nome?». Sono rimaste in silenzio.
E i loro genitori?
Una delle ragazze è venuta in moschea il giorno dopo senza aver scritto le considerazioni sui fatti di Parigi. Era triste perché il padre glielo aveva proibito dicendole che di quelle cose non si deve parlare. Ed è così per la maggioranza di loro: i genitori non le educano, le mandano da me solo per imparare l’arabo e una certa tradizione. Così le ragazze vanno a cercare risposte altrove, e quelle che trovano e che vanno per la maggiore provengono proprio dal fanatismo della maggioranza.
Come si è comportata di fronte al disappunto dei genitori di quella ragazza?
Ho sfidato lei e le altre, ho chiesto perché secondo loro gli occidentali dipingono il Profeta sempre arrabbiato e lo vedono come un guerrafondaio. Non sapevano che dire. «Se noi siamo sempre arrabbiati – ho detto – se siamo violenti e litighiamo continuamente anche fra di noi è ovvio che pensino che il Profeta sia così». Dall’altra parte, però, so che tutto questo odio attecchisce in loro perché spesso qui non si sentono rispettate, ma private del loro valore. Ma ho spiegato loro che se vogliono il rispetto se lo devono guadagnare: «Troppo spesso pensiamo a ballare, a mangiare e a fare il minimo indispensabile. Sì, facciamo i figli, ma poi cosa sarà di loro se non li educhiamo? Per avere valore all’interno di una società dovete conoscerla, rispettarla, contribuire a costruirla, dovete studiare, sapere alla lettera il Corano e diffondere una cultura di pace. Altrimenti sarete usate da chi vuole diffondere odio».
Loro hanno capito?
Eccome. Tante di loro mi cercano perché a me possono chiedere le ragioni di tutto, si sentono volute bene e cambiano. C’è una ragazza che all’inizio veniva considerata dalle altre come una ribelle, perché anziché assoggettarsi alle usanze voleva capire il perché di tutto. Esattamente come facevo io alla sua età. Aveva provato anche a chiedere a sua madre perché era musulmana, ma lei non le ha risposto. Quindi è venuta da me. Io le ho detto: «Prega, studia il Corano con me e capirai se vuoi essere musulmana anche tu». È quello che sta facendo. Un’altra mi ha domandato il motivo degli attacchi subiti dalla nostra comunità in seguito alla strage di Parigi: «Pensano che la nostra sia una religione di odio e quindi ci impediscono di pregare, ma tu puoi farlo anche in casa rivolgendoti ad Allah con il cuore». Lei ha cominciato a farlo e un giorno mi ha scritto: «Sei meglio della mia mamma». Capisco di andare contro corrente, gli stessi genitori preferirebbero che non parlassi di certe cose, ma se mi mandano qui le loro figlie, io le educo a farsi tante domande e a cercare risposte buone.
E se qualcuna di loro abbandonasse l’islam?
Secondo la sharia, che è un’interpretazione del Corano, chi si converte deve morire, e tanti nella comunità musulmana ormai la pensano così. In realtà credo che sia più appropriato pensare che Dio non si vendichi.
Come fa ad essere così libera?
Siamo pochi ma non sono l’unica. Comunque ho sempre domandato le ragioni di tutto, ho avuto una nonna che mi ha educata a farlo e a parlare con Dio come a un padre buono. Purtroppo invece in molti ambiti l’islam è ridotto a una serie di pratiche. Vedo gente pregare cinque volte al giorno: si sentono a posto così e magari fuori dalla moschea vivono come atei. Ho dovuto smettere di portare in moschea mio figlio, per colpa della condotta violenta di alcuni fra i più praticanti: non capiscono che Dio onnipotente non ha bisogno che tocchiamo la terra con la testa, non ha bisogno di parole vuote, ma solo di preghiere fatte con il cuore e di una condotta buona.
Se questo è il clima, perché continua ad andare in moschea?
Perché noi non ci dividiamo, proprio per portare la gente a capire la vera fede. Ad esempio, una ragazza delle mie, che quando è arrivata era assolutamente ignorante e piena di rabbia, ha incominciato a rivolgersi ad Allah come a un padre, a studiare il Corano con me e a frequentare l’università, liberandosi dall’odio.
Senza un’autorità riconosciuta da tutto l’islam, come si può eliminare il rischio di una interpretazione violenta del Corano?
Spero in una revisione delle interpretazioni fuorvianti dell’islam, come ha chiesto il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi. Ma d’altronde anche il Profeta l’aveva previsto che dopo di lui ci sarebbe stato un gruppo di violenti che avrebbe mal interpretato il suo testo. Questo rischio si combatte solo con la fede coerente aiutando le persone a pensare.
Papa Benedetto XVI a Ratisbona ha detto che il fondamentalismo si combatte con una fede ragionevole.
Certo. Sono perfettamente d’accordo.