Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio, di padre Pietro Messa
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Riprendiamo sul nostro sito, per gentile concessione dell’autore, un suo testo pubblicato con il titolo Pietro Messa, Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio (Cortona francescana, 2), Accademia Etrusca, Cortona 2005. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (22/2/2015)
Breve nota introduttoria de Gli scritti ad indicare la grande importanza di frate Elia e la sua vicinanza a frate Francesco
Incipit epistola super vita beati Francisci. Venerabili et reverendo patri fratri Helie minorum fratrum generali ministro. Glorosissimi patris nostri Francisci vitam quam domino papa Gregorio iubente, sed te pater edocente.
Così inizia il nuovo manoscritto ritrovato da Jacques Dalarun (pubblicato in Jacques Dalarun, La vie retrouvée de François d’Assise, Éditions Franciscaines, Paris 2015. La traduzione italiana è pubblicata dalla rivista Frate Francesco nel secondo fascicolo del 2015):
Dall’Incipit appare immediatamente evidente che lo scritto deve essere datato fra il 1232 e il 1239 – infatti, frate Elia d'Assisi fu ministro generale dei frati Minori dal 1232 al 1239. Inoltre emerge con chiarezza che l’autore è Tommaso da Celano, poiché è lui che scrisse la prima vita domino papa Gregorio iubente.
Infine emerge che l'informatore principale nella scrittura della Vita beati Francisci, ossia la cosiddetta prima Vita di san Francesco, fu frate Elia: te pater edocente. Essendo quest'ultimo contemporaneo e conterraneo di Francesco di Pietro di Bernardone - nati entrambi ad Assisi agli inizi degli anni ottanta del XII secolo - l'attendibilità storica di quanto scritto dal Celano è di particolare rilievo.
Il manoscritto ritrovato ci presenta così una "vita intermedia" fra la prima e la seconda vita scritte da Tommaso da Celano: probabilmente la Prima vita doveva essere troppo lunga e pertanto ritenuta inadatta come Legenda - cioè testo da leggere nella liturgia o nei momenti comuni - ed il Celano redasse allora una vita abbreviata.
La nuova vita non sembra particolarmente innovativa rispetto alla precedente ed alle successive, ma permette, invece di chiarire quanto frate Elia fosse vicino a San Francesco ed al suo modo di condurre l'ordine, contrariamente alla vulgata corrente che lo vede come uno che gli si sarebbe in qualche modo opposto, vulgata peraltro già demolita da studi come quello di padre Pietro Messa che qui viene presentato.
Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio, di padre Pietro Messa
In occasione del 750° anniversario della morte di frate Elia sono stato invitato a Cortona nel 2004, a tenere una conversazione dedicata a L’esperienza cristiana e la memoria di frate Elia. L’incontro si svolgeva anche in relazione alla presentazione di alcuni testi pubblicati dall’Accademia etrusca della città riguardanti lo stesso frate Elia[1]. È stato un momento culturale davvero fecondo, sia per la numerosa partecipazione di pubblico, sia per la qualità del dibattito che ne è scaturito. Erano presenti i rappresentanti delle diverse famiglie francescane di Cortona, ossia i Conventuali della Chiesa di San Francesco, i Cappuccini delle Celle e i Minori del Santuario di Santa Margherita, ma anche semplici cittadini, fra cui il Sindaco, interessati a conoscere meglio una figura di rilievo della loro terra. Organizzato dall’Accademia Etrusca di Cortona e svoltosi nella Biblioteca comunale, tale incontro ha rappresentato l’occasione per puntualizzare l’importanza della presenza francescana nella città, al punto che ne è scaturita l’idea di dare inizio ad una serie di iniziative inerenti alla “Cortona francescana”. A cogliere subito questo spunto è stata l’Accademia etrusca che ha dato avvio ad una collana il cui primo numero è dedicato alla reliquia della Croce Santa[2] che frate Elia dall’Oriente portò in quello che ormai era diventato il suo paese d’adozione.
L’interesse maturato nell’ambito dell’incontro, la profondità delle domande e delle osservazioni dell’uditorio mi hanno spinto, prima di tutto, a riconoscere l’importanza di momenti culturali che aiutino il pubblico più vasto a comprendere la propria storia, anche per poter trovare risposta ad interrogativi legati al presente e difficili da affrontare. In relazione a ciò ho sentito la necessità di scrivere quanto emerso durante il dibattito, non tanto con l’intenzione di intraprendere un lavoro scientifico, quanto di rendere accessibile a tutti la vicenda di Elia a partire dalle fonti. Ritengo, quindi, il presente fascicoletto risultato di una sorta di “laboratorio culturale” che ho avuto modo di allestire con un gruppo numeroso e assai attivo di “concittadini” di frate Elia.
Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio
Ci sono dei momenti della storia che vengono colti come fasi di passaggio e questo non soltanto nella storia più generale, ma anche in quella particolare di una persona, di un gruppo, di una comunità. Così per anni si è definito l’avvento di Bonaventura da Bagnoregio come ministro generale dell’Ordine dei Frati minori, il 2 febbraio 1257, come un punto di svolta nella storia minoritica che da quel momento poteva essere distinta tra un prima ed un dopo. Tuttavia, alcuni indicano come anno di passaggio il 1239, quando il laico frate Elia fu dimesso da ministro generale in favore del sacerdote frate Alberto da Pisa. Un passaggio non semplice se si pensa che da quel momento l’ormai ex-ministro generale ruppe non solo con l’Ordine, ma anche con il papato tanto da incorrere nella scomunica, essendosi rifugiato presso l’imperatore Federico II. Ma cosa accadde realmente in quell’anno che segnò il passaggio di frate Elia da Assisi, dove era ministro generale, a Cortona, dove morì nel 1253? Forse nella risposta a tale interrogativo si può anche scoprire il motivo per cui frate Elia d’Assisi divenne Elia da Cortona.
Tuttavia, prima di tentare una possibile risposta a tale questione, c’è una domanda preliminare da porsi, quella, cioè, relativa al chi era realmente frate Elia. A questo riguardo si deve prendere atto che, normalmente, mentre di frate Francesco d’Assisi si tende a cogliere l’“esperienza cristiana”, di frate Elia si studia la capacità di governo, ossia l’importanza istituzionale, oppure il ruolo che ricoprì, soprattutto per quel che riguarda il suo spirito imprenditoriale, attraverso la ricerca di denaro, nel seguire la costruzione di chiese importanti quali la Basilica di San Francesco in Assisi e la Chiesa di San Francesco in Cortona. Ad interessare furono, poi, anche i suoi interessi cosiddetti esoterici, come il darsi all’alchimia, ma rimane da chiedersi chi fu veramente frate Elia.
In una fiction televisiva che si rispetti, frate Elia ricoprirebbe senz’altro il ruolo del cattivo che si contrappone al buono e mite san Francesco ed ai suoi compagni, in primo luogo frate Leone, pecorella del Signore, e, subito dopo, il pacifico sant’Antonio da Padova, sostenuti questi ultimi dalla preghiera di santa Chiara, rinchiusa presso la chiesa di San Damiano in Assisi. Tuttavia, tali stereotipi non reggono ad un’analisi più approfondita, soprattutto se si tiene conto del genere agiografico e delle finalità più o meno polemiche delle diverse fonti. Infatti, ad un’analisi dettagliata dei documenti i ruoli non risultano essere così scontati.
Gli antefatti
Certamente punto di svolta della vicenda di frate Elia fu il 1239, ossia la fine del suo governo dell’Ordine, con il conseguente trasferimento da Assisi a Cortona. Tuttavia, ciò che accadde in quell’anno è comprensibile soltanto alla luce di ciò che era avvenuto precedentemente.
1.1 Elia Bonusbaro
Nato probabilmente ad Assisi nel 1180 circa e soprannominato Bonusbaro, ossia Buonbarone, Elia era coetaneo di Francesco di Pietro di Bernardone, anche se socialmente di classe inferiore. Entrò nella fraternitas minoritica tra il 1210 e il 1216, all’età di circa 35 anni. Egli, quindi, fece parte di quel gruppo di frati cosiddetti della seconda generazione che si unirono a Francesco dopo il viaggio a Roma da Innocenzo III per la conferma della forma vitae, vale a dire l’iniziale regola di vita della fraternità minoritica. Certamente conobbe Francesco prima della conversione di quest’ultimo, se si dà credito a ciò che Salimbene de Adam afferma circa le sue origini: «Il padre di frate Elia era di Castel de’ Britti, nella diocesi di Bologna, la madre era invece di Assisi»[3]. Certamente egli fu vicino a Francesco quasi fosse uno dei compagni, tanto che una certa tradizione storiografica, volendo togliere dall’anonimato l’amico che avrebbe avuto la confidenza di Francesco, ancora prima della sua conversione[4], ha ipotizzato il nome di Elia, oltre a quello di Leone[5].
1.2 Frate Elia vicarius
Frate Elia, assieme a frate Pietro Cattani, ebbe l’onore di essere denominato “vicario dell’Ordine dei Frati minori”, quando ancora era vivo frate Francesco d’Assisi[6]; se nel 1217 gli fu riconosciuta una dote amministrativa, tanto da farlo provinciale della Siria, quattro anni dopo, nel 1221 gli fu affidata la carica di ministro generale o vicario, come si voglia dire. Infatti, il 10 marzo 1221 morì Pietro Cattani e già nel successivo capitolo di Pentecoste, iniziato il 30 maggio, fu lo stesso frate Elia a svolgere un servizio che, se da una parte sembrava quello di semplice portavoce di Francesco, dall’altra lo faceva apparire come il superiore a tutti gli effetti, come testimonia Giordano da Giano:
Alla fine di questo capitolo, o meglio quando esso volgeva alla conclusione, il beato Francesco si ricordò che non si era ancora impiantato l’Ordine in Germania. E poiché egli era allora malato, qualsiasi cosa volesse da parte sua dire al capitolo, la faceva comunicare da frate Elia. E il beato Francesco, restando seduto ai piedi di frate Elia, tirò costui per la tonaca. Questi, inchinatosi verso di lui, ascoltò con attenzione che cosa gli diceva, poi rizzatosi disse: “Frati, così dice il fratello – indicando il beato Francesco che era chiamato per eccellenza ‘fratello’ dai frati –: C’è un paese, la Germania, in cui vivono uomini cristiani e devoti [...]. Se ci sono alcuni che vogliono andarvi, si alzino in piedi e si pongano in gruppo a parte”[7].
Siamo qui di fronte ad un Elia che agisce in perfetta sintonia con Francesco, dal quale ha ottenuto fiducia probabilmente perché associa la tensione ideale tipica degli inizi della fraternitas minoritica ad un pragmatico senso della realtà. Forse è Elia stesso il ministro a cui Francesco, dopo la Regola non bollata del 1221 e prima della conferma della Regola bollata il 29 novembre 1223, inviò una lettera in cui afferma come lo stare con i frati amandoli valga più che ritirarsi in un eremo[8]. Questa ipotesi non significa che Elia fosse a tutti gli effetti il ministro generale, visto che quando Onorio III, il 29 novembre 1223, confermò la Regola bollata indirizzò la lettera di conferma Solet annuere a frate Francesco e ai frati dell’Ordine dei Frati minori: «Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli, frate Francesco e agli altri frati dell’Ordine dei frati minori, salute e apostolica benedizione»[9]. Tuttavia, Francesco riconobbe Elia quale ministro generale, come testimonia la sua lettera a tutto l’Ordine scritta negli anni 1224-1226: «A tutti i frati, ai quali debbo riverenza e grande amore, a frate H., ministro generale della Religione dei frati minori, suo signore, e agli altri ministri e custodi e sacerdoti della stessa fraternità, umili in Cristo, e a tutti i frati semplici e obbedienti, primi e ultimi»[10].
Come Francesco, anche Elia inviò lettere ai frati, come risulta da ciò che scrisse ai frati di Valenciennes, nella diocesi di Cambrais, ordinando loro di eseguire quanto comandato dal papa, ossia il trasferimento dentro le mura cittadine.
Dopo la morte del Santo frate, Elia convocò un capitolo straordinario nel 1227 a cui erano presenti solo i “ministri”, ossia coloro che, secondo le disposizioni della Regola bollata, avevano il potere di eleggere il nuovo generale:
Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di questa Religione come ministro generale e servo di tutta la fraternità e siano tenuti fermamente ad obbedirgli. Alla sua morte, l’elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel capitolo di Pentecoste, nel quale i ministri provinciali siano tenuti sempre a radunarsi insieme, dovunque avrà stabilito il ministro generale; e questo, una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato[11].
Nel capitolo fu eletto frate Giovanni Parenti, «cittadino romano e giudice, nato a Civita Castellana»[12], il quale, come da prassi, scelse personalmente coloro che lo avrebbero coadiuvato nel governo dell’Ordine e nel 1230 istituì i nuovi ministri provinciali. La linea del nuovo generale fu molto accentratrice, tanto da istituire dei visitatori da lui stesso nominati, secondo le prescrizioni del Concilio lateranense IV del 1215. Compito di tali visitatori era quello di presenziare ai capitoli provinciali, riferendo al ministro generale: in questo modo quest’ultimo aveva un governo quasi personale sulla vita delle province[13].
Per frate Elia l’elezione di frate Giovanni Parenti non fu una sconfitta avendo ricevuto nientemeno che dallo stesso papa Gregorio IX il compito di interessarsi della costruzione di quella Ecclesia specialis che in Assisi avrebbe custodito le spoglie di frate Francesco, il quale nelle intenzioni del Pontefice doveva essere canonizzato a breve termine[14]. Il terreno per la costruzione della basilica fu dato da Simone Puzarelli a frate Elia, in quanto rappresentante di Gregorio IX, il 29 marzo 1228, mentre il mese successivo, il 29 aprile, il papa concedeva mediante la lettera Recolentes qualiter indulgenze a coloro che avessero contribuito all’edificazione della nuova chiesa.
Nel luglio dello stesso anno Gregorio IX canonizzò frate Francesco che da quel momento diventava sempre più fondatore di un Ordine religioso al cui interno aumentava sensibilmente la presenza di chierici e frati colti i quali avevano studiato teologia, soprattutto nella prestigiosa università di Parigi. Inoltre, molti tra questi non avevano conosciuto Francesco che rimaneva per loro unicamente il Santo fondatore di un Ordine religioso sempre più prestigioso.
1.3 Frate Elia sicut mater
Frate Elia restava, comunque, un personaggio di spicco, essendo tra coloro che erano stati vicini, per non dire compagni, di Francesco, come mostra anche la Cronaca di Giordano da Giano che descrivendo nel 1262 fatti accaduti nel 1223 accosta, quasi fossero un’unica identità, Francesco ad Elia: «Nello stesso anno [1223] frate Cesario [...] se ne tornò dal beato Francesco o da frate Elia, e da questi e dagli altri frati fu benevolmente ricevuto»[15]. Sempre secondo Giordano da Giano, dopo aver saputo cosa accadeva nell’Ordine durante la sua assenza, Francesco tornò in fretta dall’Oriente portando con sé alcuni frati di fiducia:
Il beato Francesco, presi con sé frate Elia, frate Pietro Cattani e frate Cesario – quello che frate Elia, in qualità di ministro della Siria, aveva ricevuto all’Ordine, come è stato riferito sopra – e altri frati, se ne tornò in Italia. E qui, dopo aver capito più a fondo le cause dei disordini, non si recò dagli agitatori, ma dal signor papa Onorio[16].
I frati che Francesco porta con sé e che sono indicati col proprio nome dal cronista sono tutti personaggi di rilievo nella storia minoritica: Pietro Cattani sarà il primo “vicario”, frate Elia il secondo, mentre Cesario da Spira aiuterà Francesco a stendere la Regola mediante inserzioni bibliche.
Lapide mortuaria di frate Pietro Cattani, morto nel marzo 1221, posta sul muro esterno della Porziuncola presso Assisi.
Un Elia, quindi, vicino a Francesco quasi fosse uno dei compagni, tanto che una certa tradizione storiografica ha ipotizzato un’amicizia con il Santo ancora precedente alla sua conversione. Se questa è una mera ipotesi, in alcun modo verificabile, veritiero ed indicativo del legame di Elia con Francesco è, invece, quanto scrive nel 1228 Tommaso da Celano. Il primo agiografo del Santo narra come un giorno Francesco arrivò con tre compagni a predicare a Sangemini, nella diocesi di Narni e vi liberò un’indemoniata; tornato a distanza di tempo in quel luogo la medesima donna che aveva ottenuto la guarigione voleva ringraziarlo, ma egli rifiutò fino a quando non intervenne il suo compagno di viaggio, ossia frate Elia, a persuaderlo della bontà della cosa[17].
Tale episodio mostra un frate Elia che nei confronti di Francesco ha un duplice ruolo, di compagno di viaggio, ma anche, in un certo senso, di protettore quasi materno nel correggere certi suoi atteggiamenti che potevano risultare troppo duri. Tale situazione, che potremmo definire di richiamo alla discrezione, la ritroviamo anche quando frate Elia esercita una certa pressione su Francesco perché accetti di farsi curare gli occhi. Infatti, Tommaso da Celano scrive che, dal momento che la malattia agli occhi
si aggravava di giorno in giorno e sembrava peggiorare per la mancanza di cure, infine frate Elia, che Francesco aveva scelto come madre per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a non rifiutare i rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la testimonianza della Scrittura [...]. A quelle parole Francesco cedette volentieri e umilmente obbedì[18].
Siamo, ancora una volta, di fronte ad un frate Elia che, per esplicito volere di Francesco, esercita nei confronti di quest’ultimo un servizio materno e nei confronti dei frati un ministero paterno, essendo diventato “vicario” di Francesco dopo la morte di Pietro Cattani avvenuta il 10 marzo 1221. Il termine “madre” aveva per l’Assisiate un senso assai forte e coinvolgente al punto che nella Regola non bollata egli scrive: «E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose che gli sono necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in quelle cose che Dio gli darà grazia»[19].
Breviario di San Francesco (Basilica di Santa Chiara in Assisi), carta 188r, colonna a. Calendario liturgico del mese di marzo. Al giorno 10 è stata aggiunta la nota obituaria della morte di frate Pietro Cattani.
Si tratta di una dimensione materna che si esplica nel sostenere e nutrire l’altro, proprio come fa la terra: «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa, e produce diversi frutti con coloriti fiori et herba»[20]. Questo tipo di relazione è ciò che Francesco richiede per coloro che vivono una vita eremitica: «Coloro che vogliono stare e condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri e abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due figli seguano la vita di Maria»[21].
Quanto con una certa veridicità scrive Tommaso da Celano a proposito del rapporto di Francesco con il suo vicario corrisponde a quanto espresso negli Scritti del santo; quindi, a buon diritto, Elia ha vissuto nei rapporti personali con Francesco una relazione privilegiata e senza intermediari, come è dimostrato anche dalla speciale benedizione che il Santo di Assisi gli avrebbe dato in punto di morte. Elia era stato accanto a Francesco assistendolo nella malattia, e ciò da quando a Foligno un anziano e venerando sacerdote con vesti bianche apparve in visione al frate vicario e gli profetizzò che al Santo rimanevano ormai soltanto due anni di vita:
Mentre il beato Francesco e frate Elia si trovavano un giorno a Foligno, una notte apparve durante il sonno a frate Elia un sacerdote biancovestito, di età molto avvanzata e di venerando aspetto, che gli disse: “Và, fratello, e avverti Francesco, che, essendosi compiuti diciott’anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni in questa vita e poi il Signore lo chiamerà a sé nel mondo dei più”[22].
Da quel momento Elia fu sempre accanto a Francesco; così, ad esempio, raggiunse in fretta Siena dove Francesco aveva subito un aggravarsi delle sue condizioni di salute, condusse il compagno alle Celle di Cortona e da lì, acconsentendo alle richieste del malato, ad Assisi. Nel racconto di Tommaso da Celano figura un Francesco che chiede ad Elia il favore di farlo riportare ad Assisi ed un Elia che obbedisce da figlio al padre, accompagnandolo personalmente:
Sei mesi prima del giorno della sua morte, trovandosi a Siena per la cura degli occhi, cominciò ad ammalarsi gravemente in tutto il resto del corpo. A seguito di una lesione prodottasi nello stomaco per la prolungata malattia e per la disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue tanto che sembrava vicino la morte. Frate Elia, a quella notizia, accorse in fretta da lontano e, al suo arrivo, il padre santo migliorò al punto che poté lasciare Siena e recarsi con lui alle Celle, presso Cortona. Ma dopo pochi giorni di permanenza, gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile prendere cibo. Chiese allora a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi. Da buon figliolo, questi eseguì la richiesta del caro padre e, disposta ogni cosa, ve lo accompagnò personalmente[23].
Giunti ad Assisi, Elia rimase accanto a Francesco, tanto che questi gli affidò il compito di annunciare ai frati la sua intenzione di perdonare a tutti peccati e offese e di trasmettere la sua benedizione:
Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al santo e più sollecito di tutti i frati, vedendo questo e conoscendo che la fine gli era vicina, gli disse: “Padre amato, già i tuoi figli stanno per rimanere orfani e privi della vera luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che lasci orfani e privi della vera luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti il conforto della tua benedizione”. E Francesco: “Ecco, Dio mi chiama, figlio. Ai miei frati, presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e tutti li assolvo, per quanto posso, e tu, annunciando questa mia intenzione, benedicili da parte mia”[24].
Francesco accolse immediatamente il suggerimento del frate a lui molto caro e, sapendolo il più sollecito fra tutti i frati, gli dette l’ordine di trasmettere loro il suo perdono e benedizione, cosa che Elia portò a termine prontamente mediante una lettera a tutto l’ordine. Tale sintonia di intenti e di volere Tommaso da Celano la narra anche nel brano successivo della Vita beati Francisci:
Poi [Francesco] si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre. Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro ancora prima di averne l’ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel volume contenesse tutta intera la Bibbia[25].
Ancora una volta Elia fu in piena comunione di intenti con Francesco e questi gli lasciò una benedizione particolare indicata da Tommaso da Celano come paragonabile a quella di Giacobbe o di Mosè per il popolo d’Israele:
Poiché alla sua sinistra stava frate Elia e tutto attorno gli altri suoi figli, egli allora incrociò le braccia e pose la destra sul capo di lui, e, essendo cieco, domandò: “Su chi tengo la mia mano?”. “Su frate Elia”, gli dissero. “Così voglio anch’io” disse, e aggiunse: “Ti benedico, o figlio, in tutto o per tutto; e come l’Altissimo, sotto la tua direzione, rese numerosi i miei fratelli e figlioli, così su te e in te li benedico tutti. In cielo e in terra ti benedica Iddio, il re di tutte le cose. Ti benedico come posso e più di quanto è in mio potere, e quello che non posso fare io, lo faccia in te Colui che tutto può. Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti riservi la tua mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda [...]”[26].
Molto si è discusso riguardo a questa benedizione, se sia stata realmente concessa o se sia solo un artificio agiografico per dare prestigio alla figura di frate Elia; recentemente si propende per il riconoscimento di una certa storicità del racconto[27]. Tuttavia, al di là di come siano andate realmente le cose, non si deve dimenticare che ciò è narrato nella Vita beati Francisci, ossia la vita ufficiale della canonizzazione del Santo di Assisi, scritta da Tommaso da Celano per volere del papa Gregorio IX. Pertanto essa era destinata non solo a divenire il tramite con cui la maggioranza dei frati poteva conoscere le vicende del loro fondatore, ma anche la narrazione per eccellenza di quel Santo speciale che Gregorio IX presentava a tutti come risposta adeguata ai problemi della Chiesa[28]; ad uscirne rafforzata era non solo la figura del Pontefice, ma anche quella di frate Elia.
1.4 Frate Elia custode del Santo
Al momento della morte di Francesco fu Elia stesso a darne notizia ufficiale ai frati, come testimonierebbe la lettera a lui attribuita[29] e la Cronaca di Giordano da Giano:
Dopo la morte del beato Francesco, frate Elia, che era suo vicario, mandò per tutto l’Ordine lettere di consolazione ai frati, che erano turbati per la morte di un così grande padre, annunciando a ciascuno e a tutti che, così come il beato Francesco gli aveva comandato, benediceva tutti da parte di lui e li assolveva da ogni colpa; dava notizia inoltre delle stimmate e di altri miracoli che, dopo la sua morte, l’Altissimo si era degnato di operare per mezzo del beato Francesco; infine raccomandava ai ministri (e ai custodi) dell’Ordine di convenire per eleggere il ministro generale[30].
Elia in quest’occasione rese noto a tutti l’evento miracoloso delle stimmate diventandone un testimone privilegiato e quasi esclusivo al punto che alcuni lo hanno persino definito come l’inventore delle stesse. Il termine “inventore”, ambiguamente, può stare ad indicare sia, da un punto di vista etimologico, la scoperta di una realtà gia esistente, ma fino a quel momento rimasta nascosta, sia una creazione ex novo, come oggi il termine finisce più comunemente per significare. Una cosa è certa: la lettera in cui Elia annuncia la morte di frate Francesco «costituisce una sorta di canonizzazione di fatto, precedente l’effettiva ratifica canonica»[31]. A questo proposito Tommaso da Celano, parlando della ferita al costato presente sul corpo di san Francesco, non ha timore di definire «fortunato frate Elia che, vivente ancora il santo, meritò in qualche modo di scorgerla, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani»[32]. Elia è accostato a frate Rufino come testimone accreditato dalla grande familiarità di cui godeva presso il Santo; ma i destini dell’immagine di questi due frati saranno opposti, in quanto contrapposti dagli Spirituali, divenendo il primo emblema dell’ala rilassata e ribelle allo spirito autentico e originario di san Francesco, mentre il secondo esempio di fedeltà e osservanza della Regola. Rufino verrà addirittura considerato quale capostipite di una “genealogia gnostica”, ossia di frati che si tramandano una serie di profezie e verba secreta che Francesco avrebbe rivelato solo a pochi eletti.
A Elia spettò anche il compito di convocare i frati per il Capitolo, che venne celebrato il 30 maggio 1227, eleggendo come ministro generale Giovanni Parenti mentre ad Elia stesso venne affidata l’edificazione della Basilica che doveva custodire le spoglie di Francesco la cui santità era ormai prossima ad essere riconosciuta canonicamente e narrata secondo lo stile agiografico da Tommaso da Celano.
La scelta dei frati di eleggere Giovanni Parenti, uomo di diritto prima di entrare nell’Ordine minoritico e successivamente ministro della provincia iberica, è stata vista da alcuni come espressione del crescente peso della componente colta e clericale dei frati a scapito di quella laica delle prime generazioni minoritiche all’interno della quale figurerebbe anche Elia. Al di là di come siano andate realmente le cose, certamente l’agiografia del Celano aveva diffuso un’immagine di rilievo di frate Elia che sicuramente avrebbe avuto un peso non indifferente in una prossima elezione; quello che afferma la Vita beati Francisci aveva senza dubbio contribuito ad accrescere il prestigio di Elia e ciò ebbe un ruolo significativo nel momento della sua designazione come ministro generale. A favore di questa ipotesi c’è anche il fatto che l’immagine di Elia trasmessa da Tommaso da Celano ha come caratteristica peculiare non solo quella di sottolineare alcune virtù spirituali, ma soprattutto il ruolo che Elia ebbe come organizzatore, ossia come uomo di azione che è accanto a Francesco, assistendolo nella sua malattia.
Se altri eccellevano per le loro qualità spirituali, egli rimaneva, indiscutibilmente, il “vicario” a cui anche il Santo aveva affidato non solo l’Ordine, ma perfino la cura del proprio corpo. Ed Elia fece suo tale compito, non solo quando quel corpo era malato, ma anche quando diventò la reliquia preziosa di un Santo che aveva ormai compiuto il suo “transito”. In ciò egli si vide confermato anche quando lo stesso papa Gregorio IX, confidando nelle sue capacità organizzative, gli affidò la costruzione della nuova Basilica assisana che aveva come finalità proprio la custodia di quel corpo diventato ormai tanto prezioso; una Basilica che nei confronti di san Francesco doveva essere proprio come una madre che porta in sé il figlio[33].
Nel 1230 fu possibile la traslazione del corpo di san Francesco nella nuova chiesa, nel frattempo dichiarata da Gregorio IX con la bolla Is qui ecclesiam, «caput et mater» dell’Ordine minoritico; in quell’occasione vi furono tumulti causati dai cittadini di Assisi che ormai era diventata essa stessa promotrice di un culto civico del nuovo Santo. Il ruolo di Elia nei confronti di Francesco, dopo avergli preparato una “degna sepoltura”, sarebbe potuto sembrare terminato, mentre in realtà continuò soprattutto nell’incentivarne il culto, come mostra il caso narrato dalla tardiva Chronica XXIV generalium per cui frate Guglielmo Anglico, deceduto nel 1232 circa e anch’egli sepolto nella nuova Basilica di Assisi, avrebbe sminuito la santità di Francesco con i suoi miracoli se lui stesso, anche da morto, non avesse obbedito all’ordine impartitogli da frate Elia di non compiere miracoli per non offuscare la santità di Francesco. Siamo di fronte ad un frate Elia che, anche quando Francesco è morto, continua a prendersi cura di lui come da vivo, ossia con l’attenzione che una madre ha per il proprio figlio.
Nel 1230 non vi fu soltanto la traslazione delle spoglie di Francesco alla loro destinazione definitiva, ma anche il capitolo generale. Celebrato a maggio, in occasione della Pentecoste, quest’ultimo vide i frati divisi tra sostenitori di Giovanni Parenti e fautori di Elia; ad acuire tale tensione contribuirono anche le problematiche inerenti l’interpretazione della Regola e l’obbligatorietà del Testamento. Tra gli altri fu presente anche Antonio, in quanto ministro della provincia lombarda, il quale, secondo quanto scritto da Tommaso da Eccleston, non fu ascoltato dai frati seguaci di Elia, come avvenne anche per gli altri ministri provinciali:
Le cose avvennero così: nel capitolo tenuto al tempo della traslazione delle reliquie di san Francesco, proprio quelli che Elia aveva autorizzato a intervenire al capitolo – infatti aveva dato il permesso a tutti quelli che desideravano andarvi – lo volevano fare generale contro il parere dei ministri provinciali. Lo presero dunque dalla sua cella e lo portarono fino alla porta dell’aula del capitolo e, dopo averla sfondata, volevano installarlo al posto del ministro generale. Quando frate Giovanni vide questo, si denudò davanti a tutto il capitolo. Pieni di vergogna, i frati cessarono allora di far tumulto. Tuttavia non vollero ascoltare né sant’Antonio né alcun ministro provinciale[34].
Quindi tra gli oppositori di Elia vi sarebbe stato anche il chierico e dotto Antonio; frati allineati nella medesima posizione sono Giovanni Bonelli – facente parte di trenta frati intervenuti dalla Provenza – Alberto da Pisa, Adam Marsh. Antonio, sempre nel 1230, fu scelto per far parte della delegazione incaricata di presentare, a nome del capitolo, a Gregorio IX le questioni inerenti l’osservanza della regola e l’obbligatorietà del Testamento, ossia problematiche che dilaceravano l’Ordine e rischiavano di provocare divisioni non solo interpretative[35].
Importante è rilevare che nessuno dei componenti della delegazione era umbro, ma erano tutti intellettuali provenienti da ambienti internazionali; erano rappresentanti di un minoritismo padano, che non aveva conosciuto Francesco da vicino, più legato agli ambienti culturali e alla Curia romana, come avveniva normalmente per i Predicatori, i cosiddetti Domenicani. Così frate Antonio “da Padova”, anche se aveva conosciuto personalmente il Santo fondatore, nelle sue opere non citò mai gli Scritti di frate Francesco e neppure nominò il Santo d’Assisi nei suoi sermoni; egli fu indubbiamente un sacerdote acculturato, mentre frate Leone Perego, anche lui membro della delegazione inviata nel 1230 a Roma dal Papa, divenne in seguito Arcivescovo di Milano e come tale diede inizio all’ascesa dei Minori alle cattedre episcopali.
Risultato di questa nuovi fermenti culturali fu la tanto discussa Quo elongati, promulgata soltanto alcuni mesi dopo – esattamente il 28 settembre 1230 – che, oltre a dichiarare la non obbligatorietà del Testamento, favoriva l’inserimento dell’Ordine nell’organizzazione scolastica, nella pastorale e nelle funzioni ecclesiastiche e rispondeva anche a dubbi riguardanti la modalità dell’elezione del nuovo generale:
per il fatto che nella Regola si dice: Alla morte del ministro generale, l’elezione del successore venga fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel capitolo di Pentecoste, alcuni dubitano se debba convenire con il capitolo generale la moltitudine di tutti i custodi, oppure possa essere sufficiente, perché si possa trattare con maggior tranquillità, che vi intervengano alcuni soltanto delle singole province, che esprimano anche il parere degli altri. Rispondiamo che i custodi delle singole province devono scegliere uno tra loro da mandare al capitolo assieme al ministro provinciale, al quale affideranno i loro pareri, e questo quando l’abbiate già stabilito per vostro conto, riteniamo di approvare tale statuto[36].
Contrariamente ad Elia, il quale invitò tutti i custodi che avessero voluto parteciparvi, ora, dopo la decisione di Gregorio IX. potevano partecipare per ogni provincia solo il ministro provinciale e un custode scelto dai custodi stessi. Tuttavia, nella valutazione delle conseguenze pratiche di tale decisione si deve considerare che sia i ministri provinciali che i custodi erano nominati dall’alto e, quindi, quello del ministro generale divenne di fatto un governo assoluto.
Un quesito a cui Gregorio IX fu chiamato a rispondere fu quello inerente la cura monialium, ossia l’assistenza alle comunità di monache. Il Papa rispose che ai frati era proibito avere accesso a tutti i monasteri e quindi anche alla comunità di San Damiano[37]. Certamente, il Pontefice, affermando ciò, rispondeva a problematiche avanzate dalla commissione; non si sa quale fosse l’opinione dei membri della commissione e soprattutto di Antonio da Padova, ma non è difficile indovinare che collimasse con quella che Gregorio IX espose nella lettera Quo elongati. Proprio tale decisione papale, che rendeva più difficili i rapporti tra i frati e le sorelle di San Damiano, causò la forte reazione di Chiara:
Una volta il signor papa Gregorio aveva proibito a tutti i frati di recarsi nei monasteri delle signore senza un suo permesso. La pia madre [santa Chiara], dispiacendosi del fatto che le sorelle avrebbero avuto più raramente il cibo della sacra dottrina, disse: “Ce li tolga tutti allora i frati, dato che ci toglie quelli che ci porgono il nutrimento di vita” e subito rimandò tutti i frati al ministro, non volendo più avere gli elemosinieri che procurano il pane corporale, dato che non avevano elemosinieri per il pane spirituale. Il papa Gregorio, appena udì ciò, rimise il divieto nelle mani del ministro generale[38].
Se si ribellò all’ordine di Gregorio IX, Chiara invece continuò a fidarsi del laico frate Elia, come si vedrà dopo la sua nuova elezione a ministro generale.
2. Frate Elia pater
Tommaso da Eccleston, certamente con una vena di polemica, dopo aver descritto il capitolo tumultuoso del 1230, puntualizza: «Frate Elia poi, ritirandosi in un eremo, si fece crescere barba e capelli e, con questa simulazione di santità, si riconciliò con l’Ordine e con i frati»[39]. Non risulta che frate Elia si sia ritirato in un eremo, essendo dal 1230 al 1232 coinvolto nella costruzione della Chiesa di San Francesco in Assisi, ma tale immagine richiama la scelta dei compagni di Francesco, come Leone ed Egidio, che dopo la morte del Santo si ritirarono a vita eremitica a Greccio e Monteripido[40]. Da quanto scrive Tommaso da Eccleston risulta certamente un Elia più vicino ai compagni di Francesco ritiratisi a vita eremitica che ad Antonio da Padova predicatore rinomato.
Anche Gregorio IX apprezzò frate Elia e così «dopo che Giovanni Parenti fu sciolto dalla carica, il papa permise che Elia fosse nominato ministro generale, soprattutto in considerazione dell’amicizia che c’era stata fra lui e il beato Francesco»[41]. Non sappiamo da dove Gregorio IX ebbe notizia dell’amicizia che univa i due, ma certamente a diffondere tale immagine contribuì, come visto sopra, in maniera significativa Tommaso da Celano con la Vita beati Francisci. E che la notizia di un legame tra Elia e Francesco potesse avere un qualche peso agli occhi del Papa lo dimostra il fatto che egli stesso si appellò alla «lunga familiarità» che ebbe con il Santo fondatore, quando, mediante la Quo elongati, rispose ad alcune questioni presentategli dai frati[42].
Secondo le prescrizioni della Regola bollata l’incarico di Giovanni Parenti a ministro generale poteva durare fino alla sua morte; l’unica motivazione per cui potesse essere rimosso, sempre secondo la Regola bollata, era la sua inadeguatezza: «E se talora alla totalità dei ministri provinciali e dei custodi apparisse chiaro che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i predetti frati, ai quali è demandata l’elezione, siano tenuti, nel nome del Signore, ad eleggersi un altro come custode»[43].
Infatti, «il ministro generale [...] almeno fino al 1239, non veniva eletto ad tempus praefinitum, come al presente, ma per la durata della sua idoneità al servizio (ad explendam idoneitatem servitii»[44]. Utilizzando la possibilità di fare una nuova elezione, qualora lo si ritenesse opportuno, frate Giovanni Parenti fu rimosso da ministro generale nel capitolo generale di Rieti svolto il 30 maggio 1232 e frate Elia fu reintegrato nelle funzioni di massima autorità dell’Ordine. Con l’elezione a ministro generale egli continuò nello stile di governo descritto dalla Regola, vissuto da Francesco e applicato dal suo predecessore, ossia con un governo assoluto che nominava personalmente i provinciali. Secondo la Regola doveva rendere conto del suo operato solo al capitolo che lui stesso ogni tre anni poteva convocare, ma senza alcun obbligo. Al riguardo scrive Etzi Priamo:
A tenore della Regola, l’incarico del “ministro e servo di tutta la fraternità” era a vita, e la sua elezione doveva farsi nel capitolo di Pentecoste; i ministri provinciali e i custodi erano obbligati a deporlo se trovavano che non era idoneo. Era di fatto un governo assoluto, poiché il mezzo del quale poteva servirsi l’Ordine per stroncare gli eventuali abusi della suprema autorità, restava annullato, essendo la convocazione del capitolo di esclusivo arbitrio del generale medesimo[45].
Pertanto, il fatto che Elia non convocò mai il capitolo di per sé non rappresentava un abuso di potere; egli, infatti, convocò sì i provinciali d’Italia, vicini all’esperienza di Francesco, ma mai quelli d’oltralpe, distanti non soltanto fisicamente da Assisi. Nelle province, sempre in conformità alla Regola, mandò alcuni “suoi frati” come visitatori, ossia con il compito di correggere e ammonire. Se quanto afferma Salimbene in proposito ha una finalità polemica, tuttavia è sintomatico di come agivano tali visitatori:
Elia collocava in ogni provincia un visitatore, che stava ivi tutto l’anno e girava per la provincia, come fosse il ministro, e in alcuni conventi si fermava, lui con il suo compagno, fino a venticinque giorni o anche un mese, o più o meno secondo il suo capriccio [...]. E quello che è più grave, Elia mandava dei visitatori che fossero esattori piuttosto che correttori, perché premessero sulle province e sui ministri per strapparne tributi e doni[46].
Già precedentemente Giordano aveva scritto che «nell’anno del Signore 1237 frate Elia destinò alle singole province dei visitatori favorevoli al suo programma, ma per le irregolarità che commettevano durante queste visite, esasperarono ulteriormente i frati contro di lui»[47].
Proprio a causa di tali vessazioni, ad esempio, il capitolo della provincia d’Inghilterra riunito a Oxford – in seguito al discusso operato del visitatore Wygerius Alemannus – si appellò al papa per ottenere che il visitatore ricevesse il suo mandato non più dal ministro generale, ma dal capitolo generale[48]. Invece, in Germania, «nell’anno del Signore 1238 i frati di Sassonia si appellarono al ministro generale contro il visitatore, mandandogli dei messi, ma non ne ricavarono assolutamente nulla. Furono perciò costretti ad appellarsi al signor papa»[49].
Tale forma di governo era pienamente conforme alle disposizioni della Regola, sia nella redazione non bollata – «Tutti i frati, che sono costituiti ministri e servi degli altri frati, nelle province e nei luoghi in cui saranno, assegnino il luogo ai loro frati, e spesso li visitino e li esortino e li confortino secondo lo Spirito»[50] – sia in quella confermata ufficialmente nel 1223: «I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente che sia contro la loro anima e la nostra Regola»[51].
Tuttavia, tale modalità di governo risultava ormai inadeguata alla nuova situazione dell’Ordine, divenuto assai numeroso ed internazionale, all’interno del quale le province erano controllate da uomini preparati ed autorevoli. Era giunto il momento propizio per un “decentramento”, ma Elia continuava nello stile di frate Francesco, ossia di un ordine che aveva il proprio centro in Assisi come agli inizi[52]. Così, quando apprese della morte del ministro provinciale d’Inghilterra, frate Agnello da Pisa, come era suo dovere, «spezzò immediatamente il sigillo della provincia sul quale era raffigurato un agnello con la croce»[53]. Tale fatto può apparire un demerito del ministro generale in carica, ma come scrive Mapelli,
Elia eseguiva in realtà una normalissima procedura formale, che doveva ripetersi al termine di ogni mandato: il sigillo era un oggetto di identificazione e certificazione personale, nessun ministro provinciale l’avrebbe più potuto utilizzare e la sua distruzione serviva ad impedire che qualcuno ne facesse un uso illegittimo[54].
A Elia, inoltre, spettava, come stabilito dalla Regola, nominare il nuovo provinciale; pertanto «accolse con sdegno il fatto che i frati d’Inghilterra gli avessero chiesto di nominare ministro qualcuno di quelli che loro avevano designato. Per questo motivo egli indugiò per quasi un anno prima di nominare il nuovo ministro d’Inghilterra»[55], ossia Alberto da Pisa.
Ugualmente, il fatto che Elia, allora più che sessantenne, cavalcasse, era conforme alla Regola che consentiva l’uso di cavalcature solo nel caso di necessità: «E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità»[56]. E i frati acconsentirono che Elia usufruisse di tale eccezione alla Regola, ma gli contestarono nel 1239, tramite Aimone di Favrsham, che facesse uso di un palafreno o destriero[57]. Si può intravedere, fin da ora, il problema della differenza tra uso e uso povero che sarà al centro della discussione alcuni decenni più tardi.
3. Priorità e caratteristiche del generalato di frate Elia
Che sia più o meno programmato o esplicitato, sta di fatto che ciascun generale nel suo governo privilegiò certe scelte e ambiti rispetto ad altri. Così fu per frate Francesco e così anche per frate Elia che esercitò il suo incarico, dando priorità ad alcuni aspetti della vita dell’Ordine.
3.1 Terminare la Basilica di San Francesco in Assisi
Certamente al momento della sua elezione c’era da portare a termine il lavoro precedentemente a lui affidato dallo stesso Gregorio IX, ossia la costruzione della Basilica di San Francesco in Assisi. I primi che frate Elia, divenuto generale, coinvolse in quest’opera furono certamente i frati stessi, come afferma Giordano da Giano: «Frate Elia, fatto ministro generale, volendo portare a compimento la chiesa che aveva iniziato a onore di san Francesco, fece esazioni in tutto quanto l’Ordine per completare i lavori iniziati»[58]. Si preoccupò anche di decorare la Basilica e così nel 1236 Giunta Capitini di Pisa datò il crocifisso per il quale fu interpellato dallo stesso frate Elia; quest’ultimo, in quanto committente dell’opera e secondo il costume dell’epoca, si fece ritrarre ai piedi della croce, in atteggiamento orante, da uomo peccatore[59].
Tommaso da Eccleston afferma che Elia si diceva giustificato nel maneggiare denaro, avendo professato una Regola che non lo impediva: «E poiché, come si diceva, frate Elia non aveva mai fatto professione della Regola confermata con bolla dal papa Onorio III, onde si era creduto autorizzato a ricevere denaro, gli si ordinò immediatamente di professare questa Regola, e la medesima disposizione fu allargata a tutto il capitolo e in conseguenza a tutto l’Ordine. Così fu fatto»[60]. In effetti, nella Regola confermata da Onorio III, nel 1223, Francesco, intervenendo in prima persona, afferma: «Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona»[61]; invece nella precedente redazione della Regola si faceva l’eccezione dell’elemosina cercata per i lebbrosi, un’eccezione che poteva essere la premessa per molte altre.
Nonostante questa raccolta di danaro per la chiesa assisana, come ministro generale Elia si differenziò dai suoi successori in quanto non chiese mai alla Santa sede lettere di privilegio volte a mitigare la povertà dei frati; in questo possiamo definirlo un osservante del Testamento in cui Francesco vieta ai frati di chiedere lettere alla Curia romana: «Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana»[62].
Che la suntuosità della Basilica non fosse avvertita come contraria allo spirito di san Francesco è mostrato da due episodi indicativi. Innanzitutto, Egidio d’Assisi sosteneva che la chiesa che custodiva il corpo di san Francesco dovesse essere degna della grandezza del Santo stesso. Inoltre, Chiara d’Assisi quando nella notte di Natale del 1252 si trovava sola nel dormitorio e quindi abbandonata dalle sorelle, in un certo qual modo, trovò rifugio nella Basilica di San Francesco e non, ad esempio, nella Porziuncola: infatti al processo di canonizzazione sora Philippa figliola già de messere Leonardo de Gislerio testimonia:
Narrava anchora la predicta madonna Chiara, come nella nocte de la Natività del Signore proximamente passata, non potendo epsa per la grave infirmità levarse del lecto per intrare nella capella, le sore andaro tucte al mattutino al modo usato, lassando lei sola. Allora epsa madonna suspirando disse: “O Signore Dio, eccho che so lassata sola ad te in questo loco”. Allora subitamente incominciò ad udire li organj et responsorij et tucto lo offitio delli frati della chiesia de Sancto Francesco, como si fusse stata lì presente[63].
Si tratta del Natale 1252, l’ultimo dell’esistenza di Chiara; Francesco è morto, la regola non è ancora stata approvata ed ella, inferma, non può partecipare all’ufficio divino della notte santa. Nella solitudine in cui è lasciata, Chiara è consolata dalla visione della solenne liturgia che i frati celebravano presso la tomba di san Francesco, in quella Basilica alla cui edificazione, almeno nel momento iniziale, contribuì anche frate Elia.
3.2 Un potere assoluto
Come già accennato, Elia esercitava la propria autorità in forma assoluta e, come giustamente afferma Giordano da Giano, in ciò non fece che seguire l’esempio di Francesco: «Egli infatti aveva l’Ordine intero sotto la sua potestà, così come lo avevano avuto il beato Francesco e frate Giovanni Parenti che lo aveva preceduto. Perciò disponeva di sua propria volontà molte cose non convenienti per l’Ordine»[64]. Stabiliva, come i suoi predecessori, i ministri provinciali e le altre cariche dell’Ordine. Tale esercizio della potestà di ministro generale fu svolto anche mediante visitatori, come ci testimonia sempre Giordano da Giano: «Nell’anno del Signore 1237 frate Elia destinò alle singole province dei visitatori favorevoli al suo programma, ma per le irregolarità che commettevano durante queste visite, esasperarono ulteriormente i frati contro di lui»[65].
Giordano da Giano è convinto che frate Elia «disponeva di sua propria volontà molte cose» e che agendo così egli «aveva l’Ordine intero sotto la sua potestà, così come lo avevano avuto il beato Francesco e frate Giovanni Parenti che lo aveva preceduto». Tale notizia, soprattutto se confrontata con un certo stereotipo semplicista della vicenda francescana, che separa in modo netto, quasi manicheo i buoni dai cattivi, appare a dir poco sconcertante: quello che si offre è un frate Elia il quale esercita un’autorità assoluta sull’Ordine e in ciò si comporterebbe, nientemeno, come Francesco. Possiamo confrontare tale informazione con l’atteggiamento, definito da alcuni “contraddittorio”, del Santo di Assisi davanti al potere, per cui, nel medesimo istante in cui afferma di voler obbedire, “comanda fermamente”, come avviene nel Testamento:
per obbedienza a tutti i frati che, ovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana [...]. E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi[66].
Davanti a tale atteggiamento, testimoniato anche dalle fonti agiografiche, qualcuno ha ipotizzato un dilemma di Francesco riguardo alla questione del potere[67].
Ugualmente l’affermazione di una certa durezza di frate Elia nel trattare con i frati va confrontata con il comportamento di coloro che lo hanno preceduto: infatti, anche in ciò, pur se non pienamente, corrisponde all’atteggiamento di frate Francesco. D’altro canto, come appare ad un’analisi più attenta delle fonti inerenti Francesco, si deve riconoscere che nella sua vicenda compaiono alcune “durezze”, secondo la definizione di Giovanni Grado Merlo[68], come traspare, ad esempio, sia nella Epistola di Spoleto, indirizzata a frate Leone, che nel Testamento. In quest’ultimo Francesco è molto duro contro coloro che non dicono l’ufficio liturgico secondo la Regola:
E se si trovassero dei frati che non dicessero l’ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità[69].
Qualcuno ha addirittura riconosciuto in ciò Francesco quale antesignano del metodo inquisitoriale.
Simile atteggiamento si riscontra nella lettera autografa inviata da Francesco a frate Leone, soprattutto, in seguito ad una correzione della lettura paleografica del testo originale, conservato nel duomo di Spoleto, che ha mostrato la stesura in due tempi dello scritto: in un primo momento il Santo dice al compagno che non c’è bisogno che vada da lui, mentre in un’aggiunta finale gli dice di andare da lui ogni volta che lo ritiene necessario:
Frate Leone, il tuo frate Francesco ti augura salute e pace. Così dico a te, figlio mio, come una madre: che tutte le parole, che abbiamo detto lungo la via, le riassumo brevemente in questa parola di consiglio, e non c’è bisogno che tu venga da me per consigliarti, perché così ti consiglio [...]. E se a te è necessario, perché tu ne abbia altra consolazione, che la tua anima ritorni a me, e tu lo vuoi, vieni![70]
Come si vede frate Leone non sempre è trattato con riguardo da Francesco, come ha evidenziato Felice Accrocca[71]. Inoltre egli è un “rubricista”, nel vero e proprio senso del termine, nel segnare in rosso/ruber tutte le prescrizioni delle costituzioni prenarbonensi inerenti l’ufficio dei defunti da farsi[72].
Davanti a questo stile di governo assoluto ben presto ci furono perplessità riguardo al suo operato e di ciò si fece portavoce frate Aimone di Faversham, un chierico sacerdote inglese rappresentante di quel gruppo di frati cresciuti distanti, e non solo fisicamente, da Assisi.
3.3 Tra fedeltà alle origini laicali e omologazione ai Frati predicatori
Frate Elia esercitò l’autorità di ministro generale non soltanto scegliendo i provinciali o inviando visitatori, ma anche mediante ordini precisi ed incisivi. Così Tommaso da Eccleston riferisce che «frate Elia ordinò che i frati si lavassero da sé i loro panni: i frati della provincia inglese obbedirono, mentre quelli della provincia di Scozia stettero in attesa di un comando particolare per loro»[73]. Secondo Giulia Barone tale ordine potrebbe essere espressione della volontà di Elia per «evitare che anche tra i francescani si diffondesse l’uso di servirsi di fratelli laici per adempiere alle mansioni più umili, come avveniva in tutti gli altri grandi Ordini»[74].
Se tale notizia, quindi, è indice della volontà di frate Elia di mantenere la minorità degli inizi come tratto distintivo dei frati, in tutt’altro senso è quanto afferma sempre lo stesso Tommaso da Eccleston:
Passato un certo tempo dall’insediamento dei frati in Inghilterra, frate Elia, ministro generale, dette ordine che la provincia inglese fosse divisa in due: quella denominata di Scozia e quella dell’Inghilterra come prima. Egli desiderava, secondo quanto si diceva, che, come l’Ordine dei frati predicatori aveva dodici priori provinciali nel mondo intero in luogo dei dodici apostoli, così lui avesse sotto di sé settantadue ministri provinciali, in luogo dei settantadue discepoli[75].
S’intravede in questo episodio quella competitività tra Minori e Predicatori da cui non era immune neppure il laico frate Elia e che, ad un certo punto, venne ad assumere tratti addirittura conflittuali.
3.4 Frate Elia e lo studio della teologia
Salimbene de Adam, molto critico nei confronti di Elia, gli attribuisce, tuttavia, il merito di aver promosso nell’Ordine lo studio della teologia: «Poiché questa unica cosa buona ebbe frate Elia, che si fece promotore dello studio della teologia nell’Ordine»[76]. Una conferma di ciò può essere intravista in Tommaso da Eccleston che afferma come «la fama dei frati inglesi e i loro progressi negli studi divennero così conosciuti anche in altre province, che il ministro generale, frate Elia, chiese frate Filippo del Galles e frate Adamo da York perché insegnassero a Lione»[77]. Si potrebbe vedere anche in questo una continuità con frate Francesco che autorizzò frate Antonio da Padova ad insegnare la teologia. Nel constatare ciò Merlo si chiede: «Frate Elia si situa dunque in continuità con colui che in vita egli aveva “servito” fedelmente? Non lo escluderei, come non escluderei che talune scelte compiute durante il suo generalato siano altrettanto riferibili a una sua volontà di restare fedele alla “persona” e all’esperienza religiosa di frate Francesco»[78].
3.5 Fedele alla Regola, senza costituzioni
Il problema della fedeltà di Elia a Francesco si nota anche per quel che riguarda il rapporto col cibo. Riguardo a ciò Salimbene de Adam accusa Elia di nutrire un amore eccessivo per la buona cucina: «Raramente poi mangiava in convento con gli altri frati, ma nella sua camera, da solo. Aveva anche un suo cuoco particolare»[79]. I Fioretti, traducendo gli Actus Francisci et sociorum eius, incolpano, invece, Elia del contrario: «Imperò ch’egli era vicario dell’Ordine, e avea ordinato e fatto costituzione, oltr’al Vangelo ed oltr’alla Regola di santo Francesco, che nessuno frate nell’Ordine mangiasse carne»[80]. Tra le due notizie contraddittore, ossia di una libertà nell’uso del cibo e di una ristrettezza contraria alla Regola, certamente la più fondata storicamente è la prima, poiché la seconda rappresenta piuttosto un’attribuzione indebita ad Elia delle decisioni che presero i vicari quando Francesco e lo stesso Elia erano in Oriente
Quando ebbe letto attentamente le costituzioni, il beato Francesco, che era a tavola e aveva dinanzi a sé carne pronta da mangiare, domandò a frate Pietro: “Signor Pietro, adesso che faremo?”. Ed egli rispose: “Ah, signor Francesco, quello che piace a voi, perché avete l’autorità”. [...] Alla fine il beato Francesco concluse: “Mangiamo, dunque, come dice il Vangelo, ciò che ci viene messo davanti”[81].
Elia, al contrario, era presente al capitolo, a cui partecipò anche il cardinal Ugolino, in cui Francesco, davanti alle richieste di alcuni frati “sapienti” di introdurre regole ispirate alle precedenti regole di vita, soprattutto di Agostino, Benedetto e Bernardo, riaffermò la sua volontà, definita come ispirata da Dio, di essere un “novello pazzo” nel mondo:
Mentre il beato Francesco era al capitolo generale, che si tenne a Santa Maria della Porziuncola, quello che fu detto capitolo delle stuoie e a cui intervennero cinquemila fratelli, molti di questi sapienti e istruiti, dissero al cardinale Ugolino, il futuro Gregorio IX, presente al capitolo, che persuadesse il beato Francesco a seguire i consigli dei frati dotti e a lasciarsi qualche volta guidare da loro. Facevano riferimento alle regole di san Benedetto, sant’Agostino, e san Bernardo, che prescrivono questa e quest’altra norma al fine di condurre una vita religiosa ben ordinata. Il beato Francesco allora, udita l’esortazione del cardinale su tale argomento, lo prese per mano e lo condusse davanti all’assemblea capitolare, e così parlò ai frati: “Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un “novello pazzo”: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!”[82].
La stessa riluttanza, se non vero e proprio divieto, ad aggiungere norme, ossia costituzioni, alla Regola, viene ribadita dallo stesso Francesco nel Testamento:
E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non si inseriscano spiegazioni alla Regola né in queste parole, dicendo: “Così devono essere intese”; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine[83].
Conferma di questo comportamento si ha anche in Tommaso da Eccleston, anche se qui si accenna ad una costituzione emanata dallo stesso Francesco:
I frati di quel tempo, possedendo le primizie dello Spirito, servivano il Signore non sotto la spinta di leggi umane, ma secondo la libera inclinazione della loro religiosità, contenti della sola Regola e dei pochissimi statuti che erano stati emanati nello stesso anno dell’approvazione della regola. E questa fu la prima costituzione che san Francesco fece dopo la promulgazione della regola bollata, come disse frate Alberto da Pisa, di santa memoria: che i frati non dovevano consumare i pasti insieme ai secolari, se non tre bocconi di carne in ossequio alla prescrizione del Vangelo, poiché gli era giunta voce che i frati peccavano di avidità nel mangiare[84].
Oltre a considerare il fatto che argomento di tale costituzione è proprio il cibo, vale a dire l’ambito che era stato regolato dalle costituzioni dei vicari ai quali Francesco aveva risposto richiamandosi alla norma evangelica, leggendo questa notizia, trasmessaci da Tommaso da Eccleston, dobbiamo anche tener conto del fatto che Alberto da Pisa fu proprio il frate sacerdote eletto ministro generale nel 1239, alla deposizione di Elia, cioè nel capitolo in cui fu promulgato un gran numero di costituzioni. Non si sbaglia se nel ricordo narrato da Alberto da Pisa si scorge un tentativo da parte del ministro generale di legittimare, con richiami al passato, della realtà vigente cioè la promulgazione delle molteplici costituzioni.
Elia, in queste circostanze, si comportò allo stesso modo di Francesco, cosa che gli viene rimproverata da Salimbene de Adam: «Quarta colpa fu che, in tutto il tempo del suo governo, non si fecero costituzioni generali nell’Ordine, mentre è per mezzo di esse che si conserva l’osservanza della Regola, si governa l’Ordine, si vive con uniformità e si compiono tante cose buone»[85]. Non è un caso che alla sua deposizione nel 1239 fece seguito la promulgazione di una grande serie di costituzioni: «In questo capitolo si stilarono anche una grande moltitudine di costituzioni, ma piuttosto disordinatamente»[86].
L’atteggiamento di Elia, che tanto scandalizza Salimbene de Adam, in un certo senso potrebbe essere anche un’enfatizzazione da parte del cronista di quella libertà che Elia continuava ad avere, nonostante nell’Ordine iniziasse a prevalere la “linea giuridica” per quel che riguarda lo stile della Regola: «secondo il santo Vangelo, sia loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro messi davanti»[87]. La stessa libertà che nel brano del De vera laetitia contrappone frate Francesco che giunge alla Porziuncola a notte fonda ai frati, ormai divenuti assai numerosi, rappresentati dal portinaio che non lo accoglie essendo ora indecente per arrivare[88]. Si tratta della stessa libertà che vide altri compagni del Santo, come Egidio, vivere secondo lo stile della fraternitas primitiva al margine di un Ordine ormai ben strutturato.
Inoltre, come Francesco, frate Elia si fece annunciatore di pace: così nel 1233 come ministro generale dei Minori intervenne perché i due comuni limitrofi di Spoleto e Cerreto pervenissero ad un accordo. Ancora fu inviato da Gregorio IX presso Federico II a trattare in un momento di forte tensione[89].
Nella stessa direzione di continuità con il “santo fondatore” fu l’attaccamento di Elia ad Assisi ed, in particolare, a Santa Maria della Porziuncola; tuttavia, tale scelta, che a noi può apparire altamente virtuosa, non era pienamente condivisa dall’Ordine, soprattutto dal gruppo di chierici acculturati. Infatti, come riconosce Giulia Barone, «la fedeltà assoluta agli ideali e alle forme di vita del primo francescanesimo era rifiutata anche da un san Bonaventura, secondo il quale l’evoluzione dell’Ordine dei minori era sostanzialmente simile a quella subita dalla Chiesa dai tempi apostolici»[90].
3.6 Cura della comunità di San Damiano
Elia continuava, sempre nello stile di Francesco, a prendersi cura della comunità di San Damiano; anzi, se diamo credito ad un racconto del Memoriale nel desiderio dell’anima di Tommaso da Celano, la cosiddetta Vita secunda, a volte fu egli stesso a spingere Francesco nell’assistenza alla comunità: «Mentre si trovava presso San Damiano, il padre fu supplicato più volte dal suo vicario di esporre alle sue figlie la parola di Dio e, alla fine, vinto da tanta insistenza, accettò»[91].
Per la comprensione di tale episodio è importante considerare come in quest’opera si rifletta la problematica dei Frati minori riguardo alla cura delle monache e traspaia una lettura critica della vicenda di Elia al quale si rimproverava, tra l’altro, di frequentare i monasteri delle monache senza il dovuto permesso. Da ciò consegue come «un comportamento “disdicevole” di Francesco evochi, per il biografo, il riferimento ad Elia, personaggio ormai molto “scomodo” negli anni quaranta»[92].
Quindi la pressione di frate Elia affinché Francesco predicasse alla comunità di San Damiano, nelle intenzioni del biografo e dell’Ordine per cui scriveva – avendo ricevuto il compito di comporre una nuova biografia del Santo dallo stesso ministro generale Crescienzo da Jesì – poteva essere colto quale atteggiamento disdicevole a cui Francesco acconsentì mal volentieri e con un gesto che di per sé indicava più una presa di distanza che una cura per la comunità di madonna Chiara d’Assisi. Elia dovette continuare anche dopo la morte di Francesco ad occuparsi non solo di Chiara e della comunità di San Damiano in Assisi, ma anche delle fondazioni clariane, in opposizione a quelle ugoliniane indicate ormai come Ordo Sancti Damiani[93].
D’altra parte, la Santa di Assisi ricambiava la fiducia a lei accordata; così se, come nel caso della Quo elongati, si ribellava all’ordine di Gregorio IX, Chiara invece continuava a fidarsi del laico frate Elia, come testimonia la seconda lettera ad Agnese di Boemia in cui, in riferimento alla scelta della povertà, la Santa di Assisi scrive: «Riguardo a questo, perché tu possa percorrere più sicura la via dei comandamenti del Signore, segui il consiglio del nostro venerabile padre, il nostro fratello Elia ministro generale e anteponilo ai consigli di chiunque altro, stimandolo per te più caro di ogni dono»[94].
In questa espressione, come ha fatto notare Maria Pia Alberzoni, certamente vi è una reminiscenza di quanto scrisse Francesco come ultima volontà a Chiara:
Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in quella santissima vita e povertà. E guardate con grande cura di non allontanarvi mai da essa, in perpetuo e in nessuna maniera, per insegnamento o consiglio di alcuno[95].
Anche una lettera di Agnese d’Assisi alla sorella Chiara testimonierebbe il coinvolgimento di frate Elia nelle fondazioni clariane: Agnese chiede alla santa di Assisi di poter usufruire del conforto di Elia invitandolo a visitarla più spesso[96].
Chiara denomina frate Elia “venerabile padre” oltre che fratello, e ciò è molto indicativo se si tiene conto che lo stesso attributo è solitamente usato da Chiara per san Francesco. È questo un Elia che eredita la paternità riconosciuta in Francesco. Se quest’ultimo era l’unico aiuto dopo Dio per la Santa di Assisi, al momento della sua morte Elia ne prende, in un certo qual senso, il posto.
La contrapposizione tra la posizione di Gregorio IX e quella di Elia riguardo ai rapporti tra i frati e la comunità di San Damiano è testimoniata dalla stessa Chiara che immediatamente dopo aver invitato Agnese di Boemia a seguire il consiglio di frate Elia, con un velato, ma deciso riferimento a Gregorio IX scrive:
E se qualcun altro ti dicesse o altro ti suggerisse che sia di impedimento alla tua perfezione, che sembri contrario alla vocazione divina, pur dovendolo rispettare, non seguire il suo consiglio, ma abbraccia, vergine povera, Cristo povero[97].
Se Chiara invitava a seguire il consiglio di Elia, colui che Agnese deve rispettare, ma di cui non deve seguire il consiglio, è nientemeno che Gregorio IX. E costui, consapevole di queste relazioni e posizioni a lui contrarie, a sua volta scriveva l’11 maggio 1238 ad Agnese:
Chiediamo pertanto per la tua devozione e la tua obbedienza nel Signore Gesù Cristo, ingiungendo, in remissione dei tuoi peccati, che, messo da parte ogni pretesto, osservi diligentemente la predetta regola [cioè la regola di Gregorio IX] e procuri che sia osservata dalle tue sorelle, affinché considerando con solerte meditazione e osservando prudentemente quanto detto sopra [i motivi per i quali la forma vitae gregoriana sia da preferirsi a quella di Francesco] – a prescindere da qualunque cosa ti venga suggerita da qualcuno che forse ha lo zelo, ma non secondo la scienza – , ciò soprattutto deve essere tenuto in considerazione nei tuoi affetti il fatto cioè che quanto piace a Dio ed è ben accetto a noi ha forza di salvezza per te e per chi ti è vicino, se lo vuole la clemenza del Redentore[98].
Il riferimento potrebbe essere indirizzato a Chiara, ma anche allo stesso Elia; in questo caso la lettera pontificia rappresenterebbe un’efficace testimonianza della considerazione che frate Elia aveva agli occhi di Gregorio IX nel 1238: quella di un ministro generale di cui si può ammirare un probabile zelo, ma certamente privo di scienza[99]. Tutto è pronto perché cada in disgrazia agli occhi del Pontefice e venga estromesso dal governo dell’Ordine. Non si può affermare con sicurezza se quel “qualcuno” a cui Gregorio IX si riferisce sia realmente frate Elia, ma ciò che avvenne con certezza ad un anno di distanza, nel maggio 1239, fu la destituzione dal suo incarico poiché accusato di uno zelo indiscreto; Elia venne sostituito da un chierico ben più preparato culturalmente.
4. Dopo il 1239
Antonio da Padova morì il 13 giugno 1231 e dal momento della sua canonizzazione, il 30 maggio 1232, egli non solo continuava ad essere il rappresentante dell’anima clericale e culturale del movimento minoritico, tipica della Lombardia e delle zone nordiche, come Francia e Inghilterra, ma divenne simbolo di un’altra modalità di essere Frati minori. Proprio quest’anima si contrapporrà a quella dell’Italia centrale – più locale, legata fortemente alla memoria di Francesco nella sua vicenda storica – e si affermerà con l’elezione, il 15 maggio 1239, di Alberto da Pisa.
Tale “svolta” è segnalata da Tommaso da Eccleston mediante una notizia che, di primo acchito, potrebbe sembrare soltanto una curiosità, ma che in realtà è densa di significato: «Dopo che ebbe celebrato la messa, il ministro neoeletto disse ai frati che non avevano avuto parte nel capitolo: ‘Voi avete ora ascoltato la prima messa, mai celebrata da un ministro generale di questo Ordine. Ritornate ora con la benedizione di Gesù Cristo nei vostri conventi’»[100]. Egli rimase generale per pochi mesi, morendo il 23 gennaio 1240 a Roma; al suo posto fu eletto il primo novembre 1240 quello che l’anno precedente lo aveva succeduto come ministro generale d’Inghilterra, ossia frate Aimone da Faversham, che rimase in carica fino all’inizio del 1244.
Così Tommaso da Eccleston narra quanto accadde nel 1239:
Poiché frate Elia era motivo di turbamento per tutto l’Ordine con il suo amore per gli agi e con i suoi modi violenti, frate Aimone da Parigi presentò un appello contro di lui [...]. Dopo lunghe discussioni, furono scelti da tutto l’Ordine dei frati con l’incarico di preparare una riforma. Quando il progetto fu pronto, fu letto in presenza del papa nel Capitolo generale, al quale erano presenti anche sette cardinali. Il Papa tenne un sermone [...]. Finito il discorso, frate Elia prese a scusarsi adducendo la ragione che i frati, quando lo avevano eletto generale, erano d’accordo che lui mangiasse oro e avesse un cavallo, se la sua cattiva salute lo avesse reso necessario; ma che ora lo accusavano, scandalizzati per la sua condotta. Frate Aimone voleva rispondergli, ma il papa non dette il suo consenso fino a che il cardinale Roberto da Somercotes gli disse: “Signore papa, questi è un uomo saggio; è bene che voi lo ascoltiate perché è conciso nel parlare”. Frate Aimone dunque si alzò quasi intimidito e tremante, mentre Elia si sedeva tutto tranquillo e imperturbabile, così almeno sembrava. Frate Aimone disse brevemente che apprezzava le parole di frate Elia, essendo quelle di un padre venerato; ma gli faceva osservare che se i frati avevano detto che volevano che mangiasse oro, non avevano detto che acconsentivano che avesse un tesoro. Inoltre, se avevano detto che volevano che avesse un cavalo, non avevano detto che acconsentivano che avesse un palafreno o un destriero. Subito frate Elia, perdendo la pazienza, dichiarò ad alta voce che frate Aimone mentiva; i suoi partigiani si misero a gridare ingiurie e a vociferare, e quelli della parte opposta si comportarono allo stesso modo. Turbato, il papa ordinò loro di tacere e disse: “Questo non è comportamento degno di religiosi”[101].
Sintetizzando possiamo dire che al capitolo generale del 1239 tutti i dissapori precedenti diventarono palesi, soprattutto al cospetto di Gregorio IX che era presente all’incontro. Aimone di Faversham si fece portavoce delle critiche dei frati alle scelte di Elia e, dinanzi allo scontro resosi manifesto, Gregorio IX depose Elia e fu eletto Alberto da Pisa, il primo sacerdote diventato ministro generale che era fino a quel momento ministro provinciale dell’Inghilterra[102].
Frate Elia aveva continuato con uno stile di governo assoluto, dando spazio ai frati laici, ma ciò risultava inadeguato per un ordine che ormai era entrato pienamente nell’ambito delle strutture pastorali ed amministrative della Chiesa. Secondo la norma della Regola, che dava la facoltà di eleggere un nuovo ministro generale se quello vigente fosse risultato inadeguato, si poteva destituire Elia per eleggere un successore; ma la facoltà di riunire il capitolo restava al generale ed Elia non lo convocò mai. Per questo i frati dovettero appellarsi direttamente al papa Gregorio IX; infatti, un gruppo fece ricorso al pontefice che incaricò una commissione di preparare un capitolo straordinario nel 1239 per risolvere il caso di Elia e rettificare la legislazione vigente che risultava inadeguata.
In quel capitolo si confrontarono, se non addirittura si scontrarono, due anime del minoritismo, quella laicale, tipica del centro Italia e legata alla memoria storica di san Francesco, rappresentata da frate Elia, e quella clericale e acculturata del nord, soprattutto di Francia ed Inghilterra, rappresentata da Aimone da Faversham, ma a livello ancor più emblematico da Antonio da Padova, già morto a canonizzato. Così Giotto nel dipingere l’apparizione di san Francesco al Capitolo di Arles in cui predicava il Santo di Padova si atterrà a quanto scritto da Bonaventura e raffigurerà «l’approvazione da parte di Francesco del nuovo stile di predicazione dei francescani, erudito e sapiente», di cui «Antonio, già canonizzato nel 1232, era l’esempio più rappresentativo»[103].
Cesare Sermei, Sant’Antonio predica davanti a Gregorio IX,
Assisi, Basilica di San Francesco
Cappella di Sant’Antonio da Padova, 1610
Tenendo conto di ciò non meraviglia, nelle ricostruzioni successive, la confusione che si fece tra i capitoli del 1230 e quello del 1239, con la sostituzione di Aimone da Faversham con sant’Antonio da Padova. In tal modo, quest’ultimo, sacerdote e acculturato, divenne il contrario opposto al laico frate Elia. Ciò verrà rappresentato nel Seicento nella Basilica di San Francesco in Assisi, nella Cappella di Sant’Antonio, da Cesare Sermei e collaboratori in un dipinto «non esente da scambio di eventi, date e protagonisti, non privo di anacronismi»[104]. La descrizione che Pasquale Magro fa di tale immagine ben rappresenta il segno di svolta del capitolo del 1239:
Nel riquadro in questione, tra due schieramenti contrapposti di frati, Antonio di Padova è raffigurato mentre conta al papa, sulle dite delle mani, le accuse a frate Elia; sulla destra è frate Elia che punta il dito contro Antonio; mentre il Papa col gesto della mano destra sta fermando Antonio, con la sinistra appoggiata al braccio destro di Elia, invita alla calma. [...] Nel quadro, mediando tra i partiti dei frati in conflitto sull’interpretazione e applicazione della Regola e del testamento di Francesco – rappresentati da Antonio di Padova e (impropriamente) da frate Elia – Gregorio IX gesticola nervoso, dicendo: “Questo non è comportamento degno di religiosi”. Ma i conti non tornano... perché tale rimprovero del papa avvenne nel capitolo del 1239 quando Antonio di Padova era morto da ben otto anni![105].
Frate Elia è rappresentato con la barba lunga, certamente un reminiscenza di quanto scrive Salimbene, del fatto, cioè, che, dopo il capitolo, «Frate Elia poi, ritirandosi in un eremo, si fece crescere barba e capelli»[106]. Al pittore, o al committente, non importava che ciò si riferisse al capitolo del 1230: ormai tra i due capitoli, intercorsi a nove anni di distanza, non si faceva più distinzione e senza problemi avveniva una trasposizione di fatti e personaggi, dalla presenza di sant’Antonio alla barba di frate Elia.
La vicenda del capitolo del 1239 segnò realmente una svolta che può essere sintetizzata con un’affermazione di Filippo Sedda secondo la quale «Elia fu il sassolino nella scarpa che dovette essere eliminato per la sua scomodità»[107]. Più che legittimo è porsi la domanda se in questo caso Elia non fosse il “sassolino inventato” per scaricare su di lui il “malessere”, proprio come sostiene in un suo volume Maria Teresa Dolso riguardo all’immagine del generale Michele da Cesena trasmessa dall’autore della Chronica XXIV Generalium: «Per il cronista, il male, pur assoluto ed inedito, è esterno all’Ordine: anche nel momento in cui la responsabilità ricade sul ministro generale, si tratta pur sempre dell’individuazione di un colpevole preciso che “salva” dal giudizio e dalla condanna il resto dell’istituzione, si tratta di circoscrivere quella colpa, di limitarla, quasi di “ridurla”, operazione che consente di salvaguardare la fedeltà della maggioranza dei frati e la rettitudine del loro agire. Eliminata, per così dire, l’appendice pericolosa, l’Ordine si salva»[108].
Come evidenziato in precedenza frate Elia non era un sacerdote, come frate Francesco; egli rappresentava l’ultimo ministro generale laico e favoriva la dimensiona laicale dei minori, cosa che gli sarà contestata ad esempio da Salimbene de Adam: «La seconda colpa di frate Elia fu che ammise nell’Ordine molte persone inutili. Ho dimorato nel convento di Siena due anni e vi erano venticinque frati laici; stetti a Pisa quattro anni e ve n’erano ben trenta»[109]. Ciò condurrà, dopo la sua deposizione nel 1239, ad una sempre crescente clericalizzazione dell’Ordine minoritico.
Salimbene stesso prende atto del fatto che all’inizio l’Ordine era formato fondamentalmente da laici e che, solo in un secondo momento, è diventato preponderante l’elemento clericale; il suo giudizio, se da una parte deve giustificare il motivo di questo passaggio, dall’altra può essere considerato in parte come sintomatico del sospetto con cui si guardava ai laici presenti nell’Ordine:
Se qualcuno poi domandasse: quale colpa ha dunque commesso Elia nell’accettare i frati laici, se eseguiva ciò che era stato stabilito dal Signore? Risponderò: Quello che gli uomini fanno, giudicalo dall’intenzione che hanno. [...] Allo stesso modo, se frate Elia accoglieva laici in grande quantità con l’intenzione di poter più facilmente dominare per mezzo loro e perché, una volta accettati, riempissero le sue mani portandogli denaro, dobbiamo dire con chiarezza che era giusto che, per questi motivi, fosse deposto da ministro generale[110].
Che le dimissioni di frate Elia nel 1239 fossero causate soprattutto da questa “sostituzione” dell’elemento laicale con quello clericale è testimoniato anche più tardi, ad esempio dalla Chronica XXIV Generalium la quale all’episodio della scomunica di frate Elia fa seguire la notizia, trasmessa in modo telegrafico, ma di importanza cruciale per il futuro dei Minori, dell’esclusione dei laici dalle cariche e dagli uffici dell’Ordine: «Hic Generalis frater Haymo laicos ad officia inhabilitavit, quae usque tunc, ut clerici, exercebant»[111].
Tale decisione venne portata a compimento con il generalato di Bonaventura di Bagnoregio il quale, nelle Costituzioni Narbonensi del 1260, sancì il divieto di ricevere laici tra i Minori ad eccezione dei casi in cui ne potesse trarre lustro l’Ordine stesso. Non fu un caso che due anni dopo il capitolo del 1239, nel 1241, il legato pontificio Gregorio da Montelongo, avendone ricevuto la delega dal capitolo cattedrale di Milano, scelse come arcivescovo metropolita di Milano frate Leone Perego, fino a quel momento ministro provinciale dei Frati Minori milanesi. Certamente la scelta fu fatta con l’appoggio di Gregorio IX e non presentava difficoltà di sorta, essendo l’eletto ormai membro di un Ordine alla cui guida non era più il laico frate Elia, ma un sacerdote[112].
Non solo Elia era un laico, ma apparteneva anche all’aria geografica del Centro-Italia, proprio come frate Francesco e anche ciò contribuì alla sua deposizione; infatti, con il capitolo del 1239 prese il sopravvento l’anima lombarda-nordica dell’Ordine minoritico, come dimostra il fatto che, se fino al 1239 i ministri provinciali di Inghilterra e Francia provenivano dalla penisola italica, da quel momento essi furono tutti locali, contribuendo a rafforzare un minoritismo, appunto, locale, fondamentalmente “parigino”.
La rimozione di frati italiani dall’incarico delle province oltralpe, con la conseguente nomina di frati locali, «fu una tendenza diffusa in tutte le province, ma soprattutto datata ad annum ad ogni livello della gerarchia», ossia al 1239[113]. Ed è in questo contesto che deve essere letta la frase del beato Egidio di Assisi secondo cui Parigi ha distrutto Assisi[114].
Successivamente alla morte di Francesco la comunità di San Damiano in Assisi, guidata da madonna Chiara, divenne un luogo di riferimento per molti compagni del Santo. Ma se la presenza di frate Leone è in un certo qual modo più nota e significativa – al punto che proprio a Chiara egli lasciò i famosi rotoli tanto importanti per la conservazione e costruzione della memoria di Francesco – così come anche quella di altri compagni quali Angelo e Ginepro, meno risaputa è la notizia che anche frate Elia, soprattutto dopo le dimissioni del 1239, nutriva un legame particolare con Chiara d’Assisi, con la quale condivideva la determinazione nella difesa del carisma originario. Dopo la deposizione Elia fu ancora per qualche tempo in Assisi dove il 27 maggio 1239 è ricordato come custode della chiesa di San Francesco[115].
Elia rimase legato a Chiara ed alle “sorelle povere” e si prese cura di loro proprio come fece frate Francesco; tale atteggiamento, che rappresentava la naturale continuazione di quanto aveva fatto da ministro generale, era, tuttavia, contrario all’interpretazione che la Quo elongati aveva dato del divieto della Regola: «Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni sospette con donne, e di non entrare nei monasteri delle monache, eccetto quelli ai quali dalla Sede apostolica è stata concessa una licenza speciale»[116]. Soprattutto tale comportamento non era condiviso dalla nuova elite dell’Ordine e quindi non passò certamente sotto silenzio se Tommaso da Eccleston lo addusse come motivo della scomunica in cui Elia incorse:
Dopo questi avvenimenti [del capitolo del 1239], frate Elia scelse di dimorare a Cortona e, senza licenza e malgrado la proibizione del ministro generale, si recò a visitare i monasteri delle povere signore, ragione per cui sembrò che egli fosse incorso nella sentenza di scomunica decretata dal papa[117].
Il comportamento di Elia, d’altronde, era in perfetta consonanza con quello di Francesco; se leggiamo soprattutto la sua lettera ai frati francesi della comunità di Valenciennes egli riecheggia il pensiero di frate Francesco espresso nella Regola non bollata: «Osserviate fedelmente sino alla morte, con purezza, inviolabilmente e senza stancarvi il santo vangelo del signor nostro Gesù Cristo e la nostra santa Regola»[118]. Si tratta di una fedeltà al Vangelo ed alla Regola proprio come quella propugnata da Francesco e che, però, il capitolo del 1239 ritenne ormai insoddisfacente per affrontare le nuove problematiche, tanto da sentire il bisogno di emanare una serie di costituzioni.
Tra le nuove norme vi era anche quella che sanciva, da allora in avanti, la nomina dei ministri provinciali da parte dei capitoli e non più del ministro generale, come testimonia Giordano da Giano: «Nell’anno del Signore 1239 convennero a Roma i frati scelti dalle province e, secondo il consiglio e la volontà del signor papa e l’approvazione del capitolo generale, stabilirono che si facessero le elezioni dei ministri, dei custodi e dei guardiani e altre cose, che si osservano anche attualmente»[119].
Tale decisione, se da una parte esprimeva il desiderio di evitare che si ripetesse una forma di governo assoluto come era accaduto con frate Elia, dall’altra era indice del fatto che tale modalità dispotica di esercitare l’autorità compariva, tuttavia, nelle norme esistenti, che risultavano, per questo motivo, incomplete, se non addirittura insufficienti.
Il ministro generale Alberto da Pisa cercò di giungere ad una riappacificazione con frate Elia, come testimonia Tommaso da Eccleston:
Frate Alberto gli comandò di venirlo a trovare per ricevere l’assoluzione o almeno di incontrarsi in qualche luogo a mezza strada. Ma frate Elia oppose un netto rifiuto; e il fatto giunse all’orecchio del papa. Sapendo bene frate Elia che il papa voleva che egli obbedisse al ministro generale, come ogni altro frate, non sopportando questa umiliazione, lui che aveva mai imparato a obbedire, si trasferì nella regione di Arezzo. Allora fu scomunicato pubblicamente dal papa, come meritava[120].
Da queste informazioni è possibile ipotizzare come dopo la sua deposizione da ministro generale, Elia avesse ottenuto la fiducia dei frati, con la nomina, per breve tempo, a custode della Chiesa di San Francesco in Assisi, ma continuando, nello stesso tempo, a condurre uno stile di vita più legato a quello della fraternitas minoritica – come il frequentare i monasteri legati a Chiara – che a quello dell’Ordine dei Minori.
In seguito, egli venne richiamato dal ministro generale a nome del Papa; temendo di essere punito da coloro che con tanto accanimento lo avevano accusato soltanto l’anno precedente, nel 1239, e non potendo appellarsi al papa Gregorio IX, di cui aveva perso l’appoggio, Elia cercò rifugio presso l’imperatore dal quale era certo di ricevere protezione. Bisogna, infatti, ricordare che ad Arezzo si era trasferito, dalla fine del 1239 al gennaio del 1240, l’imperatore Federico II, scomunicato da Gregorio IX. Lo schieramento di Elia con l’imperatore non poteva certo passare inosservato e ciò gli valse la scomunica.
Secondo Riccardo di San Germano verso il Natale del 1239 Elia ha già abbandonato Assisi, dove non tornerà più e si è associato all’Imperatore[121]: inizia il suo spostamento graduale ma definitivo da Assisi a Cortona e proprio in tale passaggio frate Elia da Assisi diviene frate Elia da Cortona. Se Mariano da Firenze nel Cinquecento sbaglia nel definire Cortona come la città patria di Elia, è più che esatto ciò che è scritto in una immagine del Seicento, raffigurante una serie di Ministri Generali, che definisce Elia «de Assisio, ab incolatu Cortonensis»; frate Elia viene riconosciuto come di origine assisana, ma viene detto di Cortona poiché vi ha abitato[122].
Associatosi all’imperatore Federico II che venne scomunicato nel 1239, anche Elia incorse, dunque, nella scomunica di Gregorio IX, nel 1240, confermata dal suo successore Innocenzo IV. D’altra parte l’imperatore nutriva una profonda simpatia per frate Elia ed un documento proveniente dalla sua cancelleria, forse del luglio 1239, esprimeva il malcontento di Federico II per la deposizione di Elia che reputava vittima della politica papale volta, secondo lui, a colpire tutti coloro che volevano promuovere la pace dell’impero. Federico II, nel sostenere il proprio punto di vista, affermava che Elia era stato scelto dallo stesso san Francesco come suo successore e tale idea è riportata con «tale decisione da farci pensare che una simile interpretazione fosse accettata correntemente o, almeno, avesse larga diffusione»[123]. Sempre secondo tale fonte, Gregorio IX avrebbe cercato di far andare a Roma l’ex ministro generale per farlo arrestare, poiché aveva il timore che rivelasse all’imperatore i segreti della curia romana; l’ipotesi avanzata dalle fonti imperiali non sarebbe totalmente priva di fondamento se è vero, in base a quanto scrive Matteo Paris, che Elia avrebbe accusato la Chiesa romana di simonia e usura e tacciato il papa di prendere decisioni senza consultare i cardinali e di dare ai suoi inviati mandati in bianco, cioè lettere già bollate, ma ancora prive di contenuto e quindi facilmente utilizzabili per fini illeciti[124].
Quindi dal 1239 frate Elia entrò a far parte del seguito dell’imperatore e continuò a celebrare funzioni religiose alle quali anche Federico II partecipava, benché fosse scomunicato. Ugualmente portava l’abito dei Minori e in ciò si vede non solo il suo attaccamento all’identità minoritica, ma anche la sua forza di carattere. Se nel momento della prova Ubertino da Casale diventò benedettino e Angelo Clareno trovò rifugio dai benedettini a Subiaco, frate Elia continuò a rimanere frate anche quando il papa e l’Ordine non lo riconobbero più come tale essendo scomunicato. Certamente in questa situazione la scomunica non poteva che essere comminata oltre che all’imperatore anche all’ex ministro generale, il quale anche in pubblico mostrava il suo nuovo stile di vita, ad esempio andando a cavallo insieme all’imperatore stesso, come ricorda Salimbene de Adam:
Decima colpa di frate Elia fu che, dichiarato decaduto, non prese la cosa con umiltà e pazienza, ma parteggiò in tutto per l’imperatore Federico, che era stato scomunicato da Gregorio IX, cavalcando e dimorando con lui, assieme ad alcuni frati del suo gruppo, con l’abito dell’Ordine. [...] Diede occasione di scandalo perfino agli incolti e agli altri secolari; e difatti il popolino, i fanciulli e le fanciulle, quando incontravano i frati minori per le strade della Toscana, come centinaia di volte ho sentito, li canzonavano così:
Hort atorno frat’Helya
Ke pres’ ha la mala via.
[...] Reagendo a questa provocazione, papa Gregorio lanciò la scomunica contro Elia[125].
Quella con l’imperatore assumeva anche i caratteri di una feconda condivisione di comuni interessi scientifici, che attirarono su Elia anche l’accusa di «coltivare l’alchimia»[126]. La sua familiarità con Federico II si approfondì tanto che Elia giunse al punto di essere mandato presso l’imperatore greco di Nicea, Giovanni Vatatzes, come inviato imperiale, in quanto “diletto familiare” dell’imperatore. Da quel viaggio riportò la reliquia della Santa croce che venne donata alla Chiesa di San Francesco in Cortona alla cui costruzione prese parte lo stesso Elia, dopo averne ricevuto dal Comune il terreno, il 23 gennaio 1245, in quanto cittadino “bene merito”[127]. Da quel momento in poi rimase a Cortona.
Secondo Angelo Clareno Elia cercò di riconciliarsi con il papa e scrisse una lettera al ministro generale Alberto da Pisa, che però morì a distanza di poco tempo, senza poter consegnare la missiva:
Scomunicato dal predetto santo pontefice Gregorio perché sembrava passato al seguito dell’imperatore, nella scomunica morì per colpa o negligenza del suo successore, frate Alberto, che trascurò di presentare al papa la lettera di scusa e di soddisfazione di frate Elia, come gli aveva promesso. Infine, dopo non molti giorni, quando lo stesso frate Alberto da Pisa morì, nella tasca interna della tonaca fu trovata la lettera di soddisfazione che doveva essere portata al papa. E [...] così la sua lettera di soddisfazione, che dichiarava il suo proposito e la sua obbedienza, in qualsiasi maniera sia stata trattenuta, non giunse al sommo pontefice, ed egli morì disobbediente alla Chiesa e separato dalla Religione[128].
Il successore di Alberto da Pisa, Aimone di Faversham, nemico acerrimo di Elia nel capitolo del 1239, non poteva certamente essere la persona adatta per facilitare una possibile riconciliazione. Il successivo ministro generale Giovanni da Parma, secondo Salimbene de Adam, compì un ultimo tentativo per far assolvere Elia dalla scomunica:
Un giorno il ministro generale, frate Giovanni da Parma, mandò da lui frate Gerardo da Modena, che era dei frati dei primi tempi e a lui familiare, perché lo pregasse per amor di Dio e di san Francesco, per il bene della sua anima e per dare buon esempio, di ritornare alla sua Religione; ed egli gli avrebbe usato ogni delicatezza e misericordia. Ma Elia rispose a frate Gerardo: “Ho sentito dire tanto ben di questo venerando padre Giovanni da Parma, che non ricuserei di gettarmi ai suoi piedi confessando la mia colpa e confidando nella sua bontà. Ma sono preoccupato dei ministri provinciali, che ho offeso, che non mi ingannino gettandomi legato in carcere e mi nutrano di pane duro e poca acqua. Inoltre, sapendo di aver offeso la Curia romana, so di certo che il cardinale protettore dell’Ordine si intrometterebbe nell’assegnarmi la penitenza. E non voglio neppure perdere il favore dell’imperatore, che godo in questo momento”. Frate Gerardo si trattenne alle Celle per un giorno intero [...] e una notte [...] ma si affaticò invano. Appena albeggiò, s’affrettò a salutare e a partire con il suo compagno, e raccontò al generale tutto quello che aveva udito e visto. In seguito frate Elia morì. Era stato scomunicato da papa Gregorio IX. Se sia stato assolto e abbia provveduto bene all’anima sua, ora lo saprà lui[129].
Se rimangono ignote le ragioni che spinsero Elia a schierarsi per l’imperatore, è probabile che quest’ultimo sperasse di riuscire mediante l’ex ministro generale a dividere l’Ordine minoritico che era uno dei punti forza del potere papale. Certamente la causa della scomunica di Elia fu la disobbedienza agli ordini papali, dal momento che egli si schierò con l’imperatore. Infatti, in procinto di morte egli stesso si accusò di aver seguito Federico II «contra mandatum Ecclesiae», di non aver avuto cura dell’ordine come era suo dovere e di essere stato vanaglorioso. Nel processo verbale riguardante l’assoluzione della scomunica a frate Elia, svoltosi a Cortona nei giorni 2-6 maggio 1253, si chiese ripetutamente e insistentemente ai testimoni se l’ex ministro generale «avesse giurato di sottomettersi ai comandi della Chiesa», «se fosse tornato agli ordini della Chiesa prima della morte e se avesse giurato di rimanere agli ordini del Papa».
I testimoni prontamente risposero che egli giurò «di sottostare agli ordini della santa Romana Chiesa e soprattutto agli ordini del Papa»; «di sottomettersi agli ordini del Papa per tutte le scomuniche a lui inflitte da papa Gregorio e da papa Innocenzo IV a causa della sua obbedienza a Federico, delle sue dimissioni dall’ordine dei Frati Minori o per qualunque altra causa fosse stato scomunicato»; «di obbedire e di seguire i precetti della Chiesa Romana e del Papa per il fatto che si era schierato con l’imperatore Federico e lo aveva seguito e poiché per ciò Papa Gregorio e Papa Innocenzo IV lo avevano scomunicato». Inoltre, dichiarò «la sua colpa [...], cioè che aveva aderito a Federico e si era posto fuori dell’obbedienza dell’Ordine», di aver «seguito Federico contro gli ordini della Chiesa». Dopo tale giuramento e confessione gli fu data l’assoluzione dall’arciprete di Cortona: «Elia, ti assolvo dalla sentenza di scomunica, poiché seguisti l’imperatore, e da ogni altra scomunica»[130]. Come si vede in punto di morte Elia si riconciliò con la Chiesa, confessando le sue colpe e dimostrando, in questo modo, che la sua era, indubbiamente, una scomunica di tipo “politico”.
Se questo è quanto risulta dal processo postumo a lui fatto, tuttavia, come scrive Giulia Barone, «il problema di Elia è a monte: troppo attaccato alle origini dell’Ordine per favorirne la clericalizzazione, troppo conscio dei problemi nuovi per mantenersi strettamente fedele ai costumi primitivi, Elia è riuscito a scontentare tradizionalisti e innovatori»[131].
Se le biografie dedicate a san Francesco ne dimenticarono presto il nome – come mostra il Memoriale in desiderio animae terminato da Tommaso da Celano nel 1247 – lo stesso avvenne nella Basilica di san Francesco in Assisi. Se la sua Assisi, lo aveva dimenticato, o meglio cercava di dimenticarlo, Cortona ormai lo aveva adottato per cui egli, a buon diritto, poté essere denominato frate Elia da Cortona.
A Cortona Elia, stando a quanto testimoniano gli atti del processo postumo, voluto dal papa nel maggio 1253 per stabilire tempi e modo dell’assoluzione della scomunica, conduceva uno stile di vita simile a quello descritto da Francesco nella regola per coloro che vivono negli eremi. Accanto a lui vi erano dei compagni, tra i quali spiccava un certo frate Angelo, che potrebbe essere stato il tramite dei continui legami con Chiara d’Assisi[132].
Negli ultimi anni della sua vita ottenne anche un certo riconoscimento del suo ruolo, tanto che tra il 1250 ed il 1252 fu composta la Legenda choralis Umbra che elogia Elia come uno dei compagni di san Francesco e ne fa il rappresentante dell’ala rigorista contraria alla metamorfosi clericale nell’Ordine, rappresentata dall’elezione di un sacerdote, ossia Alberto da Pisa, come ministro generale ed istituzionalizzata con le costituzioni emanate nel 1239 e confermate a Narbona ai tempi di Bonaventura. Un ulteriore riconoscimento può essere colto in un racconto riferito da Tommaso da Eccleston, secondo il quale quando i frati acculturati iniziarono a spiegare la Regola, mediante la scrittura di expositio più o meno dettagliate, davanti alle perplessità dovute a tale scelta, san Francesco stesso avrebbe invitato a rivolgersi piuttosto ai frati laici:
fu emanato dal capitolo il decreto che fossero scelti dei frati in tutte le province dell’Ordine, i quali annotassero quei passi della Regola su cui esistevano dei dubbi e li trasmettessero al ministro generale. In Inghilterra furono eletti frate Adamo Marsh, frate Pietro, custode di Oxford, frate Enrico da Burford e qualche altro. In quella stessa notte san Francesco apparve a frate Giovanni Bannister e gli mostrò un pozzo profondo. Frate Giovanni disse: “Padre, ecco, i padri vogliono spiegare la Regola, molto meglio sarebbe che fossi tu a spiegarcela”. Il santo rispose: “Figlio, và dai fratelli laici ed essi ti esporranno la tua Regola”[133].
Secondo Tommaso da Eccleston tale episodio ebbe luogo mentre era ministro generale il chierico Aimone da Faversham e quindi, come sostiene Merlo, tra i frati laici a cui san Francesco rinvia per avere un’esatta spiegazione della Regola certamente compariva lo stesso frate Elia, ormai esautorato da qualsiasi potestà[134].
Nella primavera 1253 frate Elia stava ormai per morire; il 19 aprile venne assolto dalla scomunica dall’arciprete di Cortona dopo aver espresso la sua volontà di riconciliarsi con la Chiesa ed il papa. Tutto ciò venne verificato nei primi giorni del maggio successivo mediante un’inchiesta processuale condotta per incarico di papa Innocenzo IV da frate Valasco dell’Ordine dei frati Minori; egli, al termine di ogni testimonianza che attesta come Elia si riconciliò con la Chiesa prima di morire, chiese agli intervistati se per caso non fossero anche loro scomunicati ed essi negarono pur lasciando non pochi dubbi a riguardo[135].
Inoltre interrogato [Bencio, arciprete di Cortona] se, nel momento in cui lo aveva assolto dalla sentenza di scomunica e aveva ascoltato la sua confessione fosse lui stesso scomunicato o interdetto, rispose: no, per quel che ne sapeva. [...] Interrogato [frate Diotefece, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori] se lo stesso arciprete che aveva assolto Elia a quel tempo fosse scomunicato o interdetto, rispose: non so. [...] Interrogato [Bono, priore dell’Abbazia di Cegliolo] se fossero stati scomunicati o interdetti [l’arciprete che gli aveva imposto la penitenza e lo aveva assolto e frate Diotefece che gli aveva somministrato il corpo del Signore], rispose che mai aveva sentito dire ciò né sapeva che quelli fossero scomunicati o interdetti. Interrogato [Giovanni Bonino, laico familiare e compagno di Elia] se l’arciprete che lo aveva assolto e gli aveva imposto la penitenza e frate Diotefece che gli aveva somministrato il corpo del Signore a quel tempo fossero scomunicati o interdetti, rispose: non credo. Interrogato in che modo ne fosse a conoscenza, ripose che non aveva sentito dire alcuno di loro fosse stato scomunicato o interdetto ed anche che ognuno di loro quasi ogni giorno celebrava messa[136].
Tali risposte, sempre molto vaghe, tradiscono come i testimoni stessi e probabilmente coloro che stesero il verbale, fossero a conoscenza della scomunica degli ecclesiastici e dell’interdetto a cui era sottoposta Cortona, non per aver dato appoggio all’Imperatore, bensì per il contrasto con il vescovo di Arezzo[137]. Quindi anche l’assoluzione della scomunica di Frate Elia, nonché l’inchiesta che ne derivò, risultarono essere una sorta di “imbroglio” legislativo e processuale teso a recuperare in extremis l’ex ministro generale. La realtà è che frate Elia fu assolto in punto di morte da un sacerdote scomunicato alla presenza di testimoni anch’essi scomunicati, anche se nel processo si volle far risultare il contrario.
D’altra parte le scomuniche a quel tempo erano molto diffuse; basti ricordare che successivamente Angelo Clareno non ebbe timore a dire che Chiara d’Assisi fu scomunicata da papa Gregorio IX per il semplice motivo di non voler accettare beni[138].
Giuridicamente Elia fu riabilitato mediante il processo condotto per ordine di Innocenzo IV e così negli Actus beati Francisci, tradotto nei Fioretti, con una profezia post eventum, si potè far affermare a san Francesco che Elia sarebbe stato in futuro perduto per essere poi salvato soltanto in extremis:
Dimorando una volta in un luogo insieme di famiglia santo Francesco e frat’Elia, fu rivelato da Dio a santo Francesco che frate Elia era dannato e dovea apostatare dall’Ordine e finalmente morire fuori dell’Ordine. [...] E pregando Iddio divotissimamente per lui, intese per rivelazione che la sua orazione era da Dio esaudita quanto alla revocazione della sentenza di dannazione di frat’Elia, che finalmente l’anima sua non sarebbe dannata[139].
Il 21 aprile Elia ricevette l’Eucarestia dal frate minore Diotefece, alla presenza di frate Angelo, frate Mansueto e del servitore Elia Buongiovanni. Il 22 aprile 1253 morì: era la vigilia della festa di san Giorgio, ossia del giorno in cui nove anni dopo, nel 1262, morì a Perugia frate Egidio di Assisi, uno dei compagni di san Francesco. Una mera coincidenza, che sembra, però, sancire come entrambi furono compagni di quel “fratello” che divenne san Francesco.
5. Conclusioni
Al termine di queste riflessioni si fa ancora più stringente la domanda sulla reale personalità di colui che Giulia Barone definisce un “personaggio straordinario”[140], vale a dire frate Elia. Prima di tutto va riconosciuta la complessità della sua vita che non fu mai di natura utopica, ma si svolse sempre nell’ambito della dialettica e della drammaticità della storia. La successiva “costruzione della memoria” ebbe bisogno, però, di semplificare la storia, facendo scomparire le zone d’ombra in san Francesco e le zone di luce in frate Elia. Ciò portò, ad esempio, a narrare, a suo demerito e come segno della sua aggressività, l’evento della rottura del sigillo del ministro provinciale di Inghilterra Agnello da Pisa, tacendo come ciò fosse non solo suo diritto, ma preciso dovere, in quanto ministro generale.
Questo accade anche a proposito della narrazione della storia istituzionale, in cui il passato viene pensato e rappresentato in funzione di un presente da celebrare. A questo proposito Maria Teresa Dolso, in un recente studio, afferma che, ad esempio, frate Elia «diviene lo strumento più efficace per rappresentare il male e la corruzione, per delimitare e circoscrivere responsabilità e tralignamenti, “salvando” il resto dei frati, nella certezza di attaccare una figura contro la quale si era coalizzato tutto l’Ordine, contro la quale si trovavano d’accordo tutti i frati, indipendentemente dalle loro convinzioni e dalle loro divisioni»[141]. Antonio Rigon così definisce il “consenso” creatosi attorno alla condanna di Elia: «Nella condanna di Elia e nell’esaltazione di Antonio quale suo grande antagonista potevano concordare e di fatto concordavano tutti: sia gli Spirituali sia i frati della comunità»[142]. Non solo viene presentato un Antonio contrapposto ad Elia, ma persino alleato con Chiara nella difesa della Regola di san Francesco che invece Elia avrebbe voluto cambiare e ciò contrariamente a quanto realmente era avvenuto e che sicuramente non aveva visto Chiara contrapposta ad Elia[143].
Elia è persona di governo, è architetto, è compagno di san Francesco che riceve la benedizione, secondo alcuni è persino alchimista e, quindi, simbolo di gruppi esoterici. Ma Elia prima di tutto è frate Elia e la sua è una “esperienza cristiana” come mostra il suo scritto ai frati di Valenciennes. In una recentissima pubblicazione, Maria Teresa Dolso segnala come nel codice A/17 dell’archivio della curia generalizia dei frati Minori a Roma, che contiene la Chronica XXIV Generalium, dalla riga 5 del foglio 28v alla riga 2 del foglio 29r vi sia un’aggiunta inedita di notevole interesse:
Vi si narra di come Elia, malato e prossimo alla morte, avesse previsto, di fronte al popolo di Cortona in ansia per il suo destino (gravava ancora su di lui la scomunica), la concessione, da parte del papa, del pieno perdono e la sua perfetta riammissione nell’alveo della Chiesa. Passati i tre giorni previsti da Elia, fa ritorno il frate inviato a Roma «cum bullis papalibus ad dictum Helyam directis cum sui absolutione et indulgentia plenaria omnium suorum peccatorum, que bulle date fuerant ante mortem». I frati, il popolo di Cortona e tutto il clero, «cum summo gaudio», seppelliscono infine Elia nel convento minoritico con la più sentita devozione[144].
Elia, ormai divenuto “da Cortona”, muore ed il popolo cortonese lo riconosce come proprio punto di orgoglio, se non un santo, certamente un personaggio cittadino di spicco. E non aveva tutti i torti: Elia aveva vissuto nella storia con tutte le sue complessità, contraddizioni, se non addirittura eccessi. Certamente non si rassegnò a vivere in un mondo utopico, fosse pure quello di san Francesco e certamente non si può dire di lui quanto scrisse Charles Peguy di alcuni: “si vantano di avere le mani pulite semplicemente perché non hanno le mani”.
Elia moriva riconciliato con la Chiesa, con mani se non perfettamente “pulite”, certamente operose, che avevano contribuito a costruire due stupende chiese destinate a diventare memoria perenne della grandezza di frate Francesco.
Bibliografia essenziale
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Note al testo
[1] Frate Elia da Cortona, a cura di E. Mori, Calosci - Cortona 1998 (Fonti e testi, 5); F. Venuti, Vita di frate Elia da Cortona,a cura di E. Mori, Cortona 2002 (Fonti e testi, 7); E. Lempp, Frate Elia da Cortona, a cura di E. Mori, Cortona 2003 (Fonti e testi, 8).
[2] F. Venuti, La Reliquia della Croce Santa. Notizie storiche e critiche sulla croce cortonese. De Cruce Cortonensi dissertatio, a cura di E. Mori, traduzione di E. Mirri, Cortona 2004 (Cortona francescana, 1).
[3] Salimbene de Adam, Cronaca, in Fonti Francescane. Nuova edizione, a cura di E. Caroli, Padova 2004, 2605 (d’ora in poi sarà abbreviato con FF, indicando il numero che segue non la pagina, ma la numerazione progressiva dei testi).
[4] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 6: FF 329: «Vi era ad Assisi un giovane, che gli era caro più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l’amicizia e il mutuo affetto lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo conduceva con sé in posti solitari e adatti al raccoglimento, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L’amico, esultante e incuriosito, accettava volentieri l’invito di accompagnarlo».
[5] Raimondo Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso della minoritas. La Vita beati Francisci di Tommaso da Celano, Roma 2004 (Nuovi Studi Storici, 66), 77.
[6] C. Schmitt, I vicari dell’Ordine francescano da Pietro Cattani a frate Elia, in Francesco d’Assisi e francescanesimo dal 1216 al 1226. Atti del IV Convegno internazionale (Assisi, 15-17 ottobre 1976), Assisi 1977, 235-263.
[7] Giordano da Giano, Cronaca, 17: FF 2342.
[8] Francesco d’Assisi, Lettera a un ministro: FF 234-239.
[9] Francesco d’Assisi, Regola bollata: FF 73a.
[10] Francesco d’Assisi, Lettera a tutto l’Ordine,2-3: FF 215.
[11] Francesco d’Assisi, Regola bollata, VIII,1-3: FF 96.
[12] Giordano da Giano, Cronaca, 51: FF 2380.
[13] F. J. Mapelli, L’amministrazione francescana di Inghilterra e Francia. Personale di governo e strutture dell’Ordine fino al Concilio di Vienne (1311), Roma 2003 (Medioevo, 7), 14-15.
[14] W. Schenklunh, La basilica di San Francesco in Assisi: Ecclesia specialis. La visione di papa Gregorio IX di un rinnovamento della Chiesa, Milano 1994 (Fonti e ricerche, 5).
[15] Giordano da Giano, Cronaca, 31: FF 2358.
[16] Giordano da Giano, Cronaca, 14: FF 2337.
[17] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 69: FF 441. Cfr. F. Accrocca, Francesco e il demonio. La guarigione della donna a Sangemini, in Il Santo 39 (1999), 221-241.
[18] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 98: FF 491.
[19] Francesco d’Assisi, Regola non bollata, IX,10-11: FF 32.
[20] Francesco d’Assisi, Cantico delle creature, 20-22: FF 263.
[21] Francesco d’Assisi, Regola di vita negli eremi, 1: FF 136.
[22] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 109: FF 508.
[23] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 105: FF 329.
[24] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 109: FF 510.
[25] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 110: FF 511.
[26] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 108: FF 506.
[27] F. Accrocca, La benedizione di Francesco morente, in Frate Francesco 69 n.s. (2003), 209-232.
[28] Francesco d’Assisi fu “il Santo” per eccellenza di papa Gregorio IX, tanto da poter essere raffigurato come un carattere distintivo della sua effige, come avvenne a Subiaco. Cfr. F. Mores, Alle origini dell’immagine di Francesco d’Assisi Padova 2004 (Fonti e ricerche, 18), 343-359.
[29] Lettera enciclica di frate Elia a tutte le province dell’Ordine sulla morte di san Francesco: FF 304-314; F. Accrocca, La lettera (o le lettere) di frate Elia sul transito di Francesco, in Frate Francesco 69 n.s. (2003), 503-520.
[30] Giordano da Giano, Cronaca, 31: FF 2358.
[31] Raimondo Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso, 251.
[32] Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, 95: FF 486.
[33] Raimondo Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso, 286-287.
[34] Tommaso da Eccleston, L’avvento dei frati minori in Inghilterra, 77: FF 2502.
[35] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 78: FF 2503: «Questo capitolò inviò al papa Gregorio IX messaggeri per ottenere una dichiarazione sulla Regola, cioè sant’Antonio, frate Gerardo Rossignol, penitenziere del papa, frate Aimone, che divenne più tardi ministro generale, frate Leone, nominato poi arcivescovo di Milano, frate Gerardo da Modena e frate Pietro da Brescia.».
[36] Gregorio IX, Quo elongati, 10: FF 2738.
[37] Gregorio IX, Quo elongati, 11: FF 2739.
[38] Vita di santa Chiara vergine, 37: FF 3232.
[39] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 77: FF 2502.
[40] G. G. Merlo, Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale Assisi 1991 (Saggi, 2); P. Messa,Frate Francesco tra vita eremitica e predicazione, Assisi 2001; Id.,Egidio d’Assisi e Luigi IX, ovvero i Frati Minori e la predicazione, in Studi Francescani 98/3-4 (2001), 257-271.
[41] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 78: FF 2503.
[42] Gregorio IX, Quo elongati, 3: FF 2731.
[43] Francesco d’Assisi, Regola bollata, VIII,4: FF 97.
[44] P. Etzi, Iuridica franciscana. Percorsi monografici di storia della legislazione dei tre Ordini francescani, Padova 2005 (Studi francescani, 5), 29.
[45] P. Etzi, Iuridica franciscana, 159.
[46] Salimbene d Adam, Cronaca, 26: FF 2617.
[47] Giordano da Giano, Cronaca, 62: FF 2394.
[48] F. J. Mapelli, L’amministrazione francescana, 106.
[49] Giordano da Giano, Cronaca, 63: FF 2395.
[50] Francesco d’Assisi, Regola non bollata, IV,2 : FF 13.
[51] Francesco d’Assisi, Regola bollata, X,1 : FF 100.
[52] F. J. Mapelli, L’amministrazione francescana, 17-19.
[53] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 96: FF 2523.
[54] F. J. Mapelli, L’amministrazione francescana, 57.
[55] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 96: FF 2523.
[56] Francesco d’Assisi, Regola bollata, III,12: FF 85.
[57] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 80: FF 2505: «Frate Aimone disse brevemente che [...] se [i frati] avevano detto che volevano che avesse un cavallo, non avevano detto che acconsentivano che avesse un palafreno o destriero».
[58] Giordano da Giano, Cronaca, 61: FF 2392.
[59] P. Magro, La memoria di frate Elia nella Basilica e nel Sacro Convento di San Francesco in Assisi, Assisi 2003.
[60] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 81: FF 2506.
[61] Francesco d’Assisi, Regola bollata, IV,1: FF 87.
[62] Francesco d’Assisi, Testamento, 25: FF 123.
[63] Processo di Canonizzazione, 3,99-101, in Santa Chiara di Assisi. I primi documenti ufficiali: Lettera di annunzio della sua morte, Processo e Bolla di Canonizzazione. Introduzione, testo, note, traduzione italiana dei testi latini e indici a cura di P. Giovanni Boccali, Santa Maria degli Angeli 2003 (Pubblicazioni della Biblioteca Francescana Chiesa Nuova – Assisi, 10), 123-124: FF 2996.
[64] Giordano da Giano, Cronaca, 61: FF 2392.
[65] Giordano da Giano, Cronaca, 62: FF 2394.
[66] Francesco d’Assisi, Testamento, 25.27: FF 123.
[67] J. Dalarun, Francesco d’Assisi: il potere in questione e la questione del potere. Rifiuto del potere e forme di governo nell’Ordine dei frati Minori, Milano 1999 (Fonti e ricerche, 13).
[68] G. G. Merlo, Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale, Assisi 1991 (Saggi, 2), 36-40. Cfr. anche M. T. Dolso, Le maledizioni di Francesco, in Il Santo 43 (2003), 601-620.
[69] Francesco d’Assisi, Testamento, 31-34: FF 126.
[70] Francesco d’Assisi, Lettera a frate Leone, 1-2.4: FF 249-250.
[71] F. Accrocca, La vita esigente. Le durezze di fratello Francesco, in Id., Francesco fratello e maestro, Padova 2002 (Orientamenti formativi francescani, 11), 127-144.
[72] P. Messa,Un testimone dell’evoluzione liturgica della fraternitas francescana primitiva: il Breviarium sancti Francisci, in Revirescunt Chartae, codices documenta textus: miscellanea in honorem fr. Caesaris Cenci, OFM, ed. A. Caciotti – P. Sella, voll. I-II, Romae 2002 (Medioevo, 5), 5-141; Id.,L’Officium mortuorum e l’Officium beate Marievirginis nel Breviarium sancti Francisci, in Franciscana. Bollettino della Società internazionale di studi francescani 4 (2002), 111-149.
[73] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 54: FF 2477.
[74] G. Barone, Da frate Elia agli Spirituali, Milano 1999 (Fonti e ricerche, 12), 51.
[75] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 53: FF 2475.
[76] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2615.
[77] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 65: FF 2489.
[78] G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, prefazione di G. Miccoli, Padova 2003, 148.
[79] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2619.
[80] Fioretti, IV: FF 1831.
[81] Giordano da giano, Cronaca, 11-12: FF 2333-2334.
[82] Compilazione di Assisi, 18: FF 1564.
[83] Francesco d’Assisi, Testamento,38-39: FF 130.
[84] Tommaso da eccleston, L’avvento, 27: FF 2444.
[85] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2612.
[86] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2623.
[87] Francesco d’Assisi, Regola bollata, III,14: FF 86.
[88] G. Miccoli, Parole, “logia”, detti, inFrancesco d’Assisi, Scritti, Padova 2002, 538-545.
[89] G. Barone, Da frate Elia, 78-79. Frate Elia avrebbe anche operato in favore di una possibile riconciliazione tra la Chiesa greca e latina: cfr. S. Vecchio, Elia d’Assisi, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, 42, Roma 1993, 452-453.
[90] G. Barone, Da frate Elia, 58.
[91] Tommaso da Celano, Memoriale nel desiderio dell’anima, 207: FF 796.
[92] C. Vaiani, Francesco e Chiara d’Assisi. Analisi del loro rapporto nelle fonti biografiche e negli scritti, Milano 2004 (Coscentia, 2), 25.
[93] M. P. Alberzoni, Chiara e il papato, Milano 1995 (Aleph, 3), 69-89; Id., Chiara e San Damiano tra Ordine minoritico e Curia papale, in Clara claris praeclara. L’esperienza cristiana e la memoria di Chiara d’Assisi in occasione del 750° anniversario della morte. Atti del Convegno Internazionale (Assisi, 20-22 novembre 2003), in Convivium Assisiense 6/1 (2004), 27-70.
[94] Chiara d’Assisi, Lettera seconda ad Agnese di Boemia, 15-16: FF 2877.
[95] Francesco d’Assisi, Ultima volontà alle “povere signore”: FF 140.
[96] F. Sedda, La “malavventura” di frate Elia. Un percorso attraverso le fonti biografiche, in Il Santo 41 (2001), 235-238.
[97] Chiara d’Assisi, Lettera seconda ad Agnese di Boemia, 17-18: FF 2878.
[98] Gregorio IX, Angelis gaudis, in M. P. Alberzoni, Chiara e il papato, 119-122; traduzione italiana p. 81.
[99] M. P. Alberzoni, Chiara e il papato, 82-85.
[100] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 81: FF 2506.
[101] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 79-80: FF 2504-2505.
[102] Antonio Rigon, Dal libro alla folla. Antonio di Padova e il francescanesimo medievale, Roma, 2001 (I libri di Viella, 31), 107-111.
[103] B. Zanardi, Il cantiere di Giotto. Le Storie di san Francesco ad Assisi, intr. F. Zeri, note storico-iconografiche di C. Frugoni, Milano 1996, 254.
[104] P. Magro, La memoria di frate Elia, 3. Circa il dipinto, riprodotto in copertina, cfr. La Basilica di San Francesco ad Assisi, I, a cura di G. Bonsanti, Modena 2002 (Mirabilia italiae, XI), 337, scheda 571.
[105] P. Magro, La memoria di frate Elia, 3.
[106] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 77: FF 2502.
[107] Cfr. F. Sedda, La “malavventura” di frate Elia, 215-300.
[108] M. T. Dolso, La Chronica XXIV Generalium: il difficile percorso dell’unità nella storia francescana, prefazione di A. Rigon, Padova 2003 (Centro Studi Antoniani, 40), 199.
[109] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2606.
[110] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2610.
[111] Chronica XXIV Generalium, p. 251; M. T. Dolso, La Chronica XXIV Generalium, 95.
[112] G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco, 151-152.
[113] F. J. Mapelli, L’amministrazione francescana, 248-249.
[114] P. Messa,Egidio d’Assisi e Luigi IX, 257-271.
[115] M. P. Alberzoni, Chiara e il papato, 69-89; Id., Chiara e San Damiano tra Ordine minoritico e Curia, 58.
[116] rancesco d’Assisi, Regola bollata, XI,1-2: FF 105.
[117] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 83: FF 2508.
[118] G. Barone, Da frate Elia, 40-42
[119] Giordano da Giano, Cronaca, 65: FF 2398.
[120] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 83: FF 2508.
[121] Riccardo di San Germano, Cronaca, citata in G. Barone, Da frate Elia, 59n.
[122] P. Magro, La memoria di frate Elia, nota 29.
[123] G. Barone, Da frate Elia, 60.
[124] G. Barone, Da frate Elia, 60-62.
[125] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2624.
[126] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2626.
[127] G. Barone, Da frate Elia, 62-63.
[128] Angelo Clareno, Libro delle tribolazioni: FF 2197.
[129] Salimbene de Adam, Cronaca: FF 2627-2628.
[130] Processo verbale della assoluzione data a frate Elia, in Frate Elia da Cortona, a cura di E. Mori, 94-103.
[131] G. Barone, Da frate Elia, 72.
[132] M. P. Alberzoni, Chiara e il papato, 69-89; Id., Chiara e San Damiano tra Ordine minoritico e Curia, 66-68.
[133] Tommaso da Eccleston, L’avvento, 86: FF 2511.
[134] G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco, 156-157.
[135] Processo verbale della assoluzione, 97-102
[136] Processo verbale della assoluzione, 97-102
[137] Le carte duecentesce del Sacro Convento di Assisi (Istrumenti, 1168-1300), a cura di A. B. Langeli, con la collaborazione di M.I. Bossa – L. Fiumi, Padova 1997 (Fonti e Studi, V. Inventari - 4), 55, nota 1: «In verità gli ecclesiastici di Cortona, nonostante facciano finta di nulla, erano da tempo scomunicati, e Cortona interdetta: ma non per questioni federiciane, bensì per il contrasto col vescovo di Arezzo. La scomunica era stata comminata nel 1235, e rinnovata prima nel 1238 e infine nel 1252».
[138] Angelo Clareno, Apolgia pro vita sua, in Archivum Franciscanum Historicum 39 (1946), 143: «Sancta Clara, diebus nostris, divino lumine plena, excommunicata a papa Gregorio quia nolebat recipere proprium».
[139] Fioretti, XXXVIII: FF 1872.
[140] G. Barone, Da frate Elia, 29.
[141] M. T. Dolso, La Chronica XXIV Generalium, 89-90.
[142] A. Rigon, Dal libro alla folla, pp. 111.
[143] F. Accrocca, Chiara e l’Ordine francescano, in Clara claris praeclara. L’esperienza cristiana e la memoria, 377.
[144] M. T. Dolso, La Chronica XXIV Generalium, 97.