1/ Lo splendore della pace di Francesco, di Joseph Ratzinger 2/ Hans Urs von Balthasar e lo "spirito di Assisi", di Pietro Messa
- Tag usati: giovanni_paolo_ii, joseph_ratzinger, pietro_messa, san_francesco_assisi
- Segnala questo articolo:
1/ Lo splendore della pace di Francesco, di Joseph Ratzinger
Riprendiamo dal sito della rivista 30Giorni un articolo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger pubblicato sul numero 01 - 2002. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/2/2015)
Quando, giovedì 24 gennaio, sotto un cielo gravido di pioggia, si è mosso il treno che doveva condurre ad Assisi i rappresentanti di un gran numero di Chiese cristiane e comunità ecclesiali assieme ai rappresentanti di molte religioni mondiali per testimoniare e pregare per la pace, questo treno mi è apparso come un simbolo del nostro pellegrinaggio nella storia. Non siamo, infatti, forse tutti passeggeri di uno stesso treno?
Il fatto che il treno abbia scelto come sua destinazione la pace e la giustizia, la riconciliazione dei popoli e delle religioni non è forse una grande ambizione e, al contempo, uno splendido segnale di speranza? Ovunque, passando nelle stazioni, è accorsa una gran folla per salutare i pellegrini della pace. Nelle strade di Assisi e nella grande tenda, il luogo della testimonianza comune, siamo stati nuovamente circondati dall’entusiasmo e dalla gioia piena di gratitudine, in particolare di un numeroso drappello di giovani.
Il saluto della gente era diretto principalmente all’uomo anziano vestito di bianco che stava sul treno. Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l’un l’altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l’impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni.
Ma l’applauso, rivolto innanzitutto al Papa, esprimeva anche un consenso spontaneo per tutti coloro che con lui cercano la pace e la giustizia, ed era un segnale del desiderio profondo di pace che provano gli individui di fronte alle devastazioni che ci circondano provocate dall’odio e dalla violenza. Anche se talvolta l’odio appare invincibile e si moltiplica senza sosta nella spirale della violenza, qui, per un momento, si è percepita la presenza della forza di Dio, della forza della pace. Mi vengono alla mente le parole del salmo: «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (Sal 18, 30). Dio non ci mette gli uni contro gli altri, bensì Egli che è Uno, che è il Padre di tutti, ci ha aiutato, almeno per un momento, a scavalcare le mura che ci separano, facendoci riconoscere che Egli è la pace e che non possiamo essere vicini a Dio se siamo lontani dalla pace.
Nel suo discorso il Papa ha citato un altro caposaldo della Bibbia, la frase della Lettera agli Efesini: «Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2, 14). Pace e giustizia sono nel Nuovo Testamento nomi di Cristo (per «Cristo, nostra giustizia» vedere ad esempio 1Cor 1, 30).
Come cristiani non dobbiamo nascondere questa nostra convinzione: da parte del Papa e del Patriarca ecumenico la confessione di Cristo nostra pace è stata chiara e solenne. Ma proprio per questa ragione c’è qualcosa che ci unisce oltre le frontiere: il pellegrinaggio per la pace e la giustizia. Le parole che un cristiano deve dire a colui che si mette in cammino verso tali mete sono le stesse usate dal Signore nella risposta allo scriba che aveva riconosciuto nel duplice comandamento che esorta ad amare Dio e il prossimo la sintesi del messaggio veterotestamentario: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12, 34).
Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia. Infatti, là dove manca la giustizia, dove agli individui viene negato il loro diritto, l’assenza di guerra può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione.
Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione.
Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero. Anche prima della sua conversione Francesco era cristiano, così come lo erano i suoi concittadini. E anche il vittorioso esercito di Perugia che lo gettò in carcere prigioniero e sconfitto era formato da cristiani. Fu solo allora, sconfitto, prigioniero, sofferente, che cominciò a pensare al cristianesimo in modo nuovo. E solo dopo questa esperienza gli è stato possibile udire e capire la voce del Crocifisso che gli parlò nella piccola chiesa in rovina di San Damiano la quale, perciò, divenne l’immagine stessa della Chiesa della sua epoca, profondamente guasta e in decadenza.
Solo allora vide come la nudità del Crocifisso, la sua povertà e la sua umiliazione estreme fossero in contrasto con il lusso e la violenza che prima gli apparivano normali. E solo allora conobbe veramente Cristo e capì anche che le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del Crocifisso.
Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura. Se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull’esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo. E se altri si uniscono a noi nella ricerca della pace e della giustizia, né loro né noi dobbiamo temere che la verità possa venir calpestata da belle frasi fatte. No, se noi ci dirigiamo seriamente verso la pace allora siamo sulla via giusta perché siamo sulla via del Dio della pace (Rm 15, 32) il cui volto si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo.
2/ Hans Urs von Balthasar e lo "spirito di Assisi", di Pietro Messa
Riprendiamo un articolo di padre Pietro Messa pubblicato in Communio. Rivista Internazionale di Teologia e Cultura 203-204 (settembre-dicembre 2005), pp. 207-219. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/2/2015)
1. Un incontro controverso
Uno dei punti più controversi del pontificato di Giovanni Paolo II è il cosiddetto "spirito di Assisi", ossia quel movimento che ha avuto inizio dalla storica giornata ecumenica e interreligiosa di pellegrinaggio, preghiera e digiuno per la pace svoltasi nella città di san Francesco il 27 ottobre 1986[1]. Si può dire che è come lo spartiacque dei giudizi sul suo pontificato: a causa di quel gesto egli è stato un grande o una rovina per la Chiesa. Quell'incontro fu voluto da Giovanni Paolo II, nonostante le obbiezioni e osservazioni critiche anche di alcuni esponenti della Curia romana; un ruolo importante nella realizzazione dell'evento ebbe il cardinale Roger Etchegaray, ma anche Marcello Zago, definito dal cardinale J. Tomko, al momento del suo funerale nel 2001, «uno dei maggiori artefici dell’incontro interreligioso di Assisi (27 ottobre 1986)»[2].
Dopo l'incontro, distorcendone i contenuti, qualcuno vide realizzato un tradimento, per non dire un'apostasia, della fede cristiana[3], mentre altri vi videro finalmente la realizzazione di un ONU delle religioni[4]. Così l’evento di Assisi 1986 fu commentato criticamente dalle riviste tradizionaliste; una di queste, Chiesa viva,«interpretò l’evento come un segno inconfutabile dell’espansione del modernismo e del protestantesimo nella Chiesa di Roma», mentre «il terremoto che nel settembre 1997 fece crollare la volta della Basilica superiore di san Francesco fu letto come un segno dell’ira divina per la profanazione di quegli antichi luoghi di fede»[5]. La sera stessa del 27 ottobre, mentre i partecipanti lasciavano la piazza inferiore della Basilica di San Francesco, presso la Porta San Pietro di Assisi vi erano simpatizzanti di gruppi tradizionalisti che distribuivano a coloro che attendevano i pullman volantini contrari a quell'incontro appena conclusosi. Le critiche vennero anche da altre chiese cristiane; così ancora nel settembre 1992, mentre ero in visita al Monastero ortodosso di San Saba nel deserto di Giuda in Israele, un monaco, sapendo che venivamo da Assisi, ci chiese della notizia di buddisti che avevano pregato in una chiesa collocando sull'altare la statua di Buddha: la notizia che il 27 ottobre 1986 alcuni buddisti sistemarono sull'altare della Chiesa di San Pietro in Assisi una reliquia di Buddha non rimase senza effetti[6]! C'è chi, accusando Giovanni Paolo II di aver tollerato «l'introduzione della statua di Budda presso l'altare della Chiesa di San Pietro (in Assisi) per essere venerata», legge l'attentato del 13 maggio 1981 come un atto della misericordia di Dio che voleva evitare tali apostasie alla Chiesa Cattolica[7].
Le obbiezioni a tale incontro vennero anche da persone di rilievo del cattolicesimo; solo per fare un esempio, fin dal suo svolgimento, Divo Barsotti, persona di spicco del cattolicesimo italiano del XX secolo, espresse direttamente a Giovanni Paolo II mediante lettere le sue riserve[8].
Altri proclamando un relativismo religioso per cui una fede vale l'altra, credettero di essere in linea con ciò che volle Giovanni Paolo II, almeno fino a quando con la dichiarazione Dominus Iesusriaffermò mediante la Congregazione della dottrina delle fede presieduta dal cardinal Joseph Ratzinger l'unicità della salvezza in Gesù Cristo[9].
Alcuni videro in tale dichiarazione se non proprio una smentita, certamente un passo indietro rispetto a ciò che fu vissuto in Assisi nel 1986.
Certamente le conseguenze di tale incontro non furono innocue, tanto che nel discorso alla Curia romana in occasione del Natale 1986 Giovanni Paolo II non fece altro che dare le motivazioni teologiche dell'incontro assisano dell'ottobre precedente.
Tuttavia Giovanni Paolo II non fu un ingenuo, e neppure coloro che organizzarono tale incontro. Basta leggere, ad esempio, gli articoli che L'Osservatore Romano ha dedicato alla preparazione di tale appuntamento, come quello di Angelo Scola, futuro cardinale patriarca di Venezia, in cui mise in rilievo che ad Assisi i rappresentanti delle diverse religioni erano assieme per pregare e che mai avrebbero pregato assieme, essendo di fedi diverse[10]. Così anche il discorso che il Papa stesso fece all'introduzione della celebrazione eucaristica con le claustrali nella cappella della Casa Sacro Cuore in Perugia mostra una chiarezza di identità che non dà adito a fraintendimenti[11].
In fondo le preoccupazioni che sottostavano ad alcune critiche, così come anche le semplici perplessità erano condivise dallo stesso Giovanni Paolo II come risulta dalla enciclica Redemptoris missio del 1990, ma anche dalle sue vere intenzioni che certamente non furono quelle sincretiste o del venir meno della missione evangelizzatrice.
2. L'intervento di Hans Urs von Balthasar
Per uscire da un certo equivoco creatosi attorno allo "spirito di Assisi" un aiuto importante è offerto, sia per autorevolezza che per la sua posizione, da Hans Urs von Balthasar in un suo scritto di commento a quella giornata[12]. Infatti a distanza di pochi giorni dall'incontro di Assisi e davanti alle diverse reazioni sia intra ecclesiali, che esterne, egli intervenne con un suo contributo dell'otto novembre 1986 dal titolo lapidario «Io e Assisi»[13]. L'autorevolezza di tale intervento rende plausibile una sua lettura evidenziandone gli aspetti fondamentali.
Innanzitutto egli riconosce la grandezza di quell'incontro:
Il mondo sente che in Assisi qualcosa di unico è avvenuto. Per la prima volta, in risposta al geniale suggerimento del nostro Santo Padre, si sono riuniti tutti gli uomini di preghiera. S'è trattato di qualcosa di tanto più grande di un gesto umanitario; ed hanno torto tutti coloro che hanno voluto limitarlo ad un piano puramente umano: sia quelli che hanno rimproverato il Papa di "massoneria", come quelli che lo hanno esaltato per aver fatto di tutte le religioni un'unica.
Secondo il noto teologo di Basilea, quindi, quello avvenuto ad Assisi il 27 ottobre 1986 è «qualcosa di unico» nato dal «geniale suggerimento» di Giovanni Paolo II di invitare tutti gli uomini di preghiera a «qualcosa di tanto più grande di un gesto umanitario»; e ciò sempre secondo il noto teologo, «il mondo [lo] sente», in una sorta di sensum fidei che sa intuire le cose grandi.
Tuttavia Balthasar deve prendere atto che non tutti hanno avuto la genialità del Papa; infatti limitandosi «ad un piano puramente umano» alcuni – come il vescovo Marcel Lefebvre – hanno accusato il Papa di aver tradito l'ortodossia della fede cristiana a favore di un irenismo, mentre altri con una lettura sincretista hanno visto nel gesto
pontificio un «aver fatto di tutte le religioni un'unica». Probabilmente le perplessità e accuse dei primi erano motivate più che dalle intenzioni di Giovanni Paolo II – fraintese per non dire distorte dai secondi – proprio dalla lettura sincretista di quell'incontro, facilitata anche dalla prospettiva con cui fu presentata dai mass-media.
Nel 1988 si consuma lo scisma di Lefebvre e un motivo addotto a tale scelta, non l’ultimo, sono le scelte di Giovanni Paolo II definito «un Papa che ad Assisi confonde tutte le religioni»[14]. Infatti «l’incontro di preghiera per la pace di Assisi del 1986, come quello del gennaio 2002, rappresenta agli occhi dell’ultraconservatorismo cattolico un momento di grave perdita di identità della Chiesa, che si sarebbe “inquinata” e avrebbe tradito la sua missione di difesa e insegnamento della verità»[15]. Si accusa il Papa di aver svenduto i valori cristiani abbassando il cristianesimo alla stregua delle altre religioni: «L’incontro di Assisi del 1986 costituisce il punto di riferimento negativo cui riferirsi per dimostrare lo stato di pericolo in cui verserebbe il cattolicesimo. “Il Dio di Assisi non è il Dio della Bibbia”, si afferma per marcare la “apostasia” della chiesa di Roma»[16]. Tutti gli avvenimenti vengono interpretati con questa chiave di lettura e non meraviglia che dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 si denuncia, assieme alla perversità della fede islamica, anche la decadenza morale dell’Occidente causata dal pacifismo postconciliare esaltante l’attività pacificatrice dell’ONU (stupisce ritrovare in tale giudizio una certa assonanza – naturalmente con le dovute differenze – con il pensiero espresso in alcuni suoi interventi da Oriana Fallaci[17]). L’evento di Assisi 1986, come detto sopra, fu commentato criticamente dalle riviste tradizionaliste, e divenne un pretesto per lo scisma del 1988, anche se riferendosi a Lefebvre, Balthasar scriverà: «Quando egli si riferisce ad Assisi parlandone come di cosa "abominevole" e facendone il pretesto per il distacco da Roma, cade ancora una volta nel ridicolo»[18].
Davanti a tali giudizi riguardo all'incontro del 27 ottobre 1986 Balthasar continua chiedendosi: «Come è possibile dire tali stoltezze di un uomo tanto certo del suo esser cristiano?». E tale certezza della fede del Papa, che scaturisce da una identità precisa e senza sbavature tanto che in certi momenti fu letta da alcuni come una sorta di integralismo, è espressa anche dalla celebrazione eucaristica che lo stesso Giovanni Paolo II celebrò la mattina di quello stesso giorno, prima di recarsi ad Assisi, nella cappella della Casa Sacro Cuore vicino a Perugia, assieme ad un gruppo di claustrali. Infatti introducendo la messa il Papa parlò di «luce della verità» irraggiata dal cuore della Chiesa ed invitò le claustrali presenti ad offrire al Signore il loro rinnovato proposito di dedicarsi generosamente alla preghiera e all'ascesi monastica: temi che saranno tanto cari al suo successore, Benedetto XVI.
Secondo Balthasar proprio la chiara identità cristiana di Giovanni Paolo II testimonia la veridicità dell'incontro di Assisi:
Proprio da questa certezza muove anzi una strada sicura all'evento d'Assisi. Per il cristiano che crede è, infatti, un'eresia non riconoscere che Cristo sia morto per tutti gli uomini. Non sono tutti, a qualsiasi religione o visione del mondo appartengano, toccati dalla Grazia di Dio, qualora essi non la respingano volontariamente?
Leggendo queste affermazioni di Balthasar non si può non pensare alla dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la dottrina della fede che porta la firma dell'allora prefetto, cardinal Joseph Ratzinger, e che davanti alle critiche che suscitò la sua pubblicazione il Papa stesso la difese il primo ottobre dell'anno giubilare del 2002 – al termine di una celebrazione dal tono missionario in cui furono canonizzati tra altri i martiri della Cina – affermando che la Dominus Iesus è stata da lui voluta e "approvata in forma speciale". Vari hanno visto una contraddizione tra l'evento di Assisi e tale dichiarazione, mentre Balthasar già nel 1986 riteneva che proprio la certezza dell'esser cristiano di Giovanni Paolo II – che verrà espresso solennemente nella dichiarazione Dominus Jesus nell'anno 2000 – è «una strada sicura all'evento d'Assisi».
Ancor più profondamente. Tutti coloro che hanno pregato in Assisi non sono forse consapevoli di non essere l'assoluto e, dunque, che una Potenza superiore, che nessun uomo può chiamare con un nome adeguato, è sopra di loro? Una Potenza alla quale sono in un qualche modo debitori e alla quale si rivolgono in preghiera, potendo guardare verso l'Alto nella speranza e nell'offerta. Che lo voglia o meno, l'uomo è un "animal religiosum", un "senso religioso" lo costituisce nel suo più profondo essere persino anche quando rifiuta tutte le religioni storiche come qualcosa di non adeguato, come qualcosa di estraneo agli uomini.
Quindi, per Balthasar, non è nella fede che va cercato l'elemento unificatore di Assisi, ma nel "senso religioso" che «costituisce [l'uomo] nel suo più profondo essere». In questa affermazione non si può non notare una profonda sintonia con ciò che può essere considerato uno dei punti cardini del pensiero di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione[19].
Continuando Balthasar afferma, riferendosi sempre al "senso religioso" dell'uomo:
Non si può mai sopprimere la nostalgia di preghiera che sgorga dalla sua anima, nostalgia di adorazione e di contemplazione. Di questo non vi è, forse, prova migliore del fatto che i vari accaniti tentativi dell'ateismo ideologico di sradicare dai cuori questo senso religioso si sono trasformati in pioggia benefica che ha fatto spuntare dal terreno sempre nuovi germogli religiosi.
Si deve ricordare che nel 1986 non era ancora caduto il muro di Berlino e che nell'Est d'Europa continuava a dominare l'ateismo ideologico che cercava di sradicare dai cuori questo senso religioso di cui parla Balthasar. Intervenendo in preparazione alla giornata del 27 ottobre, Philippe Delhaye, allora segretario generale della Commissione Teologica Internazionale, ricordava che «per una buona parte del xix secolo, la religione è stata presentata come una malattia infantile dell'umanità. E lo è ancora agli occhi di certi ateismi ufficiali e politici»[20]. Tale ateismo si appellava alla pace per ritrovare l'unità con i cattolici[21], ma secondo Balthasar la grandezza di Giovanni Paolo II sta nell'aver coniugato il tema della pace proprio con il "senso religioso" rifiutato da tale ateismo ideologico; se quest'ultimo voleva cercare la collaborazione dei cattolici trovando una possibile unità sul tema della pace prescindendo dalla domanda religiosa dell'uomo, il Papa vuole trovare la pace facendo appello proprio al "senso religioso" che accomuna tutti gli uomini.
Egli vuole «sottolineare il legame tra questa rivalutazione dell'homo religiosus e le speranze riposte nell'homo pacificus»[22]. Un cambiamento di prospettiva non da poco! Sembra contraddittorio, ma proprio tale affermazione che la motivazione dell'incontro per la pace di Assisi è unicamente religiosa diede a tale raduno una significato politico non indifferente; tuttavia si deve riconoscere che tale risonanza politica non fu pienamente colta.
Balthasar continua:
Assisi non ha in alcun modo mostrato che le religioni sono un'unica religione ma ha chiarito con la massima evidenza che ve ne sono di molto diverse, ed ha anche voluto tener conto di questo con la massima meticolosità immaginabile. Tutti coloro che insieme hanno pregato l'hanno esattamente compreso. Nessuno ha inteso l'iniziativa come un atto propagandistico d'una determinata Chiesa.
Balthasar, contrariamente a coloro che hanno letto – chi applaudendo e chi condannando – l'incontro di Assisi come una riunione sincretista, parla di una «massima evidenza» e di «massima meticolosità immaginabile» con cui l'incontro di Assisi ha mostrato che le religioni non sono un'unica religione. Infatti, ad esempio, nei giorni precedenti a L'Osservatore Romano è stato affidato il compito di illustrare il significato di tale avvenimento, con i suoi segni e simboli[23]; come già ricordato sopra, nientemeno che Angelo Scola ha spiegato che ad Assisi si sarebbero incontrati uomini di diverse religioni non per pregare insieme, ma per stare insieme a pregare[24].
Infatti mai hanno pregato insieme, ma ciascun gruppo religioso ha pregato in luoghi distinti; gli organizzatori con una «massima evidenza» e «massima meticolosità immaginabile» hanno cercato di esprimere ciò soprattutto nel terzo momento della giornata del 27 ottobre, ossia quando tutti i rappresentanti delle religioni si sono riuniti nella piazza inferiore della Basilica di San Francesco.
La preoccupazione del sincretismo era forte come mostra una serie di riflessioni preparatorie che su L'Osservatore Romano hanno richiamato il senso autentico di tale incontro. Così Delhaye scrisse che è stato «preparato fin nei dettagli questo incontro mondiale. Si trattava, da un lato di far emergere una fraternità e contemporaneamente una comunione senza remore e, dall'altro, di evitare le insidie del sincretismo e dell'indifferenza soprattutto agli occhi del grande pubblico, così male informato»[25].
A questo proposito scrive alcune settimane dopo il 27 ottobre 1986 monsignor Marcello Zago, uno dei principali organizzatori di quella giornata:
The third major feature took place at the square in front of the lower basilica of St. Francis. Its payout and ritual were filled with meaning. I led each delegation in turn to the prayer podium set apart from the large platform on which the Pope's invited guests sat in a semicircle. This logistic separation was deliberately chosen so that every hint of syncretism was excluded. We were together to pray, each according to his own tradition. Beyond these necessary distinctions, however, a profound sense of respect and communion rigned among all who were present[26].
Ci fu realmente tale attenzione di porre una distinzione tra l'assemblea e le singole rappresentanze nel momento in cui queste innalzarono le loro preghiere. Ma a questo proposito c'è da osservare che forse il segno non fu così efficace come avevano pensato gli organizzatori, tanto che il rischio di una lettura sincretista non fu pienamente evitata e tale momento non si ripeté successivamente, ne nel 1993, e neppure nel 2002.
In fondo le stesse parole di Zago scritte successivamente possono dare adito a una lettura distorta: «The square was not a theater where one watched a performance but rather a shrine in which one was present as a participant»[27]. Ugualmente altri momenti della giornata in un certo senso sfuggirono di mano agli organizzatori come quando i rappresentanti di alcune religioni – alcune delle quali hanno una visione inclusivista di tutte le religioni[28] – andarono a svolgere il loro momento di preghiera in una chiesa[29].
Che la preoccupazione del sincretismo fosse grande è constatato dallo stesso Marcello Zago quando afferma:
The greatest difficulty and most notable opposition stem from the fear of syncretism, that is, mixing Christianity with other confessions, truth with error. Very great care against this was taken at Assisi, even in the external forms, and especialy during the third part of the Program – and these measures met with general satisfaction. I do think, however, that the theological vision of the concrete religions could help unravel the skein that appears completely entangled. We need to acknowledge what is specifically Christian and preserve it; but we also to acknowledge valid elements that we hold in common and share with others[30].
Balthasar sviluppa ulteriormente il suo discorso:
Ma a tutti coloro che insieme hanno pregato è giunta, forse per la prima volta, a consapevolezza la cosa detta in precedenza, ossia che esiste nell'uomo "un senso religioso unico", nonostante non esista "un'unica religione".
Ad Assisi non si è annunciata un'unica religione, ma che nell'uomo – contrariamente a quanto afferma molto ateismo ideologico – esiste «un senso religioso unico». Ecco il punto centrale per Balthasar e per Giovanni Paolo II, ma che non è stato recepito da tutti; a questo riguardo Ernesto Galli della Loggia un giorno ebbe a dire a proposito dello "spirito di Assisi" che non tutti hanno vissuto e continuato a vivere tale avvenimento con l'elevatezza teologica, spirituale e culturale di Giovanni Paolo II.
Un senso religioso che vuole e deve esprimersi necessariamente in una forma di preghiera, di riconoscimento della Potenza suprema, o della Bontà, sopra tutti noi. E che questa unità, che comprende tutte le singole religioni, del "senso religioso" è, ad un tempo, anche il luogo dell'incontro, dell'accordo di tutti nella medesima natura umana, la profondità del mare, alla quale le tempeste, le inimicizie e le guerre che avvengono alla superficie non scendono. In questa profondità domina, dunque, una pace che tutti unisce.
Per Balthasar il luogo dell'incontro non è, quindi, la religione ma il "senso religioso", quel luogo delle domande fondamentali dell'uomo, della ricerca umile della verità. L'affermazione di tale prospettiva era stata affidata ad Angelo Scola che prima dell'incontro del 27 ottobre scrisse:
Costoro infatti, proprio pregando per la pace, testimoniano che non si dà pace senza verità. La preghiera infatti è sempre, in ultima analisi, domanda di verità. Per questo ogni religione autentica approfondendo la propria identità si spalanca sempre più alla verità. Alla verità oggettiva, che non sarà intesa alla stregua di una sintesi ecclettica ed indifferenziata delle diverse identità religiose, ma sarà invece appassionatamente perseguita, riconosciuta ed accolta la dove Essa avrà voluto manifestarsi.
La pace quindi è un valore solo se lo si persegue, come ogni altro valore all'interno della domanda di verità, che per sua stessa natura è verità totale. Se la pace fosse svuotata del suo contenuto veritativo e ridotta a un'idea generica separata dall'esperienza di verità cui ognuno dovesse sacrificare la sua propria identità, diventerebbe una parola vuota e perciò sarebbe impossibile la strada della pace.
Da sempre infatti dai quattro angoli della terra gli uomini chiedono la pace e... fanno la guerra! Ciò su cui gli uomini sono divisi, profondamente divisi, non è la pace ma la verità.
Ma il desiderio di pace [...] può essere la grande strada su cui oggi Dio chiama tutti gli uomini alla verità, ineliminabile fondamento di una pace duratura.
[...]
Sarà di fatto un appello [...] a riconoscere che il progresso morale dell'umanità [...] esige un superamento delle ideologie. Esse infatti impediscono all'uomo di accogliere la verità data nella natura di ciascuno, e perciò in qualche modo embrionalmente sperimentabile da tutti, ma soprattutto rivelata da Colui che è venuto a portare la «pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14)[31].
Questa ricerca della verità è «il luogo dell'incontro, dell'accordo di tutti nella medesima natura umana» e dove scaturisce la pace. Similmente si espresse l'allora cardinal Joseph Ratzinger in un intervento di commento alla giornata di Assisi del 24 gennaio 2002, quando Giovanni Paolo II volle ritornare nella città di san Francesco dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle:
Per una giusta comprensione dell'evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un'autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l'espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia[32].
Il pellegrinaggio, la ricerca, l'uomo che cammina verso la verità è il luogo dell'incontro. In tutto ciò quello che è prospettato non è né un pensiero forte che si costruisce la verità degenerando nella ideologia chiusa al trascendente – come avveniva nel 1986 nei paesi dell'Est europeo ancora sotto l'egida comunista – e neppure un pensiero debole che rinuncia alla ricerca della verità scadendo nel sincretismo e relativismo, ma un pensiero umile nella ricerca della verità che rivelandosi all'uomo genera lo stupore di un incontro. Un pensiero umile che scardina la chiusura alla verità; chiusura che si può manifestare come pensiero forte delle ideologie, oppure pensiero debole del relativismo. Quindi centrale e punto di partenza non è la pace, ma il senso religioso; è da lì, a quelle profondità che si scopre la pace.
Rimarcando il tema della pace Balthasar sottolinea:
Se in Assisi s'è pregato espressamente per la pace del mondo – e quanto giustamente – lo si è fatto a partire dalla pace stessa che è venuta alla superficie dalla profondità.
Più di tutti si dovrebbero citare le parole: "Tutto quello che voi chiederete pregando, credete di averlo già ottenuto e vi avverrà" (Mc 11,24).
"Questa è la fiducia che abbiamo in Dio: se noi chiediamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E sapendo che ci ascolta in ciò che chiediamo, sappiamo pure che possediamo già quanto gli abbiamo chiesto" (1Gv 5,14-15),
Balthasar rimanda a Colui che è la risposta adeguata al "senso religioso" umano, ossia a Dio rivelato nel Vangelo, che dona all'uomo ciò che chiede con fede.
La conclusione si riallaccia a Maria pregata a Mejugorje come "Regina della pace": «Maria dice in Medjugorje qualcosa di diverso? Si deve vivere la pace quando la si implora, e poiché la si implora la si possiede». In questo modo la giornata di Assisi si ricollega al tema mariano tanto caro allo stesso Giovanni Paolo II.
Al termine della lettura dell'intervento di Balthasar possiamo affermare senza timore con Racca, che così conclude un suo intervento inerente il dialogo interreligioso nel magistero dopo il concilio Vaticano II: «La giornata di preghiera per la pace ad Assisi del 27 ottobre 1986 – e la serie di incontri da essa scaturita fino all'ultimo del 24 gennaio 2002 – rappresenta una tappa fondamentale e l'immagine più bella e significativa di questo cammino. Possiamo assumerla come via suggerita dallo Spirito, come segno di speranza per il futuro della Chiesa, delle religioni e del mondo»[33].
Quello che Balthasar ha offerto in questo suo intervento, non è soltanto una lettura in profondità di ciò che è avvenuto ad Assisi il 27 ottobre 1986, ma anche una visione unitaria del pontificato di Giovanni Paolo II; veramente, usando una sua espressione, ha saputo cogliere il tutto del pontificato di Giovanni Paolo II nel frammento nell'incontro di Assisi.
Note al testo
[1] Per un inquadramento generale cfr. C. Bonizzi, L’Icona di Assisi nel magistero di Giovanni Paolo II, Edizioni Porziuncola, Assisi 2002.
[2] Cfr. J. Tomko, L’Arcivescovo Marcello Zago è stato missionario in ogni momento, in L’Osservatore Romano,4 marzo 2001, 7.
[3] Cfr. la rassegna delle valutazioni negative dell'incontro di Assisi da parte di alcuni teologi in A. Mazur, L’insegnamento di Giovanni Paolo II sulle altre religioni, Editrice Pontificia Gregoriana, Roma 2004 (Tesi gregoriana serie teologia, 103), pp.131-134.
[4] Cfr. le osservazioni di S. Magister, Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus" (Tokyo, 18 giugno 2003), Internet (23.10.2005): http://www.chiesa.espressonline.it.
[5] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre. Il tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II, prefazione di Roberto Morozzo della Rocca, Roma 2003 (Religione e società. Storia della chiesa e dei movimenti cattolici, 44), 144.
[6] Cfr. S. Magister, Giovanni Paolo II e le religioni. Da Assisi alla "Dominus Iesus": «Ma insieme presero corpo anche le riserve critiche, su quello stesso evento. La giornata di Assisi non mancò di darvi alimento, in alcuni suoi gesti eccessivi. A buddisti, a induisti, ad animisti africani furono concesse per le loro preghiere alcune chiese della città, come fossero involucri neutri, privi d'irrinunciabile valenza cristiana. E sull'altare della locale chiesa di San Pietro i buddisti sistemarono una reliquia di Buddha».
[7] N. Di Carlo, Avvertimenti, in "Presenza divina". Pubblicazione mensile dell'Associazione "Opera Divina Provvidenza – ONLUS", s.l, s.d.
[8] «L’ho scritto al papa, due volte, che non vedevo di buon occhio l’incontro interreligioso di Assisi dell’ottobre 1986. Gli dissi: "Santità, io non ho la televisione in casa, non ho nemmeno la radio, ma il giorno dopo il convegno di Assisi su ‘Avvenire’ ho visto in prima pagina una fotografia che mostra i cattolici che venerano il Dalai Lama, come fanno con Vostra Santità". Si rischia di non fare più differenza: il Dalai Lama è come il papa per tanti credenti, e allora il popolo non può più avvertire le differenze né rendersi conto di quello che è specifico del cristianesimo». Cfr. Una comunità e il suo fondatore: don Divo Barsotti e la comunità dei Figli di Dio, attraverso le parole di don Divo tratte dai suoi diari inediti, qui pubblicati per la prima volta, a cura di A. Colzi, 2. ed., Settignano (FI) 2004.
[9] Al riguardo cfr. l'interessante articolo di A. Amato, Dialogo interreligioso e dialogo ecumenico. Puntualizzazioni alla luce della Dominus Iesus, in Rassegna di teologia 46 (2005), 165-183.
[10] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, in L'Osservatore Romano, 11 ottobre 1986, p.1.4.
[11] Cfr. Giovanni Paolo II, Alle claustrali durante la Messa prima della partenza per Assisi, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,2 (1986, luglio-dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986, 1247-1248; P. Messa, Lo "spirito di Assisi": dall'identità eucaristica al dialogo interreligioso. Quell'Eucaristia celebrata da Giovanni Paolo II con le claustrali, che diede inizio alla storica giornata del 27 ottobre 1986, in Forma sororum. Rivista delle clarisse d'Italia 42 (2005) 210-216.
[12] Per una semplice e immediata, ma per questo non superficiale, introduzione al pensiero del noto teologo di Basilea cfr. A. Scola, Hans Urs von Balthasar: uno stile teologico (Già e non ancora, 218), Milano 1991.
[13] H. U. von Balthasar, Io e Assisi, in Id., La realtà e la gloria. Articoli e interviste. 1978-1988, Edit, Milano 1988, 95-96.
[14] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 118n.
[15] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 120.
[16] N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre, 121.
[17] O. Fallaci, Il Nemico che trattiamo da Amico, in Corriere della Sera sabato 16 luglio 2005, 1.8-9.
[18] H. U. von Balthasar, La sua verità su Lefebvre, in Id., La realtà e la gloria, 208.
[19] L. Giussani, Il senso religioso, Jaca Book, Milano 1981; Id., Il senso religioso. Volume primo del perCorso (Già e non ancora, 127), Jaca Book, Milano 1986. Al riguardo cfr. A. Scola, Un pensiero sorgivo. Sugli scritti di Luigi Giussani, Marietti, Genova 2004.
[20] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, in L'Osservatore Romano, 4 ottobre 1986, p. 1.
[21] Riguardo all'importanza del tema della pace come uno dei temi su cui si cercava una possibile convergenza tra cristianesimo e comunismo, cfr. D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Morcelliana, Brescia 2005, (Storia, 6).
[22] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, 1.
[23] Circa l'importanza di ogni particolare di tale avvenimento cfr. P. Messa, Gesti e simboli nello spirito di Assisi, in Una Città per il dialogo. Bollettino di informazione dell’Associazione Centro Universitario Ecumenico “S.Martino” e del Centro Internazionale di Accoglienza della Gioventù Perugia, 75 (dicembre 2004), p. 21-23.
[24] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, 1.4.
[25] Ph. Delhaye, Unità e molteplicità delle preghiere per la pace ad Assisi, 1. Continuando scrive: «Dallo svolgimento del programma appare che esso, al fine di prevenire forme di inopportuno sincretismo, ha voluto evitare errate interpretazioni [...] La volontà di evitare il sincretismo e l'indifferentismo ha comunque fatto programmare l'organizzazione dell'incontro di Assisi [...]».
[26] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, in Seminarium. Commentarii pro seminariis, vocationibus ecclesiasticis, universitatibus 39 (1987), 57-67: 60.
[27] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 60.
[28] Cfr. ad esempio quanto nel successivo incontro del 24 gennaio 2002 affermò Didi Talwalkar rappresentante dell'Induismo: «Per me, che appartengo alla Swadhyaya parivar (famiglia), ispirata dal Rev. Pandurang Shastri Athawale, tale universale fratellanza viene in modo naturale perché egli ha inculcato in noi l'idea dell'accettazione di tutte le tradizioni religiose (sarva dharma sweekaar). Esse non si escludono a vicenda. Alla base della Swadhyaya c'è l'idea di un Dio che abita in tutti, e noi siamo figli dello stesso Dio. Approfondendo l'eredità classica dell'India, egli ha cercato di abbattere le barriere tra uomo e uomo e di liberare l'idea della religione dal dogmatismo, dall'isolamento e dalle costrizioni. [...] Il nostro dialogo, che celebra l'unità di diverse tradizioni religiose, non è arrivato un giorno prima. Da qui possiamo camminare verso una unità delle religioni del mondo perché si salvaguardi un futuro condiviso e benedetto da Dio». In Together for Peace. Assisi 24 January 2002. Preghiera per la pace nel mondo. Assisi, Piazza San Francesco, 24 gennaio 2002, a cura dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, Tipografia vaticana, Città del Vaticano 2005, 59-60.In un certo senso ciò smentisce quanto affermato da Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1986 durante l'udienza generale del mercoledì precedente il primo incontro di Assisi: «Noi rispettiamo questa preghiera, anche se non intendiamo fare nostre formule che esprimono altre visioni di fede. Né gli altri, del resto, vorrebbero far proprie le nostre preghiere»; Giovanni Paolo II, Udienza generale del 22 ottobre 1986, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,2, 1146. In realtà, invece, ciò che ha detto il 24 gennaio 2002 Didi Talwalkar manifesta una visione sincretista che senza problemi «celebra l'unità di diverse tradizioni religiose» e quindi il far proprie le preghiere di altre religioni, cristiana compresa.
[29] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 59: «The example of the Christians who, despite the great variety of Churches and Communions, had decided to pray together in the same cathedral, induced others to do the same. The Buddhist, whose preference had been to pray in separate places according to their different traditions, came together instead in the church of San Pietro. The religions of India also, after a separate prayer had been offered by the Hindus, Zoroastrians and the Sikh, came together in the church of Santa Maria Maggiore». Marcello Zago legge positivamente questo fatto che, ad esempio, i Buddisti andarono insieme nella chiesa di San Pietro, vedendo in ciò l'esito della testimonianza data dai cristiani che hanno pregato assieme. Tuttavia ciò significa che i Buddisti, così come anche le religioni asiatiche non hanno rispettato i luoghi a loro affidati, ma sono andati tutti assieme in una chiesa. Ciò, soprattutto mediante i mass media – presenti in modo massiccio ad Assisi essendoci 800 giornalisti accreditati, contro i 500 del Concilio Vaticano II – ha avuto una grande risonanza e ha dato adito ad una visione sincretista del tutto, sia come accusa da parte dei tradizionalisti, che con soddisfazione da parte di altri.
[30] M. Zago, Day of Prayer for Peace. Assisi, 27 October 1986, 66.
[31] A. Scola, Essere insieme per pregare per la pace, 4. Tali concetti lo stesso Autore li ha ripresi ad Assisi nel 1996 durante il Convegno di studio nel decennale dello "spirito di Assisi": cfr. A. Scola, I principi del dialogo interreligioso nella teologia cattolica, in Le confessioni cristiane di fronte alla sfida del dialogo interreligioso. Atti del convegno nel decennale della Giornata mondiale di preghiera per la pace del 27 ottobre 1986(Assisi, 18-19 ottobre 1996), in Convivium Assisiense 5/ Supplemento (1997), 109-134.
[32] J. Ratzinger, Lo splendore della pace di Francesco, in 30Giorni nella Chiesa e nel mondo, 20/1 (2002), 14.
[33] D. Racca, Il dialogo interreligioso nel magistero dopo il concilio Vaticano II, in Rassegna di teologia 43 (2002), 537.