Charlie Hebdo, il male demoniaco e il perdono: due straordinari articoli “inattuali” di Tempi 1/ Per comprendere i jihadisti bisogna leggere “Arancia meccanica” (è il diavolo, probabilmente) 2/ Tutti avete visto la famosa copertina di Charlie Hebdo. Ma l’avete guardata sul serio?, di Renato Farina
1/ Per comprendere i jihadisti bisogna leggere “Arancia meccanica” (è il diavolo, probabilmente). Il radicalismo islamico non va messo solo in relazione al “disagio sociale”, ma alla questione del male. Anthony Burgess aveva capito tutto, di Giovanna Jacob
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Giovanna Jacob pubblicato il 26/1/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2015)
Caro direttore, pochi giorni fa si è saputo che uno studente della Normale di Pisa è stato espulso dall’Italia per sospetti legami con gruppi jihadisti. Si tratta del venticinquenne turco Furkan Semih Dundar, dottorando in fisica, ammesso alla Normale per le sua competenza nella fisica dei buchi neri e nella connessione di questa con la teoria delle stringhe. Fra novembre e dicembre, ha inviato messaggi sospetti a siti jihadisti e a siti governativi italiani e statunitensi. In ogni caso, questi messaggi erano troppo vaghi per provare che egli fosse collegato a gruppi jihadisti. Per il momento l’unica accusa formalizzata contro di lui è “procurato allarme”.
In una intervista apparsa su Repubblica, Dundar dichiara di non essere più musulmano da tanto tempo e c’è da credergli. Nessun musulmano, infatti, potrebbe mai fare una apologia del paganesimo e di Nietzsche: «Ma nel 21esimo secolo il concetto di amore è collassato, il sistema di valori sia in Occidente che in Oriente è in crisi. L’amore è stato superato dalla lussuria. L’unica soluzione per cui la gente possa trovare pace è il paganesimo, che si adatta all’esistenza delle moltitudini che hanno stili di vita diversi. Nietzsche aveva ragione, dopotutto».
Dunque, sembra estremamente improbabile che questo giovane brillante dottorando sia un individuo pericoloso. Tuttavia, non dobbiamo credere che un giovane brillante dottorando non possa a priori diventare un terrorista. Più precisamente, non dobbiamo credere a Socrate. Il troppo venerato filosofo sosteneva che per fare il bene basta conoscere il bene. Chi fa il male, secondo il filosofo, semplicemente ignora il bene. I moderni non hanno fatto altro che esasperare il pensiero di Socrate: se per l’antico filosofo il male nasce dall’ignoranza del bene, per i moderni il male nasce dall’ignoranza tout court. “Diamo ai giovani cultura”, dicono gli intellettuali à la page, “e li terremo lontani dalla violenza”.
In realtà, non sembra davvero che la cultura renda i giovani buoni. Quello che sappiamo, è che la migliore formazione culturale occidentale non ha tenuto molti giovani brillanti di religione musulmana alla larga dal terrorismo. Per la cronaca, la maggioranza dei capi islamici fondamentalisti possono esibire con orgoglio prestigiose lauree conseguite in prestigiose università occidentali o in università orientali occidentalizzate. Il miliardario Bin Laden fu educato nell’esclusivo collegio Le Rosey, in Svizzera, mentre Hassan el Turabi, ideologo del regime sudanese e mandante del genocidio scientifico dei cristiani, si è laureato ad Oxford e alla Sorbona. Tornando indietro nel tempo, Muhammad Iqbal, uno dei principali teorici dell’indipendenza del Pakistan dall’India, aveva studiato ad Oxford ed aveva meritato il titolo di baronetto. In realtà, si fatica a trovare gente priva di istruzione superiore anche fra i semplici manovali del terrore. Tutti ricordano che Mohammed Atta, capo del commando di terroristi dell’11 settembre, aveva conseguito una laurea in ingegneria in Germania. Per identificare “Jihadi John”, il terrorista che ha decapitato James Foley e Steve Sotloff, gli esperti hanno concentrato la loro attenzione su tre cittadini britannici, residenti a Londra, che hanno lasciato la madre patria per andare a combattere in Siria. Ebbene, fra essi c’è pure uno stimato professionista: il medico Shajul Islam, 28 anni.
La verità indiscutibile che emerge dalle biografie degli islamisti è che per diventare terroristi non c’è bisogno di ignorare il bene. Viene in mente il romanzo Arancia Meccanica di Anthony Burgess, da cui è stato tratto l’omonimo film di Stanley Kubrik. Nel brano seguente c’è la chiave di interpretazione di tutto il romanzo. Sebbene Alex, protagonista e voce narrante del romanzo, usi uno strano “slang” sub-urbano, le sue parole sono abbastanza chiare:
«La gazzetta parlava come al solito di ultraviolenza e rapine nelle banche (…) E c’era il un tamagno grande articolo sulla Gioventù Moderna (parlavano di me, così feci un bell’inchino, ghignando da scardinato) di qualche martino calvo e intelligentone. (…) Questo martino così istruito diceva le solite trucche sulla mancanza di autorità dei genitori e la carenza, come diceva lui, d’insegnati cinebrivido che avrebbero dovuto togliere ogni velleità ai loro innocenti pupilli a forza di bastonate fino a farli chiedere pietà. Tutte stronzate di questo genere, però era bello sapere che noi si faceva notizia ogni giorno, o fratelli. Di articoli sulla Gioventù Moderna ce n’erano sempre, ma la trucca migliore che avessero mai stampato sulla vecchia gazzetta era un bigio papalone col collare da cane che diceva come, secondo la sua stimatissima opinione, e lui sprolava da uomo di Zio, ERA IL DIAVOLO CHE SI TROVAVA OVUNQUE che si scavava la sua strada dentro la giovane carne innocente, ed era il mondo degli adulti che doveva assumersene la responsabilità per via delle loro guerre e delle bombe e tutte quelle assurdità. Ora sì che andava bene. Lui sì che sapeva di cosa parlava dato che era un uomo di Dio. E dunque noi malcichi eravamo innocenti e nessuno poteva darci la colpa. Benebenebene. (…) Mi feci una gufata, però, ripensando a quello che avevo letto una volta in uno di questi articoli sulla Gioventù Moderna, su come la Gioventù Moderna sarebbe stata migliore se si fosse riusciti a incoraggiare l’Amore per le Arti. La Grande Musica, diceva, e la Grande Poesia avrebbero calmato la Gioventù Moderna e avrebbero inserito la Gioventù Moderna nella società civile. Inserito nelle mie berte sifilitiche. La musica mi rendeva ancora più sviccio, mi faceva sentire come il vecchio Zio in persona, pronto a far tuoni e saettame e ad avere martini e quaglie scriccianti in mio ha ha potere».
A proposito della Grande Musica, tutti ricordano la scena del film di Kubrick in cui Alex (Malcolm McDowell) si abbandona misticamente a visioni di “dolce ultraviolenza” mentre ascolta la Nona di Beethoven. A parte questo, il teppista Alex è molto soddisfatto di quello che legge: «E dunque noi malcichi eravamo innocenti e nessuno poteva darci la colpa». In effetti, per gli intellettuali moderni il criminale è sempre innocente, sempre vittima di qualcosa, in primo luogo della società: «L’uomo è buono e la società lo rende cattivo» (Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale). Poiché si rifiuta di pensare che l’uomo possa non essere buono, l’intellettuale moderno cercherà sempre le cause del male fuori dall’uomo stesso, più precisamente fuori dalla sua volontà: ora nell’ignoranza del bene, ora nella mancanza di cultura, ora nelle tare psichiatriche, ora nelle “ingiustizie sociali”.
Ad esempio, in molti articoli apparsi negli ultimi giorni la conversione dei tre terroristi del 7 gennaio al radicalismo islamico viene messa insistentemente in relazione al “degrado” e ad un “disagio sociale” che regnerebbero incontrastati nelle banlieues francesi. Ma in realtà, dal punto di vista economico quei tre “disagiati” non se la passavano tanto male, sicuramente meglio di tanti europei autoctoni, che a causa della crisi vivono oggi al di sotto della soglia di povertà. Dei due fratelli Said e Chérif Kouachi sappiamo che sono cresciuti in una casa famiglia a spese dello stato francese (ossia a spese dei contribuenti della nazione che volevano distruggere) mentre di Amedy Coulibaly sappiamo che nel 2009 aveva ottenuto un buon posto di lavoro in una fabbrica della Coca cola. E non dimentichiamo mai che il defunto Osama Bin Laden era una specie di miliardario.
Ma torniamo brevemente al romanzo. Anthony Burgess, che sembra fosse profondamente influenzato dalle idee del famoso convertito inglese John Henry Newman, enfatizza con le maiuscole quello che secondo lui è la verità: «ERA IL DIAVOLO CHE SI TROVAVA OVUNQUE». In effetti, alla base di Arancia meccanica c’è la critica alla visione tipicamente illuminista dell’uomo, di cui lo studioso dell’illuminismo Ernest Cassirer mette a fuoco il tratto principale: «Il pensiero del peccato originale è l’avversario comune, a combattere il quale si uniscono i diversi indirizzi della filosofia illuministica. Troviamo il Hume a fianco del deismo inglese come il Rousseau a fianco del Voltaire» (E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo). Insomma, la verità ostinatamente negata dalla cultura moderna è che la radice del male è nel cuore dell’uomo, e che il cuore dell’uomo è costantemente insidiato da una misteriosa presenza che è riuscita a convincerci della sua inesistenza. È il diavolo, non le ingiustizie sociali, a spingere i giovani al terrorismo.
2/ Tutti avete visto la famosa copertina di Charlie Hebdo. Ma l’avete guardata sul serio?, di Renato Farina
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Renato Farina pubblicato il 26/1/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2015)
La vignetta che fa da copertina al primo numero di Charlie Hebdo dopo la strage l’abbiamo vista mille volte, nessuno però l’ha guardata sul serio. Io so perché: è la dimostrazione chiara come il sole che l’essenza del cristianesimo è penetrata nelle coscienze e incide nei momenti supremi della vita anche di chi gli si oppone e lo irride. Questa però è ancora un’osservazione in odore di trionfalismo. Non mi interessa che il cristianesimo sia a tal punto osmotico da dar forma persino al post-cristianesimo. Conta che Cristo sia meravigliosamente vero. Colma il cuore. Ci fa stare davanti all’orrore vedendo oltre l’abisso quel grembo che non si può trasformare in concetto, ma che Dante ha contemplato nella Vergine Madre: «Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace, così è germinato questo fiore».
Osserviamo quella copertina con calma, senza pregiudizi. È come se fosse germinata da un dolore che non trova parole e alla fine si è riposato nelle lacrime e nella pace del perdono. Sono pazzo? Sono tendenzioso? Semmai avevo un pregiudizio negativo verso quella brigata nichilista. Ero pronto a compatire gli adoratori irridenti del Nulla che ride di loro. Per cui, al vederne l’anteprima, semplicemente ho pensato: boh, roba innocua. Non lo era. È scoppiato il finimondo. E non per le pagine interne – che fanno veramente schifo, specie dove si offende l’Eucarestia –, ma proprio per la prima pagina.
Intanto cominciamo a escludere quel che l’evidenza impone di escludere. Non è vero che la vignetta è moscia, rispetto alla enormità del delitto e della tragedia: è un’altra cosa. Ha cambiato piano, dimensione, galassia. Ma di certo non è blasfema, almeno nel senso che qualsiasi uomo sensato dà alla parola. Non distorce il cuore religioso degli uomini. È vero: raffigura il volto di Maometto in caricatura persino bonaria, e per l’islam non si deve disegnare nessuno, dunque il ritratto è un’offesa in sé, come gli affreschi in San Petronio a Bologna.
E che cos’è allora? «Ho disegnato un Maometto che piange, mi dispiace l’abbiamo ancora disegnato, ma il Maometto che abbiamo disegnato è un Maometto che piange prima di ogni altra cosa», ha detto Luz, l’autore. E ha spiegato: «Ho seguito un’idea». Aveva pensato di mettere nelle mani del Profeta il famoso cartello “Je suis Charlie”. Questo ha fatto ridere Luz. Poi ha pensato che pensando a quella strage si sarebbe commosso. Ed ecco la lacrima. «A quel punto ho aggiunto “Tout est pardonné”, tutto è perdonato. Ho pianto. Avevamo finalmente trovato la nostra prima pagina. Non quella che il mondo voleva, non quella che i terroristi volevano». Il mondo e i terroristi, secondo Luz, volevano la bestemmia. Avrebbero respirato: tutto è come deve essere. Invece, scandalo, disordine.
Il perdono non c’è nel Corano per gli infedeli. La morte nell’islam redime solo chi ha sparso il sangue altrui. Dire “tutto è perdonato” è una pugnalata al cuore dell’ideologia disumana che impugna il Corano. Ma è inaccettabile anche dalla cultura dominante in Europa per cui tutto annega nel presente: è la cultura dell’attimo e se nell’attimo ti ammazzano, crepa. Invece lì, in quella pagina, incombe qualcosa di più grande del male, per cui nemmeno l’assassinio di un amico è l’ultima parola sulla vita.
Qualcosa di imprevedibile accade. Maometto vede, si identifica con quel dolore e sangue. Piange. C’è un salto. C’è un’attesa. Tutto è perdonato. Non è la voce che viene da Charlie, non arriva dalla bocca o dalla testa del profeta. È una improvvisa fontana che buca la roccia. È qualche cosa che viene da oltre il dolore, emerge da un mistero. Va contro l’istinto, che a odio risponde con odio, a morte con la morte. Non c’entra con il buonismo, che edulcora il male. Non è uno sberleffo. È uno sberleffo allo sberleffo. È una carezza. E se non è del Nazareno, di chi è?