1/ La «Rivoluzione religiosa» di al-Sisi, di Federica Zoja 2/ Scossa ad al-Azhar, di Riccardo Redaelli
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1/ La «Rivoluzione religiosa» di al-Sisi, di Federica Zoja
Riprendiamo da Avvenire del 7/1/2015 un articolo di Federica Zoja. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Islam nella sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2015)
Non solo uomo d’armi o statista. Abdel Fattah al-Sisi, presidente della Repubblica araba d’Egitto dall’8 giugno 2014, rilancia, facendosi promotore di una rivoluzione religiosa. Il mondo musulmano non può più essere percepito come «fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione» per il resto dell’umanità. E le guide religiose dell’islam devono «uscire da loro stesse» e favorire una «Rivoluzione religiosa» per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una «visione più illuminata del mondo». Se non lo faranno, si assumeranno «davanti a Dio» la responsabilità per aver portato la comunità islamica su cammini di rovina.
Con queste parole, pronunciate con durezza nel suo intervento di inizio anno di fronte alle massime cariche della moschea universitaria di al-Azhar – punto di riferimento dell’islam sunnita mondiale – riunite insieme ai dirigenti del ministero per gli Affari religiosi egiziano, al-Sisi si è assunto responsabilità politico-etiche come mai nessun altro leader arabo-musulmano contemporaneo.
Come riportato dall’agenzia Fides, il presidente ha preso di mira il «pensiero erroneo», da lui contrapposto all’autentico islam, fatto di un coacervo di idee e testi che «noi abbiamo sacralizzato nel corso degli ultimi anni» e che conduce l’intera comunità islamica «a inimicarsi il mondo intero». A giudizio di al-Sisi, i processi innescati dalla perversione islamista vanno bloccati: «È mai possibile – ha detto il leader politico arabo – che un miliardo e 600 milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei 7 miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile!».
Il discorso di al-Sisi ha avuto toni di ammonizione per le guide religiose del mondo islamico: «Quello che io sto dicendo», ha aggiunto, «non potete percepirlo se rimanete intrappolati dentro questa mentalità. Dovete uscire da voi stessi e osservare questo modo di pensare dal di fuori, per sradicarlo e rimpiazzarlo con una visione più illuminata del mondo».
Il «mondo intero», ha scandito il leader politico arabo rivolgendosi a mufti e sheikh sunniti di primissimo piano, «sta aspettando la vostra prossima mossa, poiché l’umma islamica viene lacerata, viene distrutta e va perduta, per opera delle nostre stesse mani».
L’intervento nasconde in sé diversi piani di lettura: in primis, quello interno, segnato dalla repressione delle forze di sicurezza egiziane nei confronti dell’islam politico. Dalla destituzione del presidente islamista Mohammed Morsi (3 luglio 2013), dirigenti, affiliati e semplici sostenitori della Fratellanza musulmana sono vittime di una persecuzione senza precedenti nel Paese.
Tradizionalmente, i vertici di al-Azhar sono avversi alla Confraternita: non così, invece, per studenti e corpo docente. L’anno accademico 2014-2015 è iniziato con ampio ritardo e sotto lo sguardo della polizia anti-sommossa. Il braccio di ferro Stato-Fratellanza, insomma, continua.
Poi, il piano internazionale: la dirigenza dell’ateneo è nell’occhio del ciclone per aver condannato con ritardo il fenomeno dello Stato islamico in Iraq e Siria.
Negligenza o simpatia mascherata? In Egitto, Is ha stretto alleanza con i jihadisti Ansar beit el-Maqdis, di base nel Sinai. L’allarme è alto e l’argomento sentito dall’opinione pubblica.
Nelle intenzioni di al-Sisi non c’è l’indebolimento dello sceicco al-Tayyeb, la guida di al-Azhar, e dell’istituzione stessa, anzi: secondo i media del Cairo, il presidente vorrebbe porre al centro della propria strategia anti-Is il rinomato ateneo per diffondere precetti religiosi più moderati e contrastare l’espansione dell’estremismo.
Con il sostegno di una coalizione araba da lui guidata. Il progetto ha buone chances di riuscita: il rais gode del credito politico saudita. E soprattutto è un uomo notoriamente devoto: proprio per questo Morsi lo volle a guida delle Forze armate sotto la sua presidenza. Ancora oggi si mormora che al-Sisi sia stato, almeno in gioventù, affiliato alla Fratellanza. Poi, il ravvedimento. E ora l’appello ai musulmani di buona volontà.
2/ Scossa ad al-Azhar, di Riccardo Redaelli
Riprendiamo da Avvenire del 7/1/2015 un articolo di Federica Zoja. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2015)
Un discorso fermissimo, che lascia poco spazio alle interpretazioni ambigue. Pochi giorni fa il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, parlando dinanzi ai vertici religiosi dell’Università al-Azhar – il maggior centro teologico di tutto il mondo sunnita – in occasione del nuovo anno e della celebrazione della nascita di Maometto, ha pronunciato parole molto nette sulla necessità di una vera e propria «rivoluzione religiosa». Uno sforzo diretto contro le cattive interpretazioni dell’islam, che incitano alla violenza e alla chiusura dinanzi alle altre comunità. Al-Sisi si è anche chiesto come sia possibile che la religione islamica venga percepita come «fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione» da parte del resto del mondo. O come mai vi sia chi, fra i musulmani, pensi che la sicurezza possa essere raggiunta solo eliminando gli altri sette miliardi di abitanti del mondo.
Frasi probabilmente mai pronunciate prima nel cuore di al-Azhar, ove da tempo prevalgono le voci apologetiche nei confronti della tradizione islamica più rigida. Certo, le sue massime autorità hanno sempre condannato gli estremismi e il terrorismo di al-Qaeda o dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi, e hanno più volte aperto spiragli al dialogo religioso. Ma si sono troppo spesso autoconfinate nel rispetto formalistico della tradizione (il taqlid, l’imitazione), apparentemente incapaci di muoversi da una prospettiva che non sia islamico-centrica. Per questo il presidente ha pronunciato giudizi molto netti anche sul questo tipo di atteggiamento, ricordando le responsabilità dirette degli ulema e dei giurisperiti religiosi rispetto alla diffusione del radicalismo e di un atteggiamento di intolleranza verso le minoranze religiose sempre più diffuso nel mondo islamico.
Lo sanno bene i copti cristiani egiziani, che si apprestano a celebrare il loro Natale fra imponenti misure di sicurezza e le immancabili violenze, pagate – ancora ieri – con la vita dei poliziotti schierati a difesa delle chiese. Da qui l’invito del presidente ai religiosi sunniti a «uscire da loro stessi», per favorire una riforma dell’interpretazione religiosa che sradichi il fanatismo e favorisca una visione più illuminata dei rapporti con "l’altro" in un mondo globalizzato e sempre più interdipendente. Certo, qualcuno ha visto in questo discorso l’ennesimo attacco contro i Fratelli Musulmani e un chiaro avvertimento verso quegli ulema che si pongono con ambiguità nei confronti del radicalismo islamico. Altri hanno sottolineato l’incongruenza di un presidente "anti-islamista" che tuttavia viene appoggiato dall’Arabia Saudita, Paese per eccellenza sponsor del dogmatismo religioso, e che ha goduto dell’appoggio di Hizb al-Nur, il partito dei salafiti egiziani, espressione massima del solipsismo religioso e dell’incapacità di accettare l’altro.
Osservazioni fondate. Che tuttavia non colgono la portata di dichiarazioni così forti e, a dirla tutta, anche coraggiose, fatte non per ingraziarsi un uditorio occidentale, ma nel cuore dell’esegesi e della tradizione islamica egiziana. Al-Sisi ha detto anche che la comunità islamica (la umma) viene lacerata e distrutta «dalle nostre stesse mani». Non dal solito complotto sionista o dei crociati, come viene ripetuto ossessivamente da decenni in Medio Oriente. Con forza egli ha ripreso quanto vanno dicendo intellettuali e studiosi riformisti, che spesso hanno pagato con la vita il loro coraggio: ossia che l’islam deve necessariamente riprendere con decisione e con spirito critico quel cammino di revisione dell’interpretazione dei suoi princìpi religiosi avviato con il riformismo islamico nel XIX secolo e poi via via abbandonato. Proprio un altro egiziano, Muhammad Abduh (morto nel 1905), insegnava da al-Azhar il rapporto strettissimo fra ragione e fede, che doveva stimolare a vivificare l’interpretazione dell’islam e a discernere l’azione buona da quella malvagia. E dinanzi alle stragi continue compiute in nome di una visione distorta della religione, chi può negare il bisogno estremo di questa coraggiosa "rivoluzione del pensare"?