Appunti per una “filosofia” dell’anima (di G.M.)
Questa breve nota non vuole entrare nello specifico della questione della formazione e dello sviluppo pre-cristiano del concetto di “anima”, così decisivo nel mondo classico e nella maggior parte delle culture sviluppatesi nella storia umana.
Non vuole nemmeno misurarsi con la posizione di Immanuel Kant che vede nell’esistenza dell’anima, nella sua immortalità e nell’esistenza di Dio i tre postulati richiesti dalla ragion pratica.
Vuole, invece, sottolineare che il rapporto fra Dio e l’anima, che viene di solito indagato da un punto di vista causale – se l’anima esiste è se ciò che è spirituale nell’uomo viene da Dio e non si genera semplicemente da sé – merita, invece, anche un diverso sguardo prospettico.
Il concetto di “anima” come caratteristico dell’uomo e solo dell’uomo pretende, infatti, che l’uomo – e solo l’uomo – abbia la possibilità di porsi il problema di Dio.
L’animale non è in grado di questionare su Dio né sul perché di ciò che esiste. Egli non si interroga sul senso delle cose, né dinanzi alla loro bellezza, né dinanzi al male ed alla morte. Certo si può affermare che l’animale è, in qualche modo, capace di soffrire o di godere, ma ciò che gli è precluso è che possa porsi la questione del significato della gioia e del dolore. Non appartiene all’animale il domandarsi se esista, in qualche luogo, luce per comprendere il perché della vita stessa. È così impossibile per l’animale pregare Dio, invocarlo o maledirlo, così come cercarlo o negarlo. Qui la differenza qualitativa dell’uomo precede ogni ipotetica risposta, poiché nell’animale è la domanda che non viene mai formulata.
La possibilità di questionare sul perché o sull’assenza di un perché è, invece, data all’uomo, come sua caratteristica propria. Anzi, la possibilità di interrogare sul senso è l’identità peculiare che contraddistingue l’uomo. Gli studi antropologici sulle culture primitive manifestano, a partire dai graffiti, dai reperti pittorici o dalle sepolture, una capacità interrogante dell’uomo sul senso delle cose che è immediatamente percepibile. Egli non solo soffre o gode, ma esprime nel simbolo la ricerca del motivo di tutto questo.
Anche l’uomo ateo, che si pone nella prospettiva della negazione di Dio, ritiene la difesa di questa sua posizione un compito da realizzare. La relazione con Dio, cercata o rifiutata, caratterizza l’essere dell’uomo.
La domanda si manifesta come questione sul senso delle cose. È la grande interrogazione. In questa domanda ed in questa ricerca di relazione, che è manifestazione di amore, si esprime l’“anima”, quel “proprium” che appartiene unicamente all’uomo.
L’origine in Dio di ciò che è spirituale nell’uomo corrisponde, misteriosamente, all’identità di questa stessa “anima” che è esattamente la sua capacità di porsi in relazione con Dio.
Non vuole nemmeno misurarsi con la posizione di Immanuel Kant che vede nell’esistenza dell’anima, nella sua immortalità e nell’esistenza di Dio i tre postulati richiesti dalla ragion pratica.
Vuole, invece, sottolineare che il rapporto fra Dio e l’anima, che viene di solito indagato da un punto di vista causale – se l’anima esiste è se ciò che è spirituale nell’uomo viene da Dio e non si genera semplicemente da sé – merita, invece, anche un diverso sguardo prospettico.
Il concetto di “anima” come caratteristico dell’uomo e solo dell’uomo pretende, infatti, che l’uomo – e solo l’uomo – abbia la possibilità di porsi il problema di Dio.
L’animale non è in grado di questionare su Dio né sul perché di ciò che esiste. Egli non si interroga sul senso delle cose, né dinanzi alla loro bellezza, né dinanzi al male ed alla morte. Certo si può affermare che l’animale è, in qualche modo, capace di soffrire o di godere, ma ciò che gli è precluso è che possa porsi la questione del significato della gioia e del dolore. Non appartiene all’animale il domandarsi se esista, in qualche luogo, luce per comprendere il perché della vita stessa. È così impossibile per l’animale pregare Dio, invocarlo o maledirlo, così come cercarlo o negarlo. Qui la differenza qualitativa dell’uomo precede ogni ipotetica risposta, poiché nell’animale è la domanda che non viene mai formulata.
La possibilità di questionare sul perché o sull’assenza di un perché è, invece, data all’uomo, come sua caratteristica propria. Anzi, la possibilità di interrogare sul senso è l’identità peculiare che contraddistingue l’uomo. Gli studi antropologici sulle culture primitive manifestano, a partire dai graffiti, dai reperti pittorici o dalle sepolture, una capacità interrogante dell’uomo sul senso delle cose che è immediatamente percepibile. Egli non solo soffre o gode, ma esprime nel simbolo la ricerca del motivo di tutto questo.
Anche l’uomo ateo, che si pone nella prospettiva della negazione di Dio, ritiene la difesa di questa sua posizione un compito da realizzare. La relazione con Dio, cercata o rifiutata, caratterizza l’essere dell’uomo.
La domanda si manifesta come questione sul senso delle cose. È la grande interrogazione. In questa domanda ed in questa ricerca di relazione, che è manifestazione di amore, si esprime l’“anima”, quel “proprium” che appartiene unicamente all’uomo.
L’origine in Dio di ciò che è spirituale nell’uomo corrisponde, misteriosamente, all’identità di questa stessa “anima” che è esattamente la sua capacità di porsi in relazione con Dio.