Benigni la sua forza, non essere solo in scena, di Davide Rondoni
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Riprendiamo da Avvenire del 17/12/2014 un articolo di Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (17/12/2014)
Il fatto è che non era solo. In scena, dico. La sua forza è che non è solo. La serata tv di Benigni di lunedì poteva essere il massimo della finzione. O il massimo della autenticità. Come accade in molti momenti della vita, la partita era apertissima. Accade in tanti momenti, in tante situazioni: al lavoro, nelle aule di lezione o di convegno, in luoghi della convivenza. Recitare o esserci. Era questo il rischio. L’ambito era quello destinato al massimo della finzione: la tv, i lanci promozionali, la scommessa della audience. Poteva essere la cosa più finta del mondo. Ma come fa un uomo a evitare la finzione? Come si fa a essere se stessi? Si è autentici quando si “poeta” qualcosa di più grande e autentico di se stessi, quando non si è soli, insomma quando quel che si presenta non è solo frutto della presunzione personale o di qualche idea.
Benigni da solo ci ha parlato dei Dieci Comandamenti. Ma come ha ripetuto spesso non erano parole solo sue. E infatti era un dire colmo di gratitudine e meraviglia. Molti hanno parlato di azzardo. Eppure c’era già da tempo più di qualche segno che parlare dei Dieci Comandamenti in pubblico non sarebbe stato del tutto un azzardo e che esiste una domanda di nuovo racconto di queste antiche e sempre nuove cose. Un segno veniva ad esempio dall’esperienza condotta nei due anni scorsi in dieci piazze italiane da tanti artisti (e con l’intervento di tante personalità della cultura e in video dei due Papi) su iniziativa di Rinnovamento nello Spirito. Proprio sui Comandamenti, le piazze piene.
E non sono stati pochi i momenti di “spettacolo” che hanno rimesso in scena il patrimonio mistico e popolare della cultura religiosa e cristiana. Dai festival di teatro del sacro ai grandi concerti di Ambrogio Sparagna all’Auditorium di Roma fino agli spettacoli della foresta della Grancìa o in tante piazze compresa quella del Duomo a Milano. L’anima mistica e popolare dell’Italia, quella che non va giù agli intellettuali che vorrebbero non far sorridere nei salotti francesi o di Londra, sta dando molti segnali. La nostra cultura mistica e popolare, custodita dalla chiesa e dalla gente.
Il gesto d’azzardo di Roberto Benigni, dunque, è forse meno azzardato di quanto sembra, e ciò non va a suo demerito, ma conferma il talento di un artista che sa interpretare meglio di altri il popolo a cui appartiene con le sue bellezze, i suoi scempi, le sue risorse. Lo abbiamo visto in tanti, girando per piazze e teatri che il racconto di ciò che è sacro, alto e meraviglioso per la tradizione religiosa e cristiana interessa spesso come cosa nuova, come scoperta e come momento di libertà in mezzo a troppi discorsi corretti e costretti. In mezzo a troppe parole di plastica, parole finalmente umane. Poteva dunque essere il massimo della finzione.
E lo sarebbe stata, anche al di là della bravura dell’attore e della sua partecipazione emotiva, se fosse stata la serata solo sua. Se fosse stata una trovata, una invenzione. Una cosa bizzarra e individualista. Invece no, la forza di Benigni è di non essere solo. Quel suo presentarsi quasi da folletto casuale sulla scena è la massima conferma: lo spettacolo è un uomo, ma un uomo che ha scelto di portare in scena ciò a cui appartiene. Le storie, le parole, i proverbi, la sua mamma, il matto del paese, i libri antichi e nuovi che ha letto, gli amici, i santi, i poeti. Questo one-man-showè non a caso uno dei pochi momenti in cui molti si riconoscono, come riascoltando qualcosa a cui si appartiene.
L’animo italiano, mistico e popolare, è fondato su una consapevolezza, come ha detto Benigni all’avvio: la partita più vera riguarda l’anima. Se non ci sentiamo in gioco del tutto, se non sentiamo di rischiare di perder l’anima, la vita diventa sciocca, senza sale, senza vivacità. La perdita peggiore del nostro tempo è una perdita d’anima, una perdita di quel senso del rischio che rende più vivi gli uomini e meno idolatri. Come si è visto, è “l’animazione” la protagonista della personalità di Benigni. Il suo crisma. Un’anima personale e nutrita di cose comuni. «Dio resuscita i vivi» ha detto a un certo punto. Parlava di qualcosa che gli succede e che lo porta in scena, vivo come pochi. Appunto: spettacolo d’un uomo.