1/ L'incubo dell'«omofobia» è finito: vediamo chi ha il coraggio di scusarsi, di Adele Caramico e Marco Tarquinio 2/ Il viaggio (mio e tuo) dal guadagno al centuplo, di Annalisa Teggi
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1/ L'incubo dell'«omofobia» è finito: vediamo chi ha il coraggio di scusarsi, di Adele Caramico e Marco Tarquinio
Riprendiamo da Avvenire del 28/11/2014 una lettera di Adele Caramico e la risposta del direttore Marco Tarquinio. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/12/2014)
Caro direttore,
torno a scriverle perché finalmente è finito un incubo infernale durato più di venti giorni. Sono stata sbattuta sulle pagine dei giornali come il “mostro omofobo di Moncalieri”: una cosa che mi ha particolarmente ferita. Ho vissuto giorni terribili. Facevo fatica persino a uscire di casa, e quelle poche volte che mi azzardavo a farlo, venivo additata come l’insegnante «omofoba» del giornale.
Della mia presunta «omofobia» si è persino parlato alla trasmissione Rai “La vita in diretta”, seguita da milioni di telespettatori. Ho appreso la notizia della fine di questo incubo dai giornali. Il preside non ha ritenuto opportuno avvisarmi prima, ma non voglio far polemica su questo. Ciò che mi ha più spaventato durante questo triste periodo è stata la politica. Ho saputo che cinque deputati avevano presentato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione contro di me, e che anche il presidente della Commissione Istruzione del Senato aveva presentato un’interpellanza urgente, definendo il mio operato «intollerabile». Ho saputo che l’assessore regionale alle Pari Opportunità, Monica Cerutti, aveva fatto aprire una procedura di controllo presso il Centro regionale contro le discriminazioni a mio carico, che il consigliere comunale radicale di Torino, Silvio Viale, aveva chiesto che io venissi sottoposta a «corso di aggiornamento» e che il vicesindaco di Moncalieri aveva invocato contro di me «efficaci provvedimenti». Posso assicurarle che tutto questo spaventa una persona normale, non certo abituata alla ribalta mediatica. E io mi sono spaventata, anche se non mi sono fatta intimidire. Certamente non mi è piaciuto finire sui giornali, soprattutto per come alcuni di essi hanno “manipolato” la verità.
E tuttavia, in questo duro periodo, non sono stata sola. Oltre ai miei cari, devo ringraziare con tutto il cuore lei, direttore, e i suoi colleghi: “Avvenire” è stato l’unico giornale a non unirsi al coro del crucifige mediatico e, anzi, a ingaggiare una campagna per chiarire i fatti, in mia difesa. Devo anche ringraziare i Giuristi per la Vita, e in particolare il loro presidente avvocato Gianfranco Amato, che non solo mi ha assistito legalmente e mi ha consigliata da un punto di vista professionale, ma mi è stato anche vicino dal punto di vista umano. Ringrazio pure le tantissime persone che hanno avuto il coraggio di esprimere pubblicamente la loro solidarietà nei miei confronti. Esse rappresentano una speranza rispetto ai tentativi di intimidazione di quella che papa Francesco ha magistralmente definito come la «dittatura del pensiero unico». Voglio anche ringraziare tutti gli studenti che hanno confermato la verità di quanto accaduto: non oso neppure pensare che cosa sarebbe successo se si fossero messi d’accordo ad avallare le tesi false del loro compagno. Ma anche gli altri miei studenti che mi sono stati vicini e pure i miei colleghi insegnanti, che hanno condiviso con me questi giorni bui.
Questa vicenda mi ha insegnato molte cose. Ho capito come sia facile finire vittima della cosiddetta “macchina del fango” mediatica; cosa si provi quando si è vittima di una “caccia alle streghe”; come sia facile manipolare a fini ideologici e falsificare ciò che si afferma; come tante persone che ritenevi amiche possano all’improvviso sparire nel momento del bisogno perché intimidite da questa nuova e pericolosa forma di dittatura. Ma nello stesso tempo ho avuto modo di conoscere nuove amicizie, persone che non immaginavo potessero essere così interessate alla mia sofferenza di questi giorni.
Ora voglio valutare la possibilità di chiedere in via giudiziale il risarcimento per quello che ho sofferto. È stata vergognosamente calpestata la mia dignità umana, personale e professionale. È giusto che qualcuno paghi per questo. E ritengo doveroso agire anche per tutti i miei colleghi insegnanti di religione, che oggi rappresentano una “categoria a rischio”, perché sia chiaro che non si può impunemente intimidirli e vessarli.
La ringrazio ancora dell’attenzione che ha prestato a tutta la mia vicenda e di tutto il sostegno che, attraverso le pagine di “Avvenire”, mi è arrivato e mi ha dato tanta forza per proseguire nel mio cammino. La saluto cordialmente
Adele Caramico
Lei, cara professoressa, fa bene a valutare tutte le possibili forme del risarcimento che possono spettarle dopo il linciaggio subito per aver osato rispondere in classe di sessualità, morale e medicina senza presentare soltanto le tesi “politicamente corrette”. Io mi limito ad augurarmi che ora, smentendo la sconsolata previsione che feci lo scorso 5 novembre rispondendole in questo stesso spazio, almeno alcuni tra coloro che hanno distorto le sue parole e la sua figura, che hanno preso per buona e vera un’accusa cattiva e falsa, che l’hanno calunniata e diffamata come insegnante indegna e «omofoba» si decidano a chiederle pubblicamente scusa. Che lo facciano i politici che l’hanno “inquisita”, se sono persone per bene. Che lo faccia qualche collega giornalista, se davvero ha la schiena diritta. Che soprattutto lo faccia lo studente omosessuale che ha montato il caso e, in un Paese dove troppa gente nutre pregiudizi e cerca di nascondere la propria coda di paglia, è stato ascoltato e considerato come una sorta di oracolo di Delfi. Le persone vittime di discriminazione meritano ogni sostegno. I vittimisti che hanno vergognosamente preteso la discriminazione altrui meritano almeno l’occasione di riparare l’ingiustizia commessa. Se la scuola non è in grado di insegnare questo, che cosa insegna?
Marco Tarquinio
2/ Il viaggio (mio e tuo) dal guadagno al centuplo, di Annalisa Teggi
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Annalisa Teggi pubblicato il 23/11/2014 con il titolo “Io inviterei eccome Luxuria in tv”. Ma per ridere insieme del suo nome, mentre la giornalista suggerisce il titolo adatto che abbiamo conservato. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/11/2014)
«La bufera infernal, che mai non resta,/ mena li spirti con la sua rapina;/ voltando e percotendo li molesta». (Inferno, canto V)
Il vero nome di Dante era Durante; l’abbreviò, perché nomina sunt consequentia rerum. Il nostro nome parla di noi. E preferì che il suo nome parlasse del dare e offrire, anziché del durare. Infatti, ci ha dato la Divina Commedia. A quel simpaticone di Chesterton sarebbe piaciuto che ogni persona fosse il suo nome: i signori Rossi che escono solo vestiti di rosso, i signori Fabbri indaffarati coi loro ferri del mestiere, e così via. Lo scrittore stesso ammise che qualcuno si sarebbe lamentato, ad esempio i signori Bruttini o Galeotti. Qualcuno dirà che è una cosa demenziale; quel qualcuno ignora che saper ridere di sé è un gran bel esercizio.
Se avessi velleità televisive, tradurrei l’idea di Chesterton in uno show, magari intitolandolo “Un nome che è tutto un programma”: sarebbe, appunto, un programma tipo giochi senza frontiere, ma sul proprio nome. Ecco: catapulterei Marco Travaglio dal serioso Servizio pubblico al reality 24 ore in sala parto; porterei Carlo Conti da San Remo allo studio di un commercialista di Genova; sprecherei effetti speciali con draghi e circensi accogliendo Pietrangelo Buttafuoco; e la prima ospite musicale sarebbe Nada che, per adempiere fedelmente al suo ruolo, rifiuterebbe l’invito.
Di recente un altro invito è stato revocato, quello di Vladimir Luxuria a Tv2000 dove avrebbe dovuto commentare le notizie dei telegiornali. Molti cattolici hanno protestato e l’invito è poi saltato anche per la concomitanza con l’Assemblea generale della Cei. Penso che un organo televisivo cristiano abbia ancora più titolo di Barbara D’Urso di ospitare tutti, perché la Chiesa non è nata come una discoteca con selezione all’ingresso; e non solo si rallegra di chiunque entri, bensì i suoi buttadentro si adoperano ad accogliere quel «tutti» che ad altri sfugge o evitano. Appunto. C’è chi è talmente noto da avere una poltrona che l’attende in ogni salotto televisivo; poi c’è Adele Caramico, nota suo malgrado per essere stata ingiustamente accusata di omofobia. I giornali l’hanno additata e giudicata, magari una volta anche lei può commentare i telegiornali.
Ma io mi occupo solo del mio immaginario show sui nomi, in cui figuriamoci se la Caramico non è benvenuta! A Vladimir Luxuria chiederei di farmi compagnia per la puntata finale. Sì, perché il suo nome racconta tanto… da Vladimiro Guadagno a Vladimir Luxuria. E dice qualcosa di me. Nessuno desidera uscire dalla vita coi conti in pareggio, sentiamo il bisogno di «un di più», di un guadagno appunto. Che sia di bene, di bello, di amicizia, noi ci aspettiamo un utile, un sovrappiù rispetto al grado zero. Spesso io faccio a modo mio, cercando questo profitto nella moltiplicazione di ciò che mi piace, sfruttandolo e prosciugandolo. Perché la lussuria non ha solo a che fare col sesso; è una bufera dice Dante, è un uso smodato di cose e persone, un’egocentrica rapina in cui io cado tuttora; è una lussureggiante frenesia che sa imbellettarsi da dedizione. Ringrazio perciò di aver trovato un giorno una porta aperta, da cui ho udito quest’invito: «Mia cara, hai tratto un buon guadagno dalla tua lussuria? Se mi permetti, io ti offro il centuplo. Quaggiù».