P. Neuhaus: i cristiani di Terra Santa sono chiamati alla verità
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Riprendiamo dal sito di Radio Vaticana un’intervista a David Neuhaus apparsa il 24/11/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per alcuni articoli di David Neuhaus vedi la sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni: fra di essi Il dialogo ebraico-cristiano a Gerusalemme, di David Neuhaus, L'ideologia ebraico-cristiana e il dialogo ebrei-cristiani. Storia e teologia, di David Neuhaus, "Perché tanta gioia" (prima parte). Un'intervista a David Neuhaus e Perché tanta gioia" (seconda parte). Un'intervista a David Neuhaus, Dichiarazione del vicariato cattolico di lingua ebraica di Gerusalemme sulla proclamazione delle virtù, in vista della beatificazione, di Pio XII.
Il Centro culturale Gli scritti (1/12/2014)
È sempre molto alta la tensione a Gerusalemme dopo l'attentato di mercoledì ad una sinagoga, in cui due estremisti palestinesi hanno ucciso 5 ebrei, tra cui 4 rabbini. Un attacco che sta portando con sé altri episodi di violenza e ritorsioni. Oggi inoltre un palestinese è stato ucciso da militari israeliani a Jabalya. E in questa delicata situazione che fa temere la ripresa di una terza Intifada, qual è la vocazione della Chiesa in Terra Santa? Roberto Piermarini lo ha chiesto a padre David Neuhaus, vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica:
R. – La Chiesa è molto, molto radicata nelle due parti. C’è la Chiesa antica, che parla l’arabo e deve vivere in solidarietà con il popolo palestinese nel suo momento molto difficile, in questa lotta per l’indipendenza, per il riconoscimento: questa Chiesa, questa parte della Chiesa che parla arabo, deve essere in solidarietà profonda con il popolo palestinese, ma sempre dicendo la verità e sempre nella promozione della posizione cristiana per quanto riguarda la violenza e tutto ciò che non è permesso nella lotta per i diritti, per l’uguaglianza.
Dall’altra parte, c’è anche una Chiesa molto più piccola, molto più debole che vive nella società ebraica, che parla l’ebraico, che prega in ebraico: anche questa parte della Chiesa in solidarietà profonda con il popolo israeliano, deve dire la verità. E la verità è sempre la stessa: la verità non è ambigua. Ma la verità è la verità della situazione, della sofferenza, dell’oppressione, della discriminazione, dell’occupazione, del terrorismo, dell’uso non legittimo della violenza.
E qui, anche questa parte della Chiesa, in solidarietà profonda con il popolo ebraico in questo periodo bellissimo dove i rapporti tra la Chiesa e il popolo ebraico sono ottimi, i migliori in duemila anni, anche questa parte della Chiesa deve parlare della situazione con lo stesso linguaggio cristiano. E così noi potremo creare una nuova realtà, nella quale c’è rispetto vicendevole perché siamo tutti fedeli nella stessa Chiesa.
Questo, credo che sia un piccolo seme che può cambiare la situazione, se noi abbiamo la pazienza e la fede, perché sempre chiedono: “Ma che cosa sta succedendo in Terra Santa? Che cosa possiamo fare?”. La prima cosa è che noi dobbiamo pregare, sapendo che tutto concorre al bene, perché Dio è quello che guida la Storia. Per il momento, questa è la vocazione della Chiesa: usare parole per cambiare quello che pensano gli uomini. E qui, con una voce che gridi giustizia e pace per tutti, che sono i valori della Chiesa. Noi stiamo cercando chi, nella comunità palestinese e in quella israeliana vuole la giustizia e la pace, per lavorare insieme, per cambiare la nostra società.
D. – Padre, che risonanza ha avuto la visita di Papa Francesco in Terra Santa? Che frutti ha portato?
R. – Credo che qui ci sia una cosa molto importante: che il Papa ha mostrato cosa può fare la religione per promuovere la giustizia e la pace. Da noi, la religione è manipolata dai nostri capi politici e ideologici, per dimostrare che “Dio è dalla mia parte” e che Dio lotta contro l’altra parte.
Il Papa ha dimostrato bene ciò che la Chiesa crede e promuove: Dio è la Verità e Dio ama tutti. Il Papa, che è andato dalle due parti e che ha compiuto atti simbolici fortissimi per chiedere dov’è Dio, in questa situazione? E’ lì dove noi cerchiamo il perdono, dove noi cerchiamo la riconciliazione. E questo è stato il messaggio forte del Papa durante e dopo la visita: dov’è Dio?
Quindi noi ci dobbiamo mettere insieme con la certezza che siamo tutti figli amati da Dio, e che Dio non ha nessuna preferenza per un figlio rispetto ad un altro. Forse ha chiamato alcuni per proclamare questo amore a tutti, ma noi siamo tutti figli di Dio e quando ci mettiamo in preghiera, dobbiamo essere consapevoli che noi non possiamo far dire a Dio quello che piace a noi: “Dio è accanto a me nella lotta contro il mio nemico”.
Ma nella preghiera, noi sappiamo che anche quello che io considero il mio nemico, è mio fratello. La parola ‘fratello’ è stata usata una volta dopo l’altra durante i discorsi del Papa in Terra Santa. Quando ha parlato con Bartolomeo che ha definito “il mio amato fratello carissimo”, non c’era divisione, c’era fratellanza. Ma anche con i musulmani, anche con gli ebrei, anche con i capi palestinesi, anche con i capi israeliani, questa parola è una delle parole che può cambiare, almeno il nostro modo di pensare. Quindi, il Papa ha rafforzato la Chiesa nella sua vocazione di proclamare con voce chiara ciò che è la nostra vocazione.
D. – Padre, la Chiesa come vede in questo momento il futuro di Gerusalemme, visto che Gerusalemme è contesa tra israeliani e palestinesi?
R. – Su Gerusalemme, la Chiesa durante lunghissimi anni ha parlato di una città “fuori conflitto”, quindi di una città internazionale. E forse questa è la soluzione migliore, per il momento. Ma negli ultimi anni la Chiesa ha anche preso in considerazione il fatto che forse ci potrà essere un accordo. Agli inizi degli anni ‘90 avevamo pensato che questo momento forse stava arrivando.
Nella situazione attuale, la Chiesa non insiste perché Gerusalemme sia una città internazionale, ma che sia una città nella quale tutti siano rispettati, dove i diritti di ogni religione e i fedeli di ogni religione siano rispettati. Credo che qui la Chiesa, prima di una concezione molto, molto rigida, voglia che Gerusalemme viva la propria vocazione.
E qui ricordiamo ancora i bellissimi discorsi, ma anche il documento di Giovanni Paolo II, su Gerusalemme e la sua vocazione: noi non possiamo dimenticare che Gerusalemme è importantissima per gli ebrei, importantissima per i cristiani, importantissima per i musulmani. Dio ha voluto questo: questo non succede senza la volontà di Dio. Quindi Gerusalemme deve essere anche la città che possa dare questo messaggio: che tutti sono i miei figli e tutti possono trovare in Gerusalemme la loro casa spirituale e religiosa.