Singleness? No, coppia è bello, di Claudio Risé
- Tag usati: claudio_risé
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 27/10/2014 un articolo scritto da Claudio Risé. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (2/11/2014)
Coppia è bello. Nella variegata saggistica sulla relazione e i rapporti affettivi si nota un forte cambiamento: dallo sguardo negativo sulla coppia come stabile organizzazione della propria vita affettiva a una riscoperta del suo valore. Le ultime riflessioni sulla coppia confermano così le statistiche note da tempo e verificate negli anni, soprattutto nei Paesi anglosassoni, che raccontano come le persone in una coppia stabile vivano più a lungo, si ammalino meno, abbiano situazioni economiche e sociali più risolte e dichiarino di essere più felici di chi invece vive in situazione di singleness.
Vivaci e per certi versi sorprendenti si rivelano a questo proposito saggi provenienti da ambienti culturali lontani da posizioni confessionali, occupati fino a qualche anno fa da lavori che presentavano il single come espressione di una proposta di vita particolarmente avanzata e ricca di sviluppi. Oggi invece proprio queste posizioni vengono confutate tra gli altri da studiosi come Claude Habib (specialista di letteratura del secolo dei Lumi, e docente all’università di Paris III) nel suo ultimo libro Il gusto della vita insieme. Elogio della coppia (Firenze, Ponte alla Grazie, 2014, pagine 142, 14 euro). «Il panegirico dell’autonomia affettiva in sé è vuoto e non porta da nessuna parte» afferma la Habib, ricordando che fare dell’ideale individualistico «lo scopo della vita significa decretare l’inverno perpetuo».
L’osservazione della relazione fra uomo e donna nella propria esperienza e in quella degli altri (oltre che nelle intuizioni della letteratura di qualità), porta l’autrice a delineare tratti di una morale laica della coppia che appare singolarmente simile a quella della grandi tradizioni religiose e cristiane. La grande forza e funzione della coppia viene individuata così nell’«esperienza affettiva della cura dell’altro» che produce come «effetto reale» di questa pratica «l’abitudine al bene».
Che dire allora dell’accusa di violenza spesso fatta alla comunità familiare, e dell’oppressione come inguaribile vocazione del maschio? Queste accuse, dice la Habib, derivano «da una visione della storia nella quale le persecuzione delle donne ha preso il posto di qualsiasi prospettiva collaborativa. Le forme antiche di solidarietà non sono più intuitivamente accessibili, né è comprensibile la coesione tra gli esseri umani. A questi legami ormai fuori portata si sostituisce l’intenzione di opprimere. Il risultato sono delle grandi distorsioni». La Habib, come già Ivan Illich nei suoi lavori sul genere, non crede realistico né utile sostituire la categoria dell’oppressione all’evidenza anche di cooperazione e complementarità tra uomini e donne durante il corso della storia fino a oggi. «Prima di essere un pericolo politico, la complementarità è un’esperienza privata assolutamente normale, che continua a ribadire la sua utilità ed anche il suo fascino».
Riconoscere la complementarità tra uomo e donna, osserva Habib, ha molto più senso che sbandierare «il manifesto paritario della condivisione dei compiti». E ironicamente nota che «di fatto è molto meglio non essere in due a cucinare: lo spazio è quello che è. Quando la coppia funziona, ciascuno sbriga le proprie faccende senza chiedersi se è sfruttato o meno». Anche la valutazione della coppia in base alla valutazione quantitativa del «chi fa di più» è futile. «Impossibile stabilirlo» risponde la Habib. Nella coppia «la stima è più importante dell’astratta parità». Rispetto e stima: aspetti dell’amore che nella coppia hanno una funzione portante.
L’unione, conclude, non è affatto una privazione, ma un’opportunità. Tutto il contrario del bunker difensivo e reclusivo cui la si è spesso paragonata negli ultimi decenni. La coppia è piuttosto un luogo di «decollo», nel quale sperimentare la libertà di essere se stessi, sostenuti dall’affettuosa presenza dell’altro. Che (e non è cosa da poco) ti ricorderà anche dopo la morte, come nel verso «e io ti aspetto, ricordati» di Guillaume Apollinaire (fiducioso refrain più volte citato nel libro).
Queste virtù e risorse della coppia tuttavia (come ricorda la stessa Habib) sono state talmente rimosse dalla sloganistica mediatica e politica sulla relazione e la famiglia che vanno in qualche modo reimparate anche dal punto di vista cognitivo e comportamentale per poterle fare pienamente proprie e vivere nelle loro potenzialità. A questo scopo sono assai utili libri come Noi due. Strumenti per comprendere e migliorare la vita di coppia (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 212, 10 euro) della psicologa Laura Capantini, che presenta la coppia come il luogo dell’incontro con l’altro, utilizzando supporti narrativi che vanno dal Cantico dei cantici a Roland Barthes. La ricchezza di questa situazione, assieme ai suoi problemi, è presentata utilizzando discipline diverse, dalle scienze della formazione alla psicologia, alla letteratura.
Indispensabile al riconoscimento delle potenzialità della coppia si rivela (anche in questo libro) il sottrarla alla mitologia spesso consumistica dell’innamoramento, osservandola invece nella concretezza della relazione, del tempo, della costruzione di vita e della condivisione delle esperienze affettive e cognitive, corporee ed esistenziali. Un sapere umano collaudato nei secoli, ma da riconoscere e fare proprio calandolo nel nostro (per certi versi nuovissimo) tempo.