BIBBIA, VALORI DI LIBERTA' E DEMOCRAZIA (di Pietro Scoppola)
Riprendiamo, per gentile concessione, dal sito www.biblia.org il testo della relazione tenuta dal prof. Pietro Scoppola in occasione della presentazione al Ministro della Pubblica Istruzione dell’appello promosso dall’Associazione Biblia per una maggiore presenza della Bibbia nella scuola, il 9 maggio 2007.
Il Centro culturale Gli scritti (28/6/2009)
La Bibbia nell’arte, la Bibbia nella letteratura: sono temi immensi, sui quali chi mi ha preceduto ha proposto suggestive riflessioni. Mi si chiede, se non sbaglio, un ulteriore ampliamento di orizzonti non più rispetto a specifici campi disciplinari ma nella prospettiva vorrei dire di una storia senza aggettivi. In sostanza si tratterebbe di riflettere sul ruolo che la Bibbia ha avuto nello sviluppo della nostra civiltà nel suo insieme, di quello che con espressione non priva oggi di ambiguità chiamiamo l’Occidente.
Uno studioso protestante Giorgio Girardet, ha scritto già nel 1993 (Bibbia perché, Claudiana, Torino 1993) «è difficile sottovalutare il peso che la Bibbia ha avuto nella formazione e nell’elaborazione della civiltà occidentale, nella sua filosofia, nelle sue dottrine politiche, nell’etica e nella concezione del mondo: cioè per molti aspetti che rendono l’Occidente originale e diverso da altre culture e civiltà».
Nel quadro di questa influenza così vasta e profonda che certamente la Bibbia ha avuto nello sviluppo della nostra civiltà vorrei accennare appena ad un aspetto particolare e spesso dimenticato: quello del rapporto della Bibbia con il lungo e complesso processo storico che ci ha portati ad affermare i valori di libertà e democrazia, che ha creato il costituzionalismo moderno, i regimi liberali e democratici, in sostanza i sistemi politici che caratterizzano appunto l’Occidente, sistemi che hanno subito nel secolo scorso la sfida di regimi illiberali e totalitari ma che hanno vinto questa sfida e si sono consolidati e diffusi dopo la crisi del comunismo.
Credo che questo rapporto della Bibbia con i valori di libertà e democrazia sia profondo e intenso al di là di quanto appaia da una lettura superficiale della Bibbia che si fermi agli episodi di intolleranza (e agli inviti alla intolleranza) pur presenti nel Libro sui quali indugia spesso la lettura fondamentalista.
Questo rapporto con la democrazia si fonda sulla visione della condizione umana che la Bibbia propone: una condizione umana segnata dal peccato, dal senso del limite, da una insuperabile ambiguità. Per la Bibbia, - si pensi al racconto della Genesi- il male nasce dal rischio della libertà, dalla coscienza stessa dell’uomo.
La Bibbia è perciò radicalmente alternativa a tutte quelle visioni ideologiche che hanno dominato e insanguinato il secolo scorso. Visioni che hanno preteso di indicare in un determinato ordinamento sociale l’origine e la causa del male e perciò hanno prospettato in un evento rivoluzionario il momento risolutivo e liberatorio della storia umana.
La Bibbia con il suo realismo sulla condizione umana, con la sua visione disincantata sull’uso e sugli abusi del potere ha alimentato e alimenta invece quella cultura che ha ispirato ed ispira tutto il movimento storico che, a partire dalla affermazione dei diritti civili, ha portato ad affermare la limitazione dei poteri del sovrano, al principio della divisione dei poteri alla esigenza di un ricambio nella gestione del potere sino alle forme moderne del costituzionalismo e della democrazia.
Ma per altro verso la Bibbia esprime una forte carica escatologica che, sia in una sua versione laica e sia anche per il credente, è stata storicamente e rimane un forte motivo di impegno nella società e nella storia nel senso di un’affermazione dei valori di solidarietà e di progresso. Nel momento stesso in cui propone una visione disincantata sull’uomo e sul potere, la Bibbia non condanna la società umana all’immobilismo e alla sconfitta ma la sfida in direzione di una ricerca di traguardi nuovi e più alti.
A me sembra che proprio questa è la cultura di cui una democrazia ha bisogno e della quale la democrazia si alimenta nella coscienza dei cittadini, una cultura fortemente innervata di realismo e insieme di una mai esaurita tensione verso obiettivi più alti, sicché tutto quello che si realizza rimane sempre al disotto delle attese. Oggi 9 maggio anniversario della morte di Aldo Moro mi sia consentito ricordare la formula del ‘principio di non appagamento’ nella quale egli riassumeva questa duplice tensione e della quale è stato portatore e testimone nella sua complessa esperienza politica.
E ancora: la Bibbia non ostante le contrarie apparenze fonda in radice il senso della laicità: non mi riferisco tanto alla ben nota distinzione fra Dio e Cesare proposta nei Vangeli sulla quale tanto si è scritto e discusso, ma a una radice più profonda della laicità. La Bibbia propone l’immagine di un Dio creatore in un ordine altro rispetto a quello della divinità stessa; il mondo non è emanazione della divinità ma frutto di un atto libero di creazione e si muove e si sviluppa secondo le sue dinamiche e le sue leggi proprie. Esiste dunque una fondamentale distinzione fra il divino e l’umano che non consente corti circuiti integralistici.
Penso in definitiva – ma il tema richiederebbe ben altri sviluppi - che un meditato richiamo alla Bibbia, presentata in una corretta visione storico critica, può essere elemento fondativo dei presupposti stessi di una più alta convivenza e può oggi rappresentare un valido punto di riferimento per una educazione alla cittadinanza europea. Si è tanto discusso e polemizzato sulle radici cristiane (e si sarebbe potuto dire radici bibliche): penso che un richiamo alla Bibbia non solo illumini le radici ma si proietti verso il futuro come un valido punto di riferimento per l’Europa.
Lo ha ben messo in luce il cardinale Carlo Maria Martini in un suo intervento a un convegno sul tema Cristianesimo e democrazia nel futuro dell’Europa svoltosi a Camaldoli dal 12 al 14 luglio 2002. Il titolo che Martini aveva dato al suo intervento era quanto mai esplicito La Parola di Dio nel futuro dell'Europa.
«Una delle esperienze che maggiormente mi hanno accompagnato in questi anni – notava il cardinale - non solo nei miei contatti con gli episcopati e le comunità cristiane europee ma anche nelle missioni pastorali svolte in tante altre parti del mondo è che la Bibbia può essere a buon diritto considerata come il grande libro educativo dell’umanità.
Lo è anzitutto come libro letterario, perché è un libro che crea un linguaggio comunicativo, narrativo e poetico di straordinaria efficacia e bellezza [.....] Ma la Bibbia è un grande libro educativo non solo come libro letterario, ma anche come libro sapienziale, che esprime la verità della condizione umana in una forma così efficace, così attraente, così incisiva che ogni persona umana, di qualunque continente e cultura, può sentirsi specchiata almeno in qualche parte di essa. Ne ho fatto l’esperienza anche in questi decenni predicando sul testo biblico in tanti continenti e a tante culture diverse del nostro pianeta.
La Bibbia è inoltre un grande libro educativo anche come libro narrativo, perché descrive le vicende di un popolo nell’ambito di altri popoli attraverso un cammino progressivo di liberazione, di presa di coscienza, di crescita di responsabilità del soggetto individuale, fornendo un paradigma storico valido per l’intera storia dell’umanità».
Ma io credo che prima di chiudere questa nostra riflessione dobbiamo dissipare qualche possibile dubbio: il primo riguarda il modo in cui questa nostra iniziativa si colloca nel contesto dell’assetto giuridico definito dal concordato del 1984 e dello spazio in esso destinato all’insegnamento della religione cattolica. Mi pare di capire che la mozione presentata al Ministro non mette in discussione nulla di quell’assetto ma solo propone iniziative culturali che valgano a rafforzare nel corpo docente di tutte le materie la coscienza della importanza culturale della Bibbia: si auspica in qualche modo una presenza vorrei dire diffusa della Bibbia nella scuola. Mi pare che questa sia la via giusta per iniziare un camino.
Un secondo equivoco, può nascere dal fatto di pensare questo richiamo alla Bibbia come un invito a un serrare le file dell’Occidente nel momento in cui si è aperto un delicato e difficile confronto con il mondo islamico. Ma vale per questo quanto si legge nell’appello stesso là dove si sottolinea che nel Corano frequente è il richiamo a testi e a motivi biblici, sicché leggere un invito alla Bibbia come una iniziativa contro l’Islam sarebbe certamente una indebita forzatura.
Ma è certo che il diffondersi nelle nostre società di presenze religiose diverse da quelle tradizionali pone un problema che va al di là di questa nostra iniziativa odierna: il problema cioè di una attenzione culturale nella nostra scuola al fattore religioso in forme adeguate alla nuova realtà.
E la nuova realtà è quella di un riemergere, quasi in coincidenza dell’inizio del nuovo millennio, dell’importanza storica del fattore religioso che sembrava destinata ad affievolirsi progressivamente. Il fattore religioso è tornato in scena alla grande non solo nell’ambito suo proprio ma nel teatro della politica non senza una profonda ambiguità: può essere fattore di pace ma può essere anche fattore di guerra.
Ebbene il conoscersi, il dialogare è la prima condizione per rispettarsi, per vivere insieme per collaborare. Penso quindi che questa attenzione alla Bibbia nella scuola italiana, che si chiede nell’appello, debba inquadrarsi in una più ampia attenzione al fenomeno religioso in tutte le sue diverse espressioni. Le nuove generazioni, per vivere consapevolmente in una società multietnica e multireligiosa, hanno bisogno di conoscere e di capire la realtà e la complessità del fenomeno religioso: conoscere e capire è insieme la condizione di una pacifica convivenza e di una matura consapevolezza della propria identità.
Credo che dobbiamo vedere e sentire il valore di questo appello in questa più ampia e comprensiva prospettiva.