1/ È guerra di religione. Lo dice “La Civiltà Cattolica”, di Sandro Magister 2/ Noi in fuga dalla realtà, di Ernesto Galli della Loggia 3/ Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica precisa: "Per l'Is" è guerra di religione e NON dobbiamo cadere nella tentazione di farla!
Riprendiamo dal blog Settimo cielo di Sandro Magister un suo articolo pubblicato il 4/9/2014 insieme all’articolo Noi in fuga dalla realtà, di E. Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della sera del 22/8/2014 e ad un post di p. Antonio Spadaro del 4/9/2014 che precisa i termini della discussione. Pubblichiamo questi testi per favorire la discussione. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (7/9/2014)
1/ È guerra di religione. Lo dice “La Civiltà Cattolica”, di Sandro Magister
Ogni riga de “La Civiltà Cattolica” passa precedentemente al vaglio delle autorità vaticane, che ne autorizzano o no la stampa.
Non deve quindi passare inosservato l’editoriale dell’ultimo numero della rivista dei gesuiti di Roma, firmato da padre Luciano Larivera e intitolato: “Fermare la tragedia umanitaria in Iraq”.
L’articolo esordisce tratteggiando il quadro della situazione:
“Stati Uniti, Unione europea, Nazioni Unite e governo iracheno non sono riusciti a impedire la violenza contro le popolazioni cristiane, yazide, shabak, turcomanne, sciite e sunnite ‘moderate’ a Mossul e nella piana di Ninive. Per loro non è rimasta, secondo i casi, che la conversione forzata, la morte, la schiavitù (per le donne) o la fuga. Anche ad Aleppo, la più grande città siriana, i cristiani temono la ‘pulizia religiosa’ o la fuga forzata, se le milizie dell’Islamic State in Iraq and Sham (o Levant) prenderanno il controllo dei loro quartieri…”.
Prosegue elencando i ripetuti interventi delle autorità della Chiesa:
“In diversi modi e varie occasioni papa Francesco, gli organi della Santa Sede e l’episcopato iracheno e mediorientale, come pure i vescovi italiani e di tutto il mondo, sono intervenuti per implorare la pace in Iraq e in Siria e chiedere soccorsi internazionali…”.
Ma poi arriva al nocciolo della questione, con un giudizio di nettezza senza precedenti sulla qualità di vera e propria “guerra di religione” dell’attacco sferrato dal Califfato islamico.
“Ovviamente, per promuovere la pace è necessario conoscere che cosa è veramente la guerra, e non che cosa vorremmo che fosse. È cruciale studiare e comprendere perché e come l’IS combatte. La sua è una guerra di religione e di annientamento. Non va confusa o ridotta ad altre forme, da quella bolscevica a quella dei khmer rossi. Strumentalizza il potere alla religione e non viceversa. La sua pericolosità è maggiore di al-Qaeda…”
L’analisi continua poi denunciando l’insufficienza delle attuali iniziative armate, compresi i bombardamenti americani, e proponendo invece un insieme di interventi coordinati, militari ma non solo:
“Analisti militari attestano che l’attuale soluzione armata non è efficace. Limitarsi a questo mezzo può continuare a permettere all’IS spazi di conquista e occasioni di atrocità maggiori. All’IS vanno interdetti i rifornimenti di armi, l’arruolamento e l’addestramento di nuovi combattenti, i canali di finanziamento, le infrastrutture energetiche e logistiche. Ma non basta ‘l’arte della guerra’: servono la politica interna, la diplomazia, la religione, l’economia.
“La stabilità e la sicurezza saranno garantite soltanto se i sunniti in Siria e in Iraq avranno gli stessi diritti politici, civili, sociali ed economici delle altre etnie e gruppi religiosi. Ma questa soluzione di ‘politica interna’ sarà fattibile soltanto se le potenze regionali troveranno un accordo per interrompere lo scontro settario tra sunniti e sciiti e mettere pace tra l’Iran e le monarchie del Golfo. E soprattutto se gli intellettuali musulmani svuoteranno il conflitto ideologico-religioso tra le scuole interpretative sunnite sul jihad…”.
La parte finale dell’editoriale argomenta precisamente quanto è necessario fare sul terreno religioso, in particolare da parte del mondo musulmano, proprio per la natura essenzialmente religiosa e addirittura “di civiltà” della guerra scatenata dal Califfato:
“La guerra dai tratti religiosi è estremizzata anche contro i musulmani sunniti che non sono ‘veramente’ salafiti, inclusi i Fratelli Musulmani, Hamas, i wahabiti sauditi e i jihadisti al-Qaeda. Costoro sono apostati, secondo l’IS, perché non perseguono il califfato globale, ma al massimo Stati nazionali governati dalla sharia. E per conquistare il consenso e l’aiuto del maggior numero di ‘veri musulmani’ l’IS incorporerà anche le attività tipiche di al-Qaeda: attentati suicidi anche nei Paesi non a maggioranza musulmani.
“Non lascia indifferenti il recente editoriale, ‘Noi in fuga dalla realtà‘, di E. Galli della Loggia: in particolare gli europei occidentali non sono in grado di affrontare con realismo lo scontro con il sedicente Califfato islamico, avendo evitato di riflettere su ‘religione, guerra e civiltà’ (non semplice ‘cultura’).
“Ma contro la guerra religiosa scatenata dall’IS, data la sua non disponibilità a cessare il fuoco e a negoziare, la risposta sbagliata è una controffensiva armata di stampo religioso, anche soltanto intra-islamico: si radicalizzerebbe l’islamismo dell’IS nelle menti e nei cuori di molti musulmani. Le armi da fuoco sono di pertinenza della politica, quelle delle religioni sono il dialogo e la formazione di coscienze rette e corrette.
“Lo ha rimarcato la dichiarazione del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso del 12 agosto. In essa si fa osservare che la contestazione della restaurazione del Califfato ‘da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello Stato Islamico di commettere e di continuare a commettere atti criminali indicibili’. Ed essi vengono elencati. ‘Nessuna causa può giustificare tale barbarie e certamente non una religione. Si tratta di una gravissima offesa all’umanità e a Dio che è il Creatore’.
“Il documento prosegue: ‘La situazione drammatica dei cristiani, degli yazidi e di altre comunità religiose numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono unanimemente condannare senza alcuna ambiguità questi crimini e denunciare l’invocazione della religione per giustificarli. Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro seguaci e i loro leader? Quale credibilità potrebbe avere ancora il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito negli ultimi anni?’.
“Segnaliamo che il Gran Muftì – la massima carica religiosa nazionale – dell’Arabia Saudita, il 9 agosto, come in precedenza il suo Re, ha dichiarato che ‘lo Stato Islamico e al-Qaeda sono apostati’.
“Anche il suo omologo egiziano è intervenuto, denunciando il Califfato islamico come minaccia per l’islam. Il Gran Muftì turco ha ribadito che le atrocità commesse in Iraq e Siria non trovano posto nella religione musulmana, ma sono una malattia della società; non sono giustificabili nell’islam e in alcuna sua setta. Sulla stessa linea si sono espressi il segretario generale della Organizzazione della cooperazione islamica e quello della Lega Araba.
“Rimarchevole l’azione del Grande Ayatollah Alì al-Sistani, la massima autorità religiosa e morale per gli sciiti in Iraq. Egli ha creato i presupposti politici per le dimissioni dell’ex-premier iracheno al-Maliki; altrimenti non si sarebbe aperta la possibilità di un nuovo governo, credibilmente nazionale perché inclusivo, ma che aspetta di essere varato entro il 10 settembre dallo sciita Haider al-Abadi, il premier incaricato. Sistani è colui che, senza prendere posizione in un partito, continua a voler ritessere la stoffa sociale, cioè interconfessionale e multietnica, dell’Iraq. Per questo il suo nome è tra quelli proposti per il Nobel della pace 2014.
“Il Califfato islamico è un proto-Stato, benché terrorista. Domina su circa 6 milioni di abitanti, offre servizi pubblici e combatte la corruzione dei funzionari pubblici per conquistare le menti e i cuori dei suoi sudditi sunniti. Persegue obiettivi religiosi usando ‘in modo apocalittico’ gli strumenti della politica, dell’economia e della forze armate. La comunità islamica mondiale ha il dovere di distruggere nei cuori di tutti i musulmani una concezione estremista del Corano e della tradizione islamica”.
2/ Noi in fuga dalla realtà, di Ernesto Galli della Loggia
Domanda numero uno: come si può riuscire a fare la guerra a un aggressore che invoca continuamente Dio e l’appartenenza religiosa senza dare alla propria risposta militare alcun carattere anch’esso a propria volta inevitabilmente religioso? Detto altrimenti: è davvero necessario perché si possa parlare di guerra di religione che entrambi gli avversari la proclamino tale, o non basta invece che lo faccia uno solo? Se uno mi ammazza perché io sono sciita, cristiano, o ebreo, o «infedele», e io cerco di difendermi colpendo a mia volta, cos’è questo se non un conflitto religioso?
Domanda numero due: se una persona di diversa religione e origine culturale si trova fin dall’infanzia a vivere per anni ed anni con la propria famiglia in un Paese occidentale, ne apprende perfettamente la lingua, ne frequenta le scuole, vi si fa presumibilmente degli amici, ne assorbe le abitudini quotidiane, ma a un certo punto decide che tutto quanto è stato così intimamente e così a lungo intorno a lui gli è in realtà insopportabile e repellente fino al punto da meritare il più crudele annientamento, che cosa indica ciò? Che nome merita? E un fenomeno del genere ripetuto per centinaia di casi, è un fatto casuale, un puro accidente oppure no?
Sono queste le due domande cruciali che gli eventi drammatici che accadono in Medio Oriente pongono a questa parte del pianeta dove noi abitiamo. Domande alle quali, però, il nostro discorso ufficiale cerca di sfuggire. Spesso ne nega addirittura il senso o preferisce dare risposte di comodo che non sono una risposta: l’ennesimo esempio della vera e propria voragine che si sta spalancando tra la realtà e la politica, tra la massa e le élite.
Non riusciamo a trovare risposte perché le domande in questione evocano tre ambiti - la religione, la guerra e la civiltà - che da un certo momento in poi la nostra cultura e il suo mainstream intellettuale - quello europeo assai più di quello americano - hanno bandito, proclamandone la scostumatezza ideologica e di conseguenza espellendo per decreto tutte e tre dal discorso politicamente corretto.
Alle religioni monoteiste sono stati sottratti i loro propri specifici caratteri storici, quelli che le hanno fatte diverse e spesso rivali; cosicché esse sono divenute tutte assimilabili ne «la religione», cioè nella dimensione di un’astratta spiritualità di sapore teista (adoriamo tutti uno stesso Dio!: come se il califfo Al Baghdadi invece fosse ateo), ovviamente destinata a non poter avere alcuna relazione possibile con nessun aspetto concreto e vivo della società, e tanto meno con i conflitti umani (una guerra per motivi religiosi? Oibò! Quale selvaggia bizzarria! Com’è mai pensabile una simile cosa che nella storia sarà accaduta solo qualche migliaia di volte?).
Quanto alla guerra e alla violenza sono state entrambe oggetto di una tabuizzazione così radicale da sfiorare il pensiero magico: poiché le aborriamo e non vogliamo che esistano, non esistono. E comunque non possiamo neppure pensare di averci qualcosa a che fare. Perlomeno non possiamo usare le parole per dirlo. Noi cittadini dell’Unione europea dunque non facciamo la guerra, ce lo proibisce la nostra moralità superiore (noi italiani ci siamo addirittura inventati che ce lo proibisce la Costituzione). Noi facciamo solo operazioni di peace keeping, e per non assumerci alcuna responsabilità morale e politica, anche quelle solo dietro invito (Nato, Onu). Manteniamo la pace: sparando e uccidendo quando è inevitabile, ma non per vincere; sicché quando ci accorgiamo che così la pace in genere non arriva, allora ci ritiriamo in buon ordine e - vedi il caso dell’Iraq e tra poco dell’Afghanistan - chi s’è visto s’è visto.
Anche il termine e il concetto di civiltà sono ormai fuori dell’uso pubblico consentito. Al gusto democratico corrente sanno entrambi, non si capisce perché, di esclusione, di radici, di «fardello dell’uomo bianco», al limite di razzismo; ed evocano la categoria, mai abbastanza deprecata, di «guerra di civiltà». Parlare di civiltà si può al massimo sui manuali di storia antica (civiltà greca, egizia, ecc.) , ma non al tempo presente. Oggi, infatti, esistono solo le «culture»: tutte naturalmente sul medesimo piede di parità, e tutte naturalmente tra loro compatibili all’insegna dell’universalismo umano. Contrariamente a quel che pure si potrebbe sospettare, insomma, l’islamico di cittadinanza britannica che l’altro giorno ha decapitato un giornalista americano in nome e per conto dell’Isis, non ce l’aveva, no, con la civiltà occidentale: con ogni probabilità si era semplicemente trovato male con la cultura inglese. Avesse vissuto in Alto Adige o nel Lussemburgo sarebbe stata tutta un’altra cosa.
Una radicale riconciliazione con il principio di realtà: ecco che cosa ci manca nel nostro modo di guardare al mondo. Certo, le idee sono una guida necessaria a muoversi in esso. Ma che cosa il mondo sia e come funzioni, non l’hanno quasi mai stabilito le idee.
3/ Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica precisa: "Per l'Is" è guerra di religione e NON dobbiamo cadere nella tentazione di farla!
Riprendiamo sul nostro sito un post di p. Antonio Spadaro, pubblicato sul suo profilo FB il 4/9/2014.
Il Centro culturale Gli scritti (7/9/2014)
SMENTISCO nettamente chi sta scrivendo che per "La Civiltà Cattolica" in Iraq e Siria sarebbe in corso una "guerra di religione”. L’articolo di Civiltà Cattolica invece afferma che "per l'Is" è guerra di religione e che NON dobbiamo cadere nella tentazione di farla!