"Tante donne quanti sono gli Islam plurali". Un’intervista di M. Michela Nicolais a Valentina Colombo
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Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2014)
“Tenere sotto controllo il corpo delle donne”, dominandolo a uso e consumo dell’uomo, nel mondo islamico vuol dire tenere sotto controllo la società. A lanciare questa provocazione, sotto forma di tesi, è Rachid Boutayeb, che nell’ultimo numero di Micromega firma un articolo dal titolo “Orgasmo e violenza: l’Islam contro la donna”. Ne parliamo con Valentina Colombo, docente di geopolitica dell’Islam all’Università europea di Roma ed esperta di questione femminile nel mondo arabo. Che avverte: attenzione a parlare di Islam al singolare. Oggi sono molti a rivendicare: “L’Islam sono io”. Ma le donne islamiche, nonostante tutte le difficoltà, sono donne forti che fanno sentire la propria voce. Sanno di essere loro la “chiave di volta” dell’Islam del futuro.
È vero che nell’Islam la donna si può pienamente realizzare solo con la sua sottomissione all’uomo?
“Per la questione delle donne, come per l’Islam in generale, vale il principio del non lasciarsi fuorviare dagli stereotipi e non cadere nella trappola dei mondi contrapposti. Bisognerebbe parlare di Islam al plurale, per la natura stessa della religione islamica, che non ha un’autorità dirimente - come può esserlo il Papa - e prevede, contempla, richiede un rapporto del fedele con Dio. Il Corano è un testo che è il Dio ‘incartato’, non incarnato in Gesù Cristo come avviene per la religione cristiana. Il Corano è un testo sacro intoccabile, che però nasce e viene rivelato nel VII secolo dopo Cristo, dunque è figlio di un’epoca molto lontana. Riguardo alla donna, troviamo versetti coranici che parlano chiaramente di rispetto per la madre e per la moglie e altri in cui si autorizza il marito a picchiare la moglie qualora lei non obbedisca. In ambiente islamico, c’è chi dice che il Corano deve valere alla lettera ancora oggi, come sostengono i salafiti, gli ultraconservatori, gli wahabiti sauditi e i Fratelli musulmani, e ci sono i riformisti dall’interno, che nel testo coranico distinguono due fasi: la prima è quella della rivelazione, dei valori universali - tra cui quello per cui la donna, la vedova, gli orfani vanno tutelati in ogni modo - che va tenuta per buona. La seconda è quella che relega la donna a un livello più basso rispetto all’uomo, che va invece storicizzata”.
Il corpo della donna è un’insidia per il fedele islamico?
“Nell’Islam la donna viene vista prevalentemente come corpo che può rappresentare una causa di fitna, di sedizione: il corpo della donna deve essere contraddistinto dal pudore - e fin qui la visione coincide con quella cattolica - ma molto spesso ci si spinge ad un passo successivo che vuole la donna isolata, segregata proprio a fronte della sua corporeità. Il problema è che nell’Islam troviamo tutto e il contrario di tutto, non solo riguardo alla condizione della donna: nel momento in cui non c’è un’autorità dirimente, tutto è possibile”.
È corretto dire che la cultura islamica sia “in ritardo” rispetto alle conquiste occidentali?
“Bisogna considerare la storia dei singoli Paesi: una cosa è lo Yemen, un’altra è l’Egitto, un’altra ancora l’Arabia Saudita... Se guardiamo i film egiziani degli Anni Sessanta e Settanta, ci accorgiamo che le donne sono in tutto e per tutto uguali alle donne mediterranee, si vestono come loro. C’è stato un momento in cui in nome della laicità o della modernità siamo state tutte uguali”.
Quando è cambiata la storia “al femminile”?
“Quando ha preso piede l’ideologia dei Fratelli Musulmani, nati nel 1928 in Egitto: hanno iniziato come una Ong islamica, e partendo dal basso, dall’educazione, hanno reinterpretato la società a proprio uso e consumo ideologico, facendo della donna il simbolo dell’islamizzazione. Con l’avanzare dell’estremismo islamico dei Fratelli musulmani, è avvenuta l’islamizzazione di concetti prima legati alla tradizione, come il velo: caduto negli anni ‘70 dopo la battaglia delle donne egiziane, è stato reintrodotto con un’area di sacralità che stabilisce che una donna non è una buona musulmana se smette di indossarlo”.
Ogni forma di emancipazione femminile è anche una messa in discussione del potere maschile...
“La donna nell’Islam deve essere in ogni caso funzionale all’uomo. In Tunisia, dopo la cosiddetta ‘primavera araba’, il partito legato ai Fratelli Musulmani alle prime elezioni, dove erano previste le quote rosa, ha messo come capolista delle donne non velate, che mai avrebbe prese in considerazione prima: una strumentalizzazione pura. Altro concetto caro ai Fratelli Musulmani è la complementarietà - non l’uguaglianza - tra uomo e donna, non solo biologica, ma anche psicologica: l’uomo ha il diritto-dovere di mantenere e guidare la donna, una sorta di ‘minus habens’ che ha il privilegio di essere tutelata dall’uomo”.
Come vede la donna, e l’Islam, nel futuro?
“Nella sua pluralità, l’Islam ha tutte le possibilità di fare passi in avanti: purtroppo però se i Fratelli musulmani in Arabia Saudita e i movimenti jihadisti in Medio Oriente, più apertamente conservatori, continuano a dire - come sta facendo anche il Califfato - ‘l’Islam sono io’, il mondo islamico non si muoverà più. Le donne sono la chiave di volta di questo movimento di arretramento o di avanzamento: ci sono tante donne quanti sono gli Islam plurali. E le donne arabe sono fortissime, straordinarie: conoscono benissimo la loro storia, hanno bisogno di essere tutelate dall’opinione pubblica internazionale. Più si parla di loro, più sono protette: rischiano la pelle ogni giorno”.