Homo Eligens, di Fabio Bartoli
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Riprendiamo dal blog La fontana del villaggio un articolo pubblicato il 13/7/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (20/7/2014)
In uno dei suoi saggi più brillanti il sociologo Zygmunt Bauman dice che per uscire dalla crisi della post modernità è necessario evolversi da Homo Sapiens a Homo Eligens. Mi approprio di questa espressione, pur non condividendone del tutto i postulati, perché secondo me esprime molto bene la nostra situazione.
Cos’è un Homo Eligens? È un uomo che sceglie, un uomo cioè capace di orientarsi nel dedalo di offerte e proposte che la vita ci presenta. In questo mondo trasformato in un immenso supermercato e reso ancor più grande dalla Rete però scegliere è diventato pressoché impossibile. Siamo alle strette, prendere decisioni non è mai stato così necessario e non è mai stato così difficile.
Perché dico che scegliere è diventato quasi impossibile? Per un fenomeno che gli esperti di marketing conoscono molto bene: la saturazione del mercato. Trovandosi di fronte ad una offerta praticamente infinita di opzioni più o meno indistinguibili tra loro e ad una pressione sempre maggiore che lo spinge in una direzione o nell’altra, il cliente di fatto non sceglie, non esegue più cioè un giudizio di valore sul prodotto, ma semplicemente si abbandona alla corrente o all’istinto del momento.
Applicando questo schema alla dimensione etico/religiosa e alle scelte esistenziali (Sposarsi o convivere? Generare o no? Come impegnare il proprio tempo libero? Cosa leggere? Chi frequentare? Insomma le mille decisioni quotidiane che dobbiamo prendere e che definiscono chi siamo, formando il nostro “volto spirituale”) scopriamo che scegliere e diventato praticamente impossibile.
La trasformazione del mondo in un grande mercato genera infatti due conseguenze: dapprima ci illude che, essendo le opzioni tutte possibili, esse rimangano disponibili sempre, che sia sempre possibile cioè resettare il sistema, tornare indietro e ricominciare da capo, come se ogni scelta che prendiamo non portasse con se delle conseguenze che devono essere godute o sopportate e dunque, in una parola, delle responsabilità.
Il grande marketing esistenziale fa di tutto per alimentare questa illusione offrendo tutta una gamma di (costosissimi) correttivi che consentano di scaricare la propria responsabilità, dalla maternità surrogata al divorzio facilitato, dall’aborto ai mille artifici finanziari che generano una finta ricchezza basata non sul lavoro ma sui flussi del denaro (falsa ricchezza che prima o poi presenta, e sta presentando, il conto).
Tutto insomma pur di non interrogarsi su di se e mettere seriamente in discussione il proprio stile di vita. Il risultato è un uomo sostanzialmente vile, che invece di prendere la vita di petto, affrontandone con coraggio le ondate, si barcamena in un patetico slalom tra le scelte, cercando di evitare quelle più onerose, come uno che cerchi di schivare ogni responsabilità, ogni impegno.
Solo che prima o poi la vita presenta il conto, prima o poi arriva l’onda che non si può evitare, una malattia, un tradimento, una disgrazia, qualcosa insomma a cui non si può sfuggire e allora ecco che veniamo ricondotti alle nostre responsabilità, ecco che, come scrive Rimbaud (uno dei primi e più geniali interpreti di questo folle e disumano stile di vita), siamo ricondotti a terra “con la realtà rugosa da stringere / e un dovere da cercare”.
Quando ci si rende conto di questo il terrore ci assale, il peso della responsabilità, a cui nessuno ci ha mai abituati, ci schiaccia e scegliere diventa impossibile.
Non è raro allora vedere persone che si trascinano nella vita senza prendere nessuna decisione: quarantenni che ancora vivono con i genitori, coppie che restano insieme vent’anni senza mai decidersi a rendere definitiva la loro situazione, eccetera. Si vorrebbe anche prendere una decisione, ma la paura di sbagliare ci terrorizza, il timore delle conseguenze ci porta a rimandare all’infinito…
E così cerchiamo dei consulenti. Questa è l’epoca dei consulenti, abbiamo consulenti per tutto, dalla scelta del vestito a quella della moglie, dall’acquisto di una macchina alla scelta della propria religione. Cerchiamo continuamente qualcuno a cui delegare la responsabilità.
Ma un consulente non è un consigliere e su questa differenza si gioca tutta la partita. Chi, come me, ha dedicato la vita all’accompagnamento spirituale sa bene che la maggior parte delle persone non cerca un consigliere, ma un consulente. Non è disposta, cioè, a rimettere in discussione il proprio stile di vita, il proprio sistema di riferimento, ma vuole solo essere confermata nelle decisioni che ha già preso o nella sua “Nolontà” (o volontà di non decidere). Al massimo accetta poche variazioni cosmetiche, mai un cambiamento sostanziale.
Ma un consigliere, se è saggio, spesso deve lavorare “contro” il “cliente” (brutta parola, ma meglio di “paziente”, e serve a capirsi) per il suo stesso bene. Deve stimolarlo a fare qualcosa che egli non vuole fare, proprio perché ha in vista il suo vero bene.
Deve, in una parola, non accettare di farsi scaricare addosso la responsabilità delle decisioni ed invece rendere il “cliente” un Homo Eligens, ridargli cioè il gusto e la capacità di scegliere ed assumersi la responsabilità.
Educare alle scelte, costruire l’Homo Eligens, è un duro lavoro, specialmente se non lo hanno fatto prima i genitori, perché stimolare nel fanciullo, ancora relativamente plasmabile, il gusto della decisione è molto più facile che in un adulto terrorizzato, però è proprio indispensabile, specialmente se passiamo all’ambito delle scelte etiche e religiose.
Per questo come ho detto nel mio articolo precedente sogno una nuova generazione di Cristiani capaci di svolgere questo compito di Consiglieri, perché sinceramente non vedo altro modo di sfuggire al disastro imminente.