Francesco d’Assisi: un dinamismo nuovo e movimenti di riforma nella Chiesa, di André Vauchez

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /06 /2014 - 15:01 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo, per gentile segnalazione di padre Pietro Messa alcuni passaggi di un’intervista al prof. André Vauchez, vincitore del premio Balzan ed, in appendice, una breve nota. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr la sezione San Francesco d'Assisi. Da Assisi alla Chiesa.

Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2014)

Venerdì 20 giugno presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma si è svolta una giornata in onore del prof. André Vauchez a motivo del premio Balzan a lui conferito. In concomitanza è uscita una corposa intervista allo stesso storico francese in cui ricapitola il suo itinerario di ricerca di cui sotto si riporta un brano inerente a Francesco d’Assisi.

Uno dei problemi più delicati che pone la biografia di Francesco d’Assisi consiste nella difficoltà che abbiamo a comprendere come il suo spirito innovatore e la sua ispirazione assolutamente evangelica, abbiano potuto conciliarsi con la sua sottomissione alla Chiesa, che è fuori di discussione, anche se gli fu dolorosa in diversi momenti della sua esistenza. Paul Sabatier, i cui meriti sono immensi poiché è stato lui a far conoscere Francesco al mondo intero attraverso la sua biografia del 1893-1894, aveva risolto il problema – da buon protestante liberale quale egli era – opponendo l’evangelismo del Poverello alla volontà di potenza della Chiesa romana incarnata dal cardinal Ugolino, il futuro Gregorio IX, e al “realismo” accomodante di frate Elia, di cui Tommaso da Celano sarebbe stato il portavoce. Questa prospettiva l’aveva portato a immaginare che lo Speculum perfectionis – che data in realtà al 1317 – corrispondesse al testo di una Vita censurata dalla gerarchia ecclesiastica, di cui frate Leone, il fedele segretario e compagno di Francesco, sarebbe stato l’autore o l’ispiratore poco dopo la morte del Poverello.

Oggi di questa costruzione azzardata non resta più niente, ma l’idea che Francesco abbia potuto essere sinceramente devoto alla Chiesa non è quasi mai ammessa peraltro neppure ai nostri giorni: tanto è dominante l’idea che l’istituzione non possa, per la sua stessa natura, aprirsi alle esigenze del Vangelo, se non per neutralizzarle. Si tratta di un anacronismo evidente poiché, per riprendere una risposta di Giovanna d’Arco ai suoi giudici che Francesco avrebbe certamente sottoscritto, per i cristiani del medioevo «il papa e la Chiesa sono un tutt’uno». Si può anche andare più lontano e sostenere che Francesco è un puro prodotto della riforma “gregoriana”: non ha forse scritto al futuro papa Gregorio IX qualificandolo, in maniera premonitrice come «episcopus totius mundi» (ICel., 100), cosa che all’epoca non era certo una formulazione innocente? Se pure ha rispettato le prerogative dei vescovi e del clero secolare, il santo d’Assisi ha giocato in pieno la carta della plenitudo potestatis papale, consapevole che la sopravvivenza e la diffusione della sua religio dipendeva dalla buona volontà della Santa Sede e dal suo sostegno che aveva permesso all’ordo fratrum minorum di conoscere una diffusione estremamente rapida in tutta la cristianità.

Il peggior nemico dello storico è l’anacronismo: storicizzare il dibattito intorno a Francesco d’Assisi consiste innanzitutto nel prendere atto del fatto che delle nozioni che oggi sembrano a molti inconciliabili non erano nel passato necessariamente antagoniste. In generale, per delle ragioni ben comprensibili che riguardano il peso della Chiesa nella vita del loro paese e dei legami complessi che essa vi intrattiene con il mondo politico ed economico gli storici italiani – con la notevole eccezione di Cinzio Violante – hanno avuto per lungo tempo la tendenza ad avere su di essa un giudizio negativo, come se fosse intrinsecamente votata a svolgere un ruolo negativo nella sfera della vita religiosa. Ma questa visione pessimista – perfettamente giustificata per certe epoche – non lo è necessariamente per tutte: quali che siano state le sue motivazioni, Innocenzo III ha avuto il coraggio di canonizzare nel 1199 un santo laico non nobile – e che in più era artigiano e mercante – nella persona di sant’Omobono; e il suo successore, Onorio III, ha saputo riconoscere e accogliere in seno alla Chiesa il carisma di Francesco. Più che l’opposizione sistematica tra le due nozioni postulate da Max Weber, io credo che il carisma e l’istituzione siano i due poli della vita della Chiesa: l’istituzione senza il carisma diviene ben presto una macchina amministrativa e giudiziaria senz’anima; il carisma senza l’istituzione rischia di non sopravvivere al suo detentore o di perdersi nella marginalità. È da una tensione senza rotture tra questi due poli che sono potuti nascere, in certi momenti della sua storia, un dinamismo nuovo e movimenti di riforma in seno alla Chiesa. Certo il carisma non è mai recepito nella sua interezza nell’istituzione e ho molto insistito alla fine del mio libro sul fatto che una buona parte del messaggio di Francesco d’Assisi non ha avuto eco ai suoi tempi ed è stato rapidamente dimenticato, anche se questo non ha impedito che riemergesse in seguito. Ma non è però meno vero che quel che la cristianità medievale ha recepito di lui è stato sufficiente a infondere uno spirito nuovo e a favorire nel suo seno la diffusione di fermenti evangelici.

Interventi circa il prof. André Vauchez si possono leggere al link http://www.aisscaweb.it/?p=86#comments, mentre l’intera intervista si può leggere al link http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/intervista-ad-andre-vauchez.html

Appendice/ San Francesco nell’invocazione per la pace in Vaticano. La preghiera attribuita al Santo d’Assisi tra papa Francesco, Shimon Peres e Abu Mazen, di p.P. M.

Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di  p. P.M. scritta all’indomani dell’incontro di preghiera di papa Francesco, Bartolomeo I, Shimon Peres e Abu Mazen. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2014)

Nell’incontro di invocazione per la pace svoltosi nei Giardini Vaticani domenica 8 giugno 2014 alla presenza di papa Francesco, dei presidenti Shimon Peres e Abu Mazen, con la partecipazione del patriarca Bartolomeo, i cristiani hanno recitato una preghiera attribuita a san Francesco d’Assisi, ma in realtà composta soltanto nel primo decennio del secolo XX. Un vero e proprio apocrifo nato come preghiera eucaristica ma che in occasione del primo conflitto mondiale ebbe una grande diffusione come invocazione di pace attribuita a san Francesco (cfr. C. Renoux, La preghiera per la pace attribuita a san Francesco, un enigma da risolvere, Padova 2003). Ma allora non c’è nessun rapporto di questa prece con il Santo d’Assisi? Sinceramente si deve prendere atto di no, anche per la ripetizione del pronome “io”, modalità molto distante dallo stile, pensiero e spiritualità di frate Francesco. Tuttavia se nulla accomuna il suddetto testo conosciuto come “Preghiera semplice” si deve ammettere che in esso vi sono reminiscenze dei Detti del beato Egidio d’Assisi, uno dei primi unitisi alla fraternità minoritica. Infatti frate Egidio afferma: «Beato chi ama e non desidera solo essere amato; beato chi teme e non desidera solo essere temuto; beato chi serve e non desidera solo essere servito; beato chi agisce bene verso gli altri e non desidera che gli altri agiscano bene verso di lui» (Egidio d’Assisi, Detti, in Fonti agiografiche dell’ordine francescano, Editrici Francescane, Padova 2014, p. 487).