I cristiani giapponesi “riemersi” dal nulla. Storia di un popolo fedele sopravvissuto a due secoli di persecuzione, di Michela Emmanuele
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Michela Emmanuele pubblicato il 22/6/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/7/2014)
Particolare del Martirio dei 70 giapponesi ed europei a Nagasaki: martiri decapitati.
Dipinto eseguito a Macao da Anonimo giapponese tra il 1626 e il 1632. Foto di Zeno Colantoni.
Per gentile concessine dei padri gesuiti della Chiesa del Gesù.
Riproduzione riservata. Per ulteriori immagini dei dipinti,
cfr. I martiri giapponesi di Nagasaki: immagini seicentesche nella Chiesa del Gesù
Erano increduli i padri missionari francesi quando nel 1865 entrarono nel porto di Nagasaki, e per le celebrazioni del Venerdì Santo si trovarono circondati da migliaia di fedeli con gli occhi a mandorla. Era da almeno due secoli che il Giappone non conosceva preti, una dura repressione aveva decimato la comunità cattolica fiorita a partire dall’arrivo di Francesco Saverio, nel 1549. Eppure qualcosa si era conservato: i “Kakure Kirishitan”, i cristiani nascosti, avevano difeso la loro fede dalle persecuzioni, e quando il paese fu riaperto agli stranieri, i credenti presero coraggio e uscirono dalla clandestinità.
«Possiamo salutare Gesù e santa Maria?», chiesero alcuni contadini a uno stupito padre Petitjean, missionario raccolto in preghiera presso la chiesa di Oura: quegli agricoltori erano soltanto i primi fedeli a farsi riconoscere dai nuovi padri. Le cronache dell’epoca raccontano che per le celebrazioni pasquali di quell’anno, solo a Nagasaki c’erano 10 mila fedeli in attesa dei sacerdoti europei.
La storia della Chiesa giapponese è fatta di dolore e sangue, quello dei tantissimi martiri che furono trapassati dalle spade del governo locale: gli shogun temevano che il cristianesimo potesse essere un braccio occidentale per sfondare nelle città nipponiche e quindi lo osteggiarono non appena iniziò a diffondersi. Le prime repressioni iniziarono a fine Cinquecento, quando nel paese si contava che i seguaci di Cristo fossero già 300 mila, ma l’ostracizzazione più terribile arrivò sotto lo shogunato Tokugawa, a inizio Seicento: ogni opera di evangelizzazione dei sacerdoti stranieri venne bloccata e i missionari espulsi, il culto cristiano venne dichiarato fuorilegge, alcune chiese vennero demolite.
Iniziò lì l’epoca dei “kakure kirishitan”: qualcuno fuggì nelle isole nel sud del paese, i preti vennero uccisi, numerosi credenti iniziarono a vivere la fede in segreto. In alcuni santuari sono ancora visibili i cartelli che venivano affissi agli incroci delle strade, dove si assegnavano ricompense diverse a chi avesse denunciato un sacerdote o un cristiano. A questo faceva seguito la pratica del “fumi-e”: un credente veniva messo davanti a un’immagine sacra ed era costretto a calpestarla per aver salva la vita.
Lo scorso gennaio papa Francesco, durante una catechesi sul battesimo, ha preso come esempio proprio la storia della comunità cristiana del Giappone: l’immersione nell’acqua santa era per loro il primo passo per trasmettere il legame con Cristo di padre in figlio, in un’epoca in cui non c’erano più sacerdoti. «Il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti», diceva il Pontefice: i giapponesi «avevano mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il battesimo li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma erano sempre membra del popolo di Dio, membra della Chiesa».
C’erano anche altri gesti con cui la fede veniva alimentata nella segretezza: anzitutto il “kontatzu”, il rosario, officiato dal capofamiglia. Poi la preghiera di fronte ad alcune figure sacre: per non farsi scoprire, le croci venivano nascoste dietro alle effigi di Buddha, mentre tanti fedeli tenevano in casa una statuetta della dea Kannon, un simbolo del Buddha misericordioso dalle sembianze femminili sotto cui si celava la figura della Madonna.
La fede, insomma, si tramandava anche attraverso gesti piccoli e silenziosi, perpetuati in segretezza. Ma le testimonianze più profonde arrivarono da coloro che divennero martiri, in una persecuzione che per efferatezza ricorda quella che colpì le prime comunità cristiane sotto l’Impero Romano. Il primo episodio particolarmente cruento avvenne nel 1597, quando 26 cristiani vennero crocifissi sulla collina di Tateyama: erano francescani e gesuiti, europei e giapponesi. Sono stati proclamati santi da Pio IX, nel 1862: secondo la Passio uno di loro, Paolo Miki, continuava a predicare anche quando era in croce. Qualche anno dopo la persecuzione s’avvicinò alla sua fase più dura e uno degli episodi che più spesso si racconta è quanto accadde nel 1603, anno in cui venne decapitato Simone Takeda, samurai convertito al servizio di un feudatario cristiano. La moglie, Agnese, fu costretta ad assistere alla scena e non abiurò, ma piena di amore raccolse la testa dell’uomo e l’abbracciò: la commozione che suscitò la scena non impedì però alla donna di essere martirizzata poco dopo.
Per seguire invece la sua vocazione a entrare nella Compagnia di Gesù, Pietro Kibe intraprese un lunghissimo viaggio verso Roma, passando per Gerusalemme: una volta ordinato, tornò clandestinamente in Giappone, ma nel 1639 venne catturato e condannato a morte «perché non voleva rinnegare la propria fede e incoraggiava i catechisti martoriati accanto a lui», recitano le cronache. Tra i 188 beati che nel 2008 vennero proclamati da Benedetto XVI, stupisce trovare tanto intere famiglie quanto esponenti della nobiltà, samurai che accettarono di morire pur di rimanere fedeli al Vangelo.
L’avversione del Giappone verso i cristiani è proseguita fino al Novecento: solo con la riforma costituzionale successiva alla Seconda Guerra mondiale è caduto del tutto l’editto. Il prossimo anno si ricorderanno i 150 anni dalla “riemersione” dei “kakure kirishitan” e nella città di Nagasaki nascerà un museo per raccontare le loro storie: sorgerà non lontano da un altro museo, quello che ricorda il bombardamento del 1945, scelta non casuale poiché tantissimi furono i cattolici morti a causa dell’atomica. E mentre i vescovi nipponici sperano che l’interesse di papa Francesco per l’Oriente lo porti presto anche in visita in Giappone, oggi il paese guarda ai cattolici con un occhio di riguardo: c’è un progetto per far riconoscere come “patrimonio dell’umanità” alcune delle chiese edificate tra il 16esimo e il 19esimo secolo, tra cui anche la cattedrale di Oura, quella della “riemersione”.
E se lo scopo può essere prevalentemente turistico, inequivocabile è stata invece la visita del premier Abe in Vaticano. In dono al Santo Padre, il presidente ha portato uno “specchio magico”, copia di quelli in uso tra i cristiani perseguitati: dietro alla superficie lucida si nascondeva una croce e un’immagine di Gesù, visibile soltanto in controluce.