Biffi: «Dio è sempre il primo; perciò la sua misericordia non consegue al peccato ma lo anticipa. È vero che la pietà divina si effonde sul mondo per rimediare alla colpa, ma è ancora più profondamente vero che la colpa è accolta nel progetto eterno perché il perdono possa manifestarsi». Un inedito dell’arcivescovo emerito di Bologna sul primato della misericordia di Dio e sulla colpa come «occasione per una vita spirituale più intensa»
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un testo inedito del Cardinale Giacomo Biffi pubblicato il 17/6/2014 (il testo è stato ripreso a sua volta da L’Osservatore Romano dello stesso giorno). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (22/6/2014)
Pubblichiamo un estratto proposto dall’Osservatore Romano del nuovo libro del cardinale Giacomo Biffi La multiforme sapienza di Dio. Esercizi spirituali con Giovanni Paolo II (Cantagalli, 231 pagine, 14 euro) in vendita dal 17 giugno. Il volume raccoglie i testi inediti degli esercizi spirituali tenuti dal porporato in Vaticano tra il 12 e il 18 febbraio 1989 alla presenza di Papa Wojtyla.
Dio è sempre il primo; perciò la sua misericordia non consegue al peccato ma lo anticipa. È vero che la pietà divina si effonde sul mondo per rimediare alla colpa, ma è ancora più profondamente vero che la colpa è accolta nel progetto eterno perché il perdono possa manifestarsi. Dio poteva scegliere tra infiniti mondi possibili. Nessuno di essi avrebbe potuto manifestare tutte le perfezioni divine; ciascuno di essi ne avrebbe manifestata qualcuna. Eleggendo un ordine tutto incentrato nel Figlio suo fatto uomo, crocifisso e risorto, redentore e capo di una moltitudine di fratelli, il Padre ha preferito a ogni altro un universo che esprimesse soprattutto la sua gioia di perdonare ed esaltasse nell’uomo l’umiltà dell’amore penitente.
Ci si fa più chiara allora nella sua verità l’affermazione di Gesù che «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Il peccatore che si pente, esprime in modo diretto il senso specifico e il valore emergente di questo universo di fatto voluto da Dio.
Così arriviamo a capire che le nostre infedeltà, le nostre insipienze, i nostri “no” bizzosi (per i quali siamo e dobbiamo essere umiliati e confusi) possono diventare l’occasione per una vita spirituale più intensa; e che la stessa nostra colpa è vinta e travolta sul nascere dalla più grande forza d’amore del Padre che salva.
È una sofferenza vedersi nella propria meschinità. Ma appunto quando mi riconosco meschino, mi vedo proprio per questo chiamato alla salvezza e avvicinato al mio redentore: il mio peccato non fa in tempo ad esprimersi, che già è superato e dissolto dalla divina volontà di riscatto.
Alla fine c’è come una letizia dolente, che non dimentica le infedeltà e non lascia di piangerle, ma non riesce più a vederle se non già oltrepassate dal più grande impeto della misericordia del Padre.